Note e documenti

La "scoperta" dei monumenti storici della città

di Filippo Morgantini

I grandi rivolgimenti edilizi che interessano le città italiane nel secolo XIX non vedono solo la nascita dei primi strumenti di controllo urbanistico e la comparsa di nuove e multiformi architetture; vi è anche un momento nel quale ci si rende conto dell'importanza educativa, estetica, simbolica, economica di alcuni edifici antichi: i monumenti. Ciò non avviene in modo automatico ma segue tempi e modalità assai variabili, anche in città vicinissime come Novara e Vercelli, le cui vicende da questo punto di vista possono essere considerate opposte. Tale consapevolezza, o la sua mancanza, indipendentemente dai modi d'intendere il restauro che le sono comunque connessi, può incidere in modo determinante sull'assetto cittadino. Nel caso novarese la distruzione dell'antico complesso della cattedrale di Santa Maria conduce a cospicue modificazioni dell'aspetto architettonico del centro, mentre il semplice mantenimento del Castello condiziona le successive scelte urbanistiche.

1. Due notevoli esperimenti museografìci inaugurano l'Ottocento novarese: nel 1797 ha inizio la raccolta «di marmorei mausolei, di iscrizioni sacre e sepolcrali, non che di reliquie di sculture de' bassi tempi, le quali in parte esistevano nell'interno del Duomo, e in parte vennero raccolte da quelle chiese, che nei primi anni del secolo nostro furono chiuse»(1); nel 1813 viene aperto il primo e fondamentale nucleo del Museo Lapidario della canonica(2).
Entrambe le operazioni sono frutto dell'iniziativa, del lavoro e della competenza del grande erudito Carlo Francesco Frasconi.
La prima collezione, collocata nel quadriportico della cattedrale , è volta alla pietosa conservazione di oggetti venerandi, spregiati o distrutti a causa delle vicende napoleoniche; la seconda raccoglie invece in modo sistematico tutte le epigrafi e le iscrizioni antiche del territorio novarese, ideale complemento all'opera archivistica e paleografica del Frasconi, che dedica la sua vita alla ricerca e alla tutela delle fonti documentarie per la storia cittadina(3). Il carattere pubblico ed educativo delle iniziative, confermato dalle trascrizioni latine a fianco delle epigrafi esposte, segnala la nascita di due musei nel senso moderno del termine, anche se compresi in un'orbita storico filologica di ascendenza muratoriana, estranea a interessi estetici.
Negli anni seguenti Novara partecipa al fenomeno neoclassico in maniera profonda e corale: Francesco Antonio Bianchini, istoriografo della città, plaude e si fa sostenitore del vivace rinnovamento edilizio operato da una folta schiera di giovani e dotati architetti locali(4).
La dipendenza dall'ateneo torinese non elimina il tradizionale riferimento a Brera, anche a causa dei corsi di Disegno architettonico e Ornato tenuti presso il Liceo Convitto da Luigi Orelli, forse il vero ispiratore del gruppo, «che avverso alle borrominiane licenze ei primo in questa sua patria il giusto stile introdusse»(5). Si viene così a creare una forte e autonoma tradizione classicista, che sopravvive anche al già attardato accademismo milanese, talmente radicata da soffocare l'inizio della sperimentazione eclettica, tanto che la città passa quasi direttamente dal tardo neoclassicismo al modernismo Liberty(6). Alla morte di Orelli, nel 1846, il ruolo guida passa ad Antonio Busser e Paolo Gaudenzio Rivolta, mentre anche l'apodittica scelta classicista di Alessandro Antonelli contribuisce a chiudere la strada verso orientamenti di diversa ispirazione(7).
La nuova cultura non comprende il valore della pregevole attività di tutela del Frasconi, come dimostra il trattamento riservato al mosaico pavimentale del Duomo nel 1836. Scrive Bianchini:la edificazione del nuovo coro ellittico importò la necessità di estendere l'opera musaica, tanto davante che di retro al sontuosissimo altare che venne or ora a finimento condotto. Chiamato Giovanni Battista Avon da Solimbergo nella provincia di Udine, paese della Venezia, diede egli mano al lavoro, e con tanta maestria e intelligenza, imitando l'antico, travagliò, che diffìcilmente il vecchio dal nuovo musaico distingui. (8)
Pur nel parziale rispetto dell'antico mosaico, l'operazione mostra le sue prevalenti motivazioni estetiche, non curando la riconoscibilità di ciò che può costituire una preziosa fonte storico documentaria.
L'abbandono della mentalità filologica settecentesca è però un tratto tipico del tardo Neoclassicismo e non implica giudizi sul livello culturale della città, piuttosto elevato anche presso i tecnici dell'architettura, tra i quali risulta ben viva la sensibilità antiquaria e collezionistica. Si possono ricordare al riguardo le due grandi anfore rinvenute intorno al 1844 negli scavi del giardino di casa Orelli, poi donate al Museo patrio dalla vedova Teresa Orelli (9), o «il pensiero della famiglia», che «pose freno all'ardore del Busser in acquisto di capi d'arte», limitandolo alla raccolta di stampe (10). La completa assenza del medioevalismo di origine romantica e dei suoi studi stilistici non permette però di riconoscere il valore degli antichi edifici cittadini e di comprendere le possibilità offerte dal moderno restauro architettonico.

Un primo banco di prova è il Broletto : nel 1853 il sindaco Gabriele De Medici propone di reperire fondi per opere pubbliche alienandolo, in quanto l'edificio non presenta né dal lato artistico, né dal lato storico alcun che da meritargli la conservazione anche come semplice tributo di venerata memoria agli antichi Padri.
Vetusto, necessitoso di restauri, egli subì nei tempi che scorsero non poche riforme che ne sformavano la primitiva euritmia, e non somministrava che una sterile ricordanza di ciò che fu
. (11)
Bianchini, schierato contro la vendita del palazzo e contro gli «infausti voti per la sua distruzione», lamenta che dall'abbandono di un edificio di grande importanza storica si voglia trarre «l'opportuno valsente a costruire de' sempre luridi ammazzatoi e de' sempre mai fetenti presepi», notando però, dal lato estetico, solo «un'elegante superiore Galleria a colonne di granito d'ordine dorico e ionico, con balaustra di bella pietra arenaria di Lombardia» (12). Lo storico novarese insiste poi sulla funzionalità del Broletto come palazzo pretorio, e lo paragona al palazzo di giustizia di Chambery, recentissimo edificio modello del Genio Civile piemontese. Saranno in realtà le difficoltà di trasferimento degli uffici giudiziali, e non le considerazioni culturali, a impedire di dar «lustro alla Città coll'avere la Magistratura collocata in sede più conveniente e decorosa» (13).
Migliori giudizi giungono dal marchigiano Amico Ricci, che pone il Broletto tra i massimi esempi di architettura del XIV secolo e con moderna sensibilità lo descrive nel suo romantico "stato originale": Per sei porte vi si accedeva, e le scale aperte di prospetto a due di queste conducevano alle sale, dove si disputava de' pubblici negozii prima dai magistrati, e poscia il voto popolare dava ai decreti stessi la sanzione. La campana della torre (fondata nel 1295) che gli sorge a fianco invitava gli operai al lavoro, come ne limitava il tempo. Nel cortile, o Broletto, si mercanteggiava il frumento. Nelle logge, che lo circondano erano gli scanni dei giudici, dei notai, la pietra degli incanti. (14)

2. Analoga indifferenza per i valori figurativi del Medioevo si ritrova, e con esiti irreversibili, nel noto episodio dell'abbattimento del Duomo . La vicenda ha origine nel 1853, quando il capitolo incarica l'Antonelli di ricostruire il portico del Paradiso e le retrostanti case dei canonici sulla piazza del Duomo (15). Antonelli propone di rifare in forme classiche anche le parti più antiche della cattedrale, convince il vescovo e la maggioranza dei canonici, mentre la Commissione d'Ornato approva «per acclamazione» il suo progetto di ricostruzione (16). Per motivi di ordine pratico la questione non si chiude subito e i novaresi hanno dieci anni di tempo per decidere sulla demolizione del loro monumento più antico, iniziata solo nel 1863.
La città conta un solo vero e competente oppositore al disegno antonelliano: il canonico del Duomo Carlo Racca, erudito di buon livello ma forse un po' debole e poco determinato. Nel suo unico atto in difesa della chiesa, l'opuscolo Del divisamento di atterrare l'antico duomo, del 1856, il canonico mostra subito timori e titubanze: appoggia la demolizione del portico del Paradiso e dei locali annessi, definendoli «indecenti al luogo santo» (17), dopo aver dichiarato in un precedente scritto che tale porticato «concorre a rendere il nostro duomo veramente una delle più belle e compite basiliche de' primi tempi del cristianesimo» (18). Racca espone comunque chiaramente l'importanza storica, simbolica e religiosa dell'antico Duomo novarese, così come l'inopportunità di demolirlo, e compie qualche apprezzabile tentativo di comprensione stilistica, basato soprattutto sul testo dello Hope, uno dei primi repertori sull'architettura medioevale pubblicati in Italia (19).
In una lettera all'amico Edoardo Arborio Mella, esperto di architettura del medioevo, il canonico arriva ad assimilare il «fato avverso» allo «stile di classicismo» (20), segnale di un certo avvicinamento a una sensibilità romantica per il medioevo che gli doveva essere in fondo un po' estranea: sulla scultura neoclassica di Novara esprime opinioni molto più sicure e anche le moderne proposte antonelliane gli paiono esteticamente superiori agli antichi avanzi della cattedrale, intimamente convinto che «nessuno credersi di rifare il Duomo alla forma primitiva» (21). Nel 1862 sembra poi aver deposto le armi: riproponendo le sue opinioni avverte infatti che se sarà di mestieri per torre via una deformità, demolire il resto dell'antico e fare il nuovo; del fatto, sebbene con impazienza dì censura, e con importuni confronti di popolare sentimento in alcuna effemeride artistica ricordato, spetta ai posteri sentenziare. Fra noi per la manifesta opinione della cittadinanza farebbe opera certamente ingrata chi movesse querela per la eseguita rovina, giudicasse delle circostanze con animo intemperante, e gettasse la plumbea cappa del rimprovero addosso a chicchesia. Ardue sono sempremai le questioni di gusto (22).
Il riferimento è a un articolo del 1861 sul Duomo di Casale, nel quale Raffaele Pareto si dichiara lieto «di tributar lodi a persone di merito, e di mostrare che dappertutto in Italia non si è barbari come a Novara, essendovi città ove si curano con affezione i patrii monumenti» (23). Il canonico novarese, col suo atteggiamento risentito, non riesce nemmeno a sfruttare a suo favore le numerose e autorevoli opinioni esterne contrarie all'abbattimento: è infatti lo stesso Pareto che pubblica il rilievo della facciata del Duomo novarese eseguito da Giuseppe Maria Gioello Piacenza per «conservare memoria di questo monumento dei primi secoli della cristianità» (24), ma rimisurato anche, per correggere i famosi rilievi dell'Osten, trovati poco precisi dall'Arborio Mella quando, nel dicembre del 1855, corre a Novara «per disegnarvi il profilo longitudinale del vecchio Duomo che si va tantosto a distrurre» (25).
Proprio l'Arborio Mella è protagonista del grande restauro del Duomo di Casale, la cui vicenda è più volte richiamata nelle discussioni sulla demolizione della cattedrale novarese. La situazione delle due antiche basiliche è del tutto analoga: nel 1853 Antonelli, interpellato per alcuni lavori di consolidamento e abbellimento, propone di realizzare una grande chiesa neoclassica al posto del vecchio duomo, giudicando fosse «un cadavere che per farlo rivivere non ci volesse meno della potenza di Colui che fece uscir vivo dal Sepolcro il morto Lazzaro» (26).
Le cattive condizioni statiche, spesso citate come prima causa dell'abbattimento novarese, erano un grave problema anche per la basilica casalese ed è noto come il prezioso endonartece, ritenuto irrecuperabile da tutti i tecnici interpellati, e che invece ancora oggi è possibile ammirare, venga salvato solo grazie all'ostinata volontà dell'Arborio Mella, all'abilità del capomastro Giovanni Bonarda e all'intraprendenza dell'architetto Giovanni Larghi.

Il diverso destino delle due basiliche si gioca più che altro sull'autorità e credibilità cittadina di alcuni personaggi: è infatti Luigi Canina, grande architetto neoclassico nativo di Casale, che passando nella sua città si schiera contro il progetto antonelliano e prospetta la possibilità di un restauro; i casalesi hanno poi la modestia di accogliere le importanti indicazioni richieste al prof. Carlo Promis di Torino, che li indirizza verso l'Arborio Mella. L'autorevolezza di Canina a Casale può essere paragonata però solo a quella di Antonelli presso i suoi concittadini e ai primi accenni di polemica contro il progetto antonelliano Racca è subito assimilato a quelle «persone supposte erudite» che difendono senza ragione «un ammasso di cose informi» (27). Stessa risposta ottiene il milanese Michele Caffi, che nel 1861 interroga il Ministro dell'Interno sul previsto abbattimento: le autorità novaresi, intente a eternare i «nomi dei committenti e dell'illustre architetto» (28), mettono in ridicolo ogni apprezzamento del Duomo, nella certezza che, «in fatto di architettura», nessun giudizio possa avere «maggiore valore di quello dell'architetto Antonelli» (29).
Le semplicistiche argomentazioni del sindaco convincono il ministro, che si astiene da ulteriori indagini, risultando non ultimo responsabile della vicenda. Le ultime amare parole spettano all'Arborio Mella , quando, a demolizione ormai ultimata, definisce «emuli del secolo degli Attila» i novaresi e il «grecomano prof. Antonelli»: Il Duomo di Novara era dunque pregiatissimo monumento che contava 14 secoli e per niun conto minacciante rovina. Ancora nel trascorso 1863 architetti prussiani venivano da Berlino appositamente per visitarlo. Testé ancora pendente l'atterramento un chiariss. archeologo toscano vi veniva per vederlo e studiarlo una seconda volta. Nel colmo di un ben giusto trasporto d'ira nel veder compiere cotanta barbarie prese pubblicamente sull'adiacente piazza a imprecare ad alta voce siffattamente contro il capitolo, il Municipio, il Governo (30).

La vicenda non può essere compresa senza rifarsi a quella cultura classicista, portatrice di valori assoluti ed eterni in campo estetico, così radicata e diffusa nella Novara di quegli anni. È infatti la valorizzazione, e a volte la mitizzazione, dei fenomeni figurativi del medioevo, che porta alla nuova sensibilità per la conservazione degli edifici antichi e ai primi esperimenti di restauro stilistico.
Non si tratta del pittoresco neogotico settecentesco, allegra e raffinata trasgressione di un ordine classico di fatto non contestato: il concetto portante è la storia come strumento di comprensione di valori nuovi e inaspettati, è la consapevolezza che non è possibile confrontare senza mediazioni passato e presente e che è necessario giudicare gli oggetti antichi nel loro contesto.
Attraverso il filtro della storia anche la facciata «brutta fin dalle origini» del Duomo novarese può acquisire bellezza, solo che la si comprenda all'interno della sua grammatica stilistica invece di giudicarla col metro del classicismo. L'assenza di questo tipo di mentalità è il vero motivo per cui, a Novara, non hanno effetto le sollecitazioni esterne e i confronti con i più vicini restauri stilistici in corso: dal Duomo di Casale Monferrato (1858-61), ai lavori milanesi di Sant'Ambrogio (dal 1858), della Pusterla di porta Ticinese (1861), di Sant'Eustorgio (1862-65). Poco prima dell'abbattimento il Racca opera per conservare qualche memoria dell'edificio: incarica Alberto Colla di dipingere all'acquerello la facciata e l'interno ed è forse il committente di tre pregevoli fotografie esterne (31). Si tratta di semplici vedute, non di misurazioni in grado di indagare, ad esempio, sull'assetto proporzionale romanico, come quelle di Piacenza o Arborio Mella: anche da questo si può constatare l'immaturità culturale dell'ambiente novarese e, in ultima analisi, dello stesso Racca.
Più interessanti rilievi sono eseguiti durante le demolizioni dal geometra Giuseppe Bossi di Stefano e utilizzati da G. Fassò, «Archeologia. Il Duomo antico», in Monografie novaresi, cit., p. 100, che li ottiene «per squisita cortesia e per innato sentimento dell'arte» dall'autore. Il geometra in questione potrebbe essere figlio del marmorino di fiducia dell'Arborio Mella, Stefano Bossi.

3. A partire dal 1871, su iniziativa comunale, viene risistemato il Museo Lapidario della canonica, sotto la direzione di Cesare Morbio e Giuseppe Ravizza, archeologi di buon livello in contatto con Theodor Mommsen (32). Il museo è integrato nella parte romana e ampliato con una nuova sezione medioevale collocata sotto il portico a nord, grazie soprattutto ai pezzi provenienti dalla demolizione del Duomo; viene anche data una tinta uniforme al porticato «onde renderlo più proprio», modestissimo lavoro che segnala però l'intento di valorizzare l'antico chiostro (33); l'operazione è conclusa nel 1878 con il plauso del Ministero della Pubblica istruzione.
Mentre la conservazione delle antichità romane è effettuata a buon livello scientifico, pochi sono gli avanzi del Duomo che trovano posto nell'antiquarium medioevale: gran parte del materiale di spoglio finisce nelle mani di don Ercole Marietti (1825-1906), rettore del Collegio Gallarini e singolare figura di architetto dilettante (34). Unico vero esponente dell'eclettismo novarese, Marietti è la prova lampante dell'assenza di una mentalità filologica nell'architettura cittadina: nelle sue opere utilizza gli elementi desunti dagli esempi storici, spesso variati nelle caratteristiche edizioni in terracotta, con montaggi inediti e ben poco rispondenti ai principi dello stile.
In queste fantasiose produzioni architettoniche trovano facilmente posto capitelli e sculture della demolita cattedrale novarese, riutilizzati con lodevole intento conservativo, ma anche ingenuamente valorizzati tramite la loro reinterpretazione estetica. Oltre che nel cortile del vescovado e nel Collegio Gallarini, Marietti utilizza un gran numero di pezzi antichi in un esilarante tempietto-rovina costruito intorno al 1876 nel chiostro della canonica, mostrando concretamente come i resti medioevali possano essere meglio apprezzati all'interno di nuovi contesti figurativi piuttosto che in una sistemazione museale (35). È comunque grazie a queste attenzioni che molti pezzi del Duomo antico si trovano tuttora conservati e riconoscibili, nonostante le loro rocambolesche vicende, non ultima la recente e inopportuna distruzione del tempietto Marietti.
Uno sguardo all'Elenco dei Monumenti Medioevali della Provincia di Novara approvato dalla Giunta superiore di Belle Arti nel 1875 mostra una città non ancora consapevole dell'importanza dei suoi edifici antichi: oltre a battistero e canonica, l'elenco comprende infatti solo la chiesa di Santa Maria delle Grazie (36); lo stesso Ravizza, nel 1878, dopo una nostalgica descrizione del vecchio Duomo, «deturbato e svisato da posteriori costruzioni», sostiene che proprio il nuovo «colossale e splendidissimo tempio» realizzato dall'Antonelli, «colla venustà delle classiche forme è l'ammirazione dei novaresi e degli stranieri» (37).

4. Primo autentico architetto medioevalista della città è il valsesiano Giuseppe Fassò, anomala figura d'ingegnere laureatosi a Torino nel 1858 che, dopo un breve tirocinio presso il grande tecnico ferroviario Giuseppe Antonini a Borgosesia, cerca fortuna a Novara, dove il fratello Carlo era apprezzato organista e maestro di cappella in San Gaudenzio (38). Dal 1860 è perito dei beni soggetti a esproprio per il tribunale di Novara e dal 1863 circa alla morte è insegnante di disegno geometrico e agronomia presso l'Istituto tecnico Bellini. Tale percorso biografico, unito alla limitata produzione architettonica, non fa trasparire nulla dei profondi interessi artistici coltivati: in attesa di ulteriori indagini solo le spiccate attitudini musicali della famiglia e la ricercatezza grafica in alcune perizie estimative modificano l'incerta immagine del modesto tecnico, forse colpito dal primo incontro con la cultura filologica nelle lezioni torinesi di Promis. Dopo il 1869 Fassò sposa Giuseppina Avondo, vedova di Giuseppe Antonini, migliorando le sue condizioni economiche e acquisendo una parentela, quella degli Avondo, che potrebbe rivelarsi di notevole peso per la sua formazione, così come gli stretti legami con la Valsesia, ambiente più dinamico e aperto di quello novarese. Nel 1874 viene fondata la Società archeologica per il Museo patrio novarese: Fassò ne è presidente e principale animatore (39).
Oltre a sviluppare il multiforme collezionismo che caratterizza il Museo, la Società svolge anche attività nel campo della tutela architettonica: un «cornicione di terre cotte del 1400 della chiesa di San Nazaro alla Costa», una «porta antica ad intagli, stile 1500, già nella casa di Novara al civico n. 406» e i «calchi in gesso delle terre cotte dell'antica casa della Porta» entrano subito a far parte del Museo (40). Nel 1878 il sindaco di Novara interroga la Società «sull'importanza storica archeologica della torre delle Ore e del Palazzo Pretorio, sulla convenienza di un restauro di quest'ultimo e sul modo d'intraprenderlo» (41). Nella sua relazione, dopo un polemico cenno di stupore per quanto si è salvato «in epoca di ritorno al purismo greco», Fassò dichiara di aver esaminato il Broletto col pittore Giulio Arienta, suo intimo amico attivo nella Società per la Conservazione delle Opere d'arte e dei Monumenti in Valsesia (42).
In una lettera l'Arienta espone la sua opinione sul restauro del palazzo: Prima di tutto fare una esatta copia in disegno o meglio in dipinto, della facciata verso corte dello stato presente, indi pulire e instaurare le pitture del fregio a fascia, che mi paiono bastantemente interessanti, se non per pregio d'arte ma per l'epoca e per la sua originalità meritano di essere studiate e conservate. Scrostare le arricciature, e togliere totalmente il dipinto della meridiana, per ridurre al nudo la muraglia e coll'opera di un intelligente muratore fare degli assaggi nei profili dei vecchi finestroni e altri siti, per vedere se si potrà trovare la sua primitiva forma, per poi ricostruire in disegno la facciata nella sua origine, e così seguitare minutamente in ogni parte del palazzo, che sono certo che si potrà ottenere dei buonissimi risultati (43).
Fassò riprende il parere di Arienta integrandolo con brevi note storiche, ma, pur convinto della possibilità di una «ricostruzione mentale» del Broletto, pensa piuttosto di togliere dal tetto due protomi di pietra per conservarle, conscio dei costi e dei problemi di un vero restauro (44); nel 1879 compie altri studi e saggi sull'edificio, nell'ottica del ripristino prospettato da Arienta, al quale fa copiare «in disegno a colori» il deteriorato dipinto in facciata (45). In realtà l'ingegnere valsesiano presenta più interessi storico filologici che una mentalità da architetto restauratore, come si vede anche nel suo noto studio sull'antico Duomo di Novara , dove peraltro tenta un'interessante ricostruzione ideale della cupola romanica, e perfino nelle raffinate disquisizioni erudite di uno scritto di agronomia (46). Sul suo medioevalismo ci informa Giorgio Imazio: Egli predilesse i lavori di carattere sacro, e purché potesse, li rivestì colle linee dello stile del medio evo italiano. Diceva che questo era un vanto nazionale, tutto nostro, e l'aveva studiato, meditato con vera coscienza di eletto [...] Egli intravedeva tra quelle forme dai lunghi profili, tra le penombre delle linee ogivali, un concetto di grandiosità misteriosa, una consonanza colle aspirazioni sue tendenti al misticismo; gli pareva che l'idea cristiana trovasse la sua vera e completa espressione quando veniva concretata coi risalti della architettura che si era sviluppata nelle lotte contro il paganesimo (47).
Tale passione per l'architettura medioevale era unica a Novara e il deludente parere sulla torre delle Ore, scritto da mano diversa da quella di Fassò, ne è la conferma: l'antichità provata «dalla sua struttura, dalla forma del materiale laterizio, dall'enorme spessore delle pareti, quali usavansi soltanto nelle torri defensionali nel medioevo» non basta a preservarla, in quanto la torre, priva «di ogni importanza storica e di ogni pregio d'arte, non merita certamente l'onore né di un restauro né quello di venir trasmessa alle future generazioni» (48).
Nel 1875 nasce la Commissione conservatrice dei monumenti della provincia di Novara, ma, dopo quasi tre anni di vita, secondo l'avvocato e storico Antonio Rusconi «l'abbandono in cui venne lasciata non le permise almeno finora di attestare la verità e l'utilità della propria esistenza» (49).
Per il settore architettonico la Commissione si occupa soprattutto del catalogo dei monumenti della provincia e nel 1878 incarica la Società archeologica di aggiornare l'elenco novarese; dopo un anno sono pronte le relazioni di visita del battistero di Agrate Conturbia , della basilica di San Giulio d'Orta e della chiesa di Santa Maria delle Grazie di Novara (50). Nel 1880 il Rusconi, nuovo direttore della Commissione conservatrice, chiede a Fassò due perizie sulla conservazione dei monumenti novaresi e nel 1884, in occasione della consulenza sullo spinoso problema dell'abside di San Marco a Vercelli, richiede ancora la presenza del valsesiano durante il sopralluogo, rivelandone il ruolo di esperto locale per la tutela architettonica (51). Negli anni seguenti Fassò si dedica al riconoscimento, allo studio e al rilevamento degli antichi edifici della zona, tra i quali è possibile ricordare, oltre all'antico Duomo di Novara, la casa della Porta, la chiesa della Madonna del Latte presso Gionzana, la basilica di San Michele di Oleggio, la chiesa di Sant'Alessandro nel cimitero di Briona, la chiesa di San Nazzaro Sesia, la basilica di San Giulio d'Orta e il battistero di Agrate Conturbia (52).

5. La Società archeologica, in rapido declino dopo il brillante periodo iniziale, riceve il colpo di grazia nel 1889, alla morte dell'attivissimo Rusconi. È lo stesso Fassò, che scompare nel 1893, a preoccuparsi del destino dell'ingente patrimonio museale, che viene legato alla Biblioteca civica di Novara. A Raffaele Tarella, direttore della Biblioteca, tocca il compito di vegliare sulle collezioni e di raccogliere l'importante eredità culturale della Società, della quale era stato uno dei più attivi membri fondatori (53). Il Tarella assolve in tutti i sensi al suo mandato e come Regio Ispettore ai monumenti del circondario diviene, pur nei limiti delle sue capacità e competenze, anche il riferimento in città dell'appena sorto Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti.
Il primo intervento dei nuovi organi di tutela è tutt'altro che brillante e mostra la sostanziale debolezza del loro impianto legislativo: il 28 agosto 1900 certo Giuseppe Ferraris, proprietario di casa Allevi, già casa della Porta, presenta un disegno di nuovo fabbricato che prevede la completa demolizione dell'antico edificio. L'opposizione al progetto è pronta e convincente: Tarella informa il direttore dell'Ufficio regionale Alfredo D'Andrade di quanto si sta preparando e lo stesso Ministero della Pubblica Istruzione non fa mancare il suo appoggio (54).
Le pressioni effettuate sul Comune hanno il loro effetto, il sindaco sospende i lavori basandosi sugli articoli appositamente inseriti nel regolamento edilizio, ma il ricorso del Ferraris presso il tribunale di Novara ottiene due immediate e secche sentenze di condanna dell'ordinanza comunale.
Fulcro della causa è la certificazione del valore storico-artistico dell'edificio, citato solo in un provvisorio elenco dell'Ufficio regionale, pubblicato nel Bollettino della Prefettura del 1896 senza indicazione dell'autorità che lo aveva emesso. Non rimane che la via dell'esproprio per pubblica utilità, ma né l'Ufficio regionale né il Comune possiedono i mezzi finanziari necessari e l'antica casa si salva in extremis grazie alla promessa d'acquisto del barone Romano Gianotti, che riesce poi a ottenerla solo nel 1909, cinque anni dopo il termine dell'iter di esproprio.
Negli stessi anni si accende la polemica sulla conservazione del Castello, ma la città si dimostra molto meno sensibile alla sua valorizzazione e in alcuni casi sembra davvero non comprendere le profonde ragioni culturali addotte in favore della conservazione del Castello da Luca Beltrami, autorevolmente intervenuto sulla stampa locale. La vicenda è in parte viziata dagli intenti speculativi che informano il progetto «Nuova Novara» di Giachi e Andreoni, non secondaria ragione dell'opposizione che nel 1902 fa accantonare la prevista distruzione del Castello (55).
Alla fine del secolo compare un nuovo novarese sensibile al destino dei «patrii monumenti»: l'ingegner Giuseppe Bronzini. Laureato a Torino nel 1893, Bronzini assorbe dai corsi universitari di Riccardo Brayda le idee sviluppate da D'Andrade nella fondamentale esperienza del Borgo medioevale torinese (56). Studi filologici su base regionale, tendenza a restituzioni complessive nelle proposte di restauro, attenzione alla verosimiglianza dei materiali nelle integrazioni sono le caratteristiche principali del nuovo modo di operare, cui si ispira anche il progetto di restauro di casa della Porta stilato da Bronzini nel 1901, su incarico del Ministero della Pubblica istruzione, e corredato da una relazione storica di D'Andrade.
Con grande ritardo la moderna cultura del restauro giunge finalmente in città, sostituendo, per la verità a buon livello, le pionieristiche attività del benemerito Fassò. Tra il 1901 e il 1926 Bronzini compie studi e perizie, validamente coadiuvato dagli storici novaresi Giovanni Battista Morandi e Alessandro Viglio, e compila progetti di restauro su gran parte dei monumenti medioevali novaresi: Broletto, Castello, chiostro della canonica, facciata di Santa Maria delle Grazie e casa della Ministeria dei Poveri (da lui «scoperta» nel 1924). Per motivi ancora da chiarire i suoi progetti più importanti vengono eseguiti da altri: la casa della Porta è completamente restaurata da Carlo Nigra (1918-21), mentre l'intervento del Broletto viene curato da Giovanni Lazanio (1928-33). Bronzini riesce a realizzare solamente tre piccoli interventi di restauro: l'intelligente operazione sull'arco d'accesso al Broletto, del 1920; l'adattamento dell'antico Ritiro delle Rosette a portineria della Manifattura Rotondi e le opere conservative intorno alla chiesa della Madonna del Latte, eseguite con Lazanio, entrambi del 1926.
Tutti i restauri novaresi avvengono in un'epoca in cui il controllo degli organismi superiori impone modalità d'intervento piuttosto uniformi e standardizzate perdendo quindi almeno in parte la peculiare specificità del caso novarese.
Anche la sensibilità verso l'edilizia storica «minore» sembra imposta dai superiori ambienti ministeriali, come si può notare confrontando il ricco e preciso Elenco degli Edifici Monumentali di Novara del 1911 (57) con i distruttivi interventi dello stesso Bronzini in pieno centro storico: la costruzione del cinema Eldorado, del 1914, che comporta grandi sventramenti e modifica l'aspetto della piazza delle Erbe, e la ristrutturazione di casa Rossini, inserita tra gli edifici da tutelare e in parte ugualmente demolita, nel 1926, contro il parere della Soprintendenza.
Il primo autentico restauro stilistico novarese è invece di nuovo anomalo e singolare. Si tratta del poco noto intervento architettonico su palazzo Bellini, realizzato dall'architetto Luigi Broggi, uno dei più importanti professionisti italiani dell'epoca, negli anni 1904-1907 (58).
Il restauro si basa su procedimenti antiquati, tesi al confezionamento di un'immagine complessiva grazie a facili invenzioni stilistiche, e risulta molto più attento alle esigenze funzionali della nuova destinazione bancaria piuttosto che al rispetto della verità storica dell'edificio. La facciata mostra un ampliamento di due finestre sul lato sinistro, che distrugge il bell'angolare bugnato poi copiato alle estremità, con la creazione di un fittizio quanto antistorico asse di simmetria, al quale si uniforma la fascia degli abbaini, portati da cinque a sette con il vantaggio di non distruggere del tutto la poco apprezzabile ala sopraelevata. Seguono le invenzioni stilistiche del portale centrale, sormontato da un balcone, del monumentale cornicione del tetto e della recinzione della piazzetta antistante. Il motivo di un così disinvolto comportamento va ricercato nella tradizione figurativa cui appartiene la facciata: il barocco.
Difficilmente il restauro di un edificio medioevale avrebbe potuto essere condotto con questi metodi senza incontrare l'opposizione di Bronzini, di D'Andrade o di Beltrami, ma una vera rivalutazione dell'architettura barocca era ancora molto lontana, e non solo a Novara. «Comincia un po' di fortuna anche per il Settecento?» si chiedeva giustamente Ugo Nebbia in una favorevole recensione dell'intervento di Broggi: nonostante il notevole successo critico ottenuto dal lavoro novarese non è difficile constatare come, contestualmente al restauro del palazzo, per far posto al moderno ampliamento della sede bancaria venga tranquillamente demolita la sconsacrata settecentesca chiesa di San Nicolao (59).


(1) Carlo Racca, Del duomo e del battistero di Novara, Novara 1837, p. 19.
(2) Ibid.; Oreste Scarzello, «Il Museo Lapidario della Canonica e gli antichi Monumenti Epigrafici di Novara», Bollettino Storico per la Provincia di Novara (d'ora in poi BSPN), 1931, p. 7.
(3) Pier Giorgio Longo, Angelo Luigi Stoppa (a cura di), Carlo Francesco Frasconi. Erudito Paleografo Storico. Novara 1754-1836. Atti del convegno (11 dicembre 1982), Novara 1991.
(4) Cfr. Daniela Biancolini (a cura di), Il secolo di Antonelli. Novara 1798-1888, Novara 1988; Maria Grazia Porzio, «Gli ingegneri, gli architetti, i misuratori», in Il Nobile Collegio Caccia e la Formazione del Ceto Dirigente Novarese, Novara 1991; Emiliana Mongiat, «Scultura pubblica e storica nella Novara dell'Ottocento», in Le storie di Salomone e altre opere d'arte novaresi, Novara 1992; e i numerosi interventi di Bianchini (1784-1854) nello Spigolatore Novarese e in Iride Novarese.
(5) Mario Nagari, «I costituti di Pietro Ponzani», BSPN, 1971, p. 48. Su Orelli (1768-1845): M. G. Porzio in D. Biancolini (a cura di), op. cit., pp. 258-67; sulla sua cattedra di architettura (1803-45), poi coperta da Giuseppe Belletti (1846-64): Augusto Lizier, Le Scuole di Novara e il Liceo Convitto, Novara 1908, pp. 146, 167, 198, 223-25, 273.
(6) I pochi esempi di eclettismo novarese sono spesso opera di autori esterni: il progetto non realizzato di dogana e deposito commerciale, composto alla maniera di Carlo Promis (1856) è di Giuseppe Bollati, architetto di Trecate residente e operante a Torino (ASN, Disegni, iv, 28-39); il «concetto d'architettura longobarda» del manicomio provinciale (1870-75) è di Francesco Lucca, ingegnere del Genio civile di Milano (Giuseppe Fassò, Giorgio Imazio, «Qua e là», in Monografie novaresi, Novara 1877, p. 362); il neorinascimentale teatro Coccia è del milanese Giuseppe Oliverio (1885-88). Più vicino a Marietti (cfr. par. 3) un progetto di colorazione nello «stile dei castelli italiani del 1500» di Luigi Gottardo Prina (1877), ingenuo e privo di riferimenti storici, non fa che confermare l'assenza di un'autentica cultura eclettica cittadina (Colore e Ambiente, vol. I, Novara, a cura di Alberto Oliaro, Firenze 1982, pp. 38 e 73).
(7) II primato di Busser (1795-1872), erede della buona scuola di Orelli, e di Rivolta (1818-1873) è segnalato in Giuseppe Fassò, Giorgio Imazio, op. cit., p. 362. Col suo tardo alunnato torinese presso Bonsignore, Rivolta fa giungere in città modelli ormai in disuso, come nella chiesa del Monserrato (1855), ripresa dalla facciata di San Pantaleo a Roma di Giuseppe Valadier (1805).
(8) Francesco Antonio Bianchini, Il Duomo di Novara e le sculture del corpo di guardia, Novara 1836, p. 45; cfr. Mario Perotti, L'antico duomo di Novara e il suo mosaico pavimentale, Novara 1980 (rist. 1995), p. 75.
(9) Giuseppe Fassò, Società Archeologica pel Museo Patrio Novarese. Relazione pel quinquennio 1874-79, Novara 1880, pp. 13, 39; D. Biancolini (a cura di), op. cit., p. 258; M. Nagari, op. cit, data però al 1848 la morte di Teresa Orelli.
(10) Pietro Zambelli, «Necrologia dell'ingegnere architetto Antonio Busser», La Verità, 23 maggio 1872 (rist. in Id., Elogi e necrologie, Novara 1880, p. 279).
(11) ASN, Atti del Consiglio Comunale di Novara, 28 maggio 1853, ff. 24v-25r.
(12) Francesco Antonio Bianchini, Del Palazzo di Giustizia di Novara, Novara 1854, pp. 5, 10, 16. Le colorite espressioni di Bianchini si riferiscono ai progetti per il macello e il foro boario.
(13) ASN, Atti del Consiglio Comunale di Novara, 23 maggio 1854, f, 44v.
(14) Amico Ricci, Storia dell'Architettura in Italia dal secolo IV al XVIII, vol. II, Modena 1858, p. 369. Più riduttivo il giudizio di Ricci (1794-1862) sul Duomo di Novara, che, pur valorizzandone il contesto, non menziona però le moderne opere dell'abside celebrate dagli autori che seguono semplicemente Bianchini e Racca (ibid. vol. I, Modena 1857, pp. 100-101; Modesto Paroletti, Viaggio romantico pittorico delle provincie occidentali dell'Antica e Moderna Italia, vol. III, Torino [1837], pp. 179 e 213-214; Goffredo Casalis, Dizionario geografico storico statistico e commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, vol. XII, Torino 1843, p. 100; Guglielmo Stefani, «Dizionario Corografico degli Stati Sardi di terraferma», in Dizionario Corografico Universale dell'Italia, vol. II, Milano 1854, p. 649).

(15) Maria Grazia Vinardi in D. Biancolini (a cura di), op. cit., pp. 208-29; Angelo Luigi Stoppa, «A chi la responsabilità vera dell'abbattimento dell'antico Duomo di Novara?», Novarien, n. 18, 1988.
(16) Ibid., p. 17 (il progetto è approvato il 17 ottobre 1854).
(17) Carlo Racca, Del divisamento di atterrare l'antico duomo, Novara 1856, p. 3.
(18) Id., Gli epitaffi del camposanto di Novara, Vigevano 1834, p. 30.
(19) Id., Del divisamento di atterrare l'antico duomo, cit, p. 7; cfr. Thomas Hope, Storia dell'architettura, Milano 1840.
(20) Archivio di Stato di Vercelli, Arborio Mella, 116, lettera Racca 26 ... 1859.
(21) Note manoscritte di Racca su un articolo del 24 febbraio 1859 siglato A.E, ma secondo lo stesso canonico scritto da Antonelli (da D. Biancolini [a cura di], op. cit, p. 216). Racca (1804-1867) espone precise opinioni su Giuseppe Argenti e Pompeo Marchesi nella lettera 26 ... 1859 cit.
(22) Carlo Racca, I marmi scritti di Novara romana, Novara 1862, pp. 87-88.
(23) Raffaele Pareto, «Duomo di Casale», Giornale dell'ingegnere architetto e agronomo, 1861, p. 470.
(24) Lettera Piacenza 2 luglio 1862, da D. Biancolini (a cura di), op. cit., p. 221; Raffaele Pareto, «Duomo di Novara», Giornale dell'ingegnere architetto e agronomo, 1861, tav. 13. Giuseppe Maria Gioello Piacenza (1811-1898) è personalità notevole: ingegnere del Genio militare piemontese, generale combattente nelle campagne del 1848 e 1860-61, amico di Cavour, deputato, è figlio adottivo dell'architetto del re Giuseppe Battista Piacenza.
(25) Biblioteca Reale di Torino, archivio Promis, lettera Arborio Mella 15 dicembre 1855; cfr. Filippo Morgantini in BSPN, 1984, pp. 484-485.
(26) Ms. di Giovanni Rho, cit. da Tatiana Kirilova Kirova, «Metodologie d'intervento nei restauri della metà dell'Ottocento in Piemonte: il Duomo di Casale Monferrato», Rivista di storia arte e archeologia per le province di Alessandria e Asti, 1977, p. 108; sui restauri del Duomo di Casale cfr. Liliana Pittarello in Marco Rosci, Enrico Castelnuovo (a cura di), Cultura figurativa e architettonica negli stati del Re di Sardegna 1773-1861, Torino 1980, pp. 774-778; e Filippo Morgantini, Edoardo Arborio Mella restauratore (1808-1884), Milano 1988, pp. 29-33.
(27) Gazzetta di Novara, 30 dicembre 1858, cit. da D. Biancolini (a cura di), op. cit., p. 215.
(28) Ibid.
(29) Relazione Magnani Ricotti, 7 novembre 1861, cit. da Daniela Biancolini (a cura di), op. cit., p. 217; cfr. Maria Laura Tomea Gavazzoli (a cura di), Museo novarese: documenti studi e progetti per una nuova immagine delle collezioni civiche, Novara 1987, p. 187. Michele Caffi (1814-1894), eroe risorgimentale, avvocato, studioso d'arte e archeologia collabora a molte riviste italiane. Vi è notizia di un suo previsto incontro con Arborio Mella riguardo al Duomo patrocinato da Racca (Archivio di Stato di Vercelli, Arborio Mella, 116, lettera Racca, timbro postale 31 maggio 1861).
(30) Edoardo Arborio Mella, «Della forma delle chiese e loro maggiore o minore idoneità all'esercizio del culto», Annali Cattolici agosto 1864, pp. 299-300, dove segnala i disegni del Duomo di Heinrich Hübsch, Die Altchristlichen Kirchen nach den Baudenkmalen und älteren Beschreibungen und der Einfluß des altchristlichen Baustyls auf den Kirchbau aller später Perioden, vol. I, Carlsruhe 1862, p. 115; vol. II, Carlsruhe 1863, tavv. 53-54.
(31) Per gli acquerelli cfr. Paolo Verzone, «II Duomo, la Canonica ed il Battistero di Novara», BSPN, 1934; per le fotografie cfr. M. Perotti, op. cit, pp. 39 e 43; e M. Tomea Gavazzoli (a cura di), op. cit, pp. 203-209 (con altri disegni del Colla).

(32) O. Scarzello, op. cit, p. 10.
(33) Ibid.; ACCN 1875, pp. 277 e 295.
(34) Su Marietti cfr. D. Biancolini (a cura di), op. cit, pp. 292-303.
(35) Per il progetto del tempietto, firmato e datato 1876, cfr. ibid., p. 303; per un'immagine del tempietto prima della demolizione Angelo Luigi Stoppa, «La restaurata Canonica del duomo», Novara. Notiziario economico, n. 8-9, 1971, pp. 37 e 41 (altre fotografie del 1970 presso Foto Zambruno, Novara; e cartolina degli anni Trenta presso Carlo Castelli, Novara, che ringrazio della cortese disponibilità, insieme con Maria Carla Uglietti che mi ha gentilmente segnalato queste fonti).
Per un catalogo dei pezzi del Duomo cfr. P. Verzone, op. cit, pp. 29-34; M. Perotti, op. cit, pp. 117-118; M. Tomea Gavazzoli (a cura di), op. cit, pp. 187-225. La folta vegetazione che in parte nascondeva il tempietto, dandogli un caratteristico aspetto pittoresco, è già visibile in un'immagine del 1889 («Novara», in Le cento città d'Italia, Milano 1889, p. 43).
(36) ASN, Museo, 103.
(37) La Novara Sacra del Vescovo Venerabile Carlo Bescapé, tradotta in italiano con annotazioni e Vita dell'Autore dall'Avvocato Cav. Giuseppe Ravizza, Novara 1878, p. 42.

(38) Su Fassò (1833-1893) cfr. G. Ferrari, Gazzetta della Valsesia, 4 febbraio 1893, 11 febbraio 1893, 18 febbraio 1893, 25 febbraio 1893, 4 marzo 1893; Savoia, Gazzetta di Novara, 8 febbraio 1893; G[iorgio] I[mazio], «Ricordi per l'ingegnere Giuseppe Fassò morto nel dì 5 febbraio in Novara», ibid., 11 febbraio 1893; La Piccola Cronaca, 8-9 febbraio 1893; Corriere di Novara, 29 gennaio 1893, 8 febbraio 1893; Gazzetta del Popolo, 6-7 febbraio 1893; Rivista Valsesiana, n. 23, 1908; la Valsesia, n. 6, 1958; Costantino Baroni, «L'arte a Novara e nel novarese», in Novara e il suo territorio, Novara 1952, p. 615; Luigi Fassò, Nel Pantheon valsesiano, Varallo 1961, pp. 147 e sgg; Casimiro Debiaggi, Dizionario degli artisti valsesiani, Varallo 1968; M. G. Porzio, «Gli ingegneri, gli architetti, i misuratori», cit., p. 186. La data del matrimonio con Giuseppina Avondo è desunta dalla morte dell'Antonini (1821-1869). Per i molti consigli e per la disponibilità nel facilitare le ricerche su Fassò ringrazio Casimiro Debiaggi, Franca Tonella Regis e Costantino Fassò, che ha anche messo a disposizione le carte di famiglia conservate a Borgosesia e fornito preziose notizie altrimenti irreperibili.
(39) Giuseppe Fassò, Società Archeologica pel Museo Patrio Novarese..., cit; ASN, fondo Museo, 102; Alessandro Viglio, «La Società archeologica pel Museo Patrio Novarese», BSPN, 1917; Silvana Bartoli, «La 'Società archeologica' novarese ed altre società ancora», BSPN, 1988; Maria Tomea Gavazzoli (a cura di), op. cit, pp. 114, 430.
(40) Giuseppe Fassò, Società Archeologica pel Museo Paino Novarese..., cit., pp. 14-15. La porta intagliata è donata dal rag. Giuseppe Paganini (ASN, Museo, 102, copia lettera Fassò 6 aprile 1879), che nel 1859 deve arretrare la casa e ricostruirne la facciata per l'allargamento di corso Cavour (ASN, Atti del Consiglio Comunale di Novara, 28 maggio 1853, p. 42; ACCN, 10 aprile 1860; Anna Maria Dondi in Daniela Biancolini, a cura di, op. cit, p. 290). Lavori di liberazione degli ornati di casa della Porta da parte di Fassò, forse per la realizzazione dei gessi, sono menzionati in un documento del 1901 (Alessandra Duchetti, «Giuseppe Bronzini e i grandi restauri novaresi», BSPN, 1991, p. 780; cfr. «Novara che se ne va», Gazzetta di Novara, 26 agosto 1900).
(41) G. Fassò, Società Archeologica pel Museo Patrio Novarese..., cit., p.18.
(42) Relazione Fassò, 18 giugno 1878, sul Broletto in Giuseppe Fassò, «Palazzo di Giustizia». BSPN, 1925, pp. 137-141. Su Arienta (1826-1900) cfr. C. Debiaggi, op. cit.; sulla Società valsesiana, nata nel 1875 (Giovanni Albertoni presidente, Arienta vicepresidente, Gian Giacomo Massarotti segretario), Michele G. Cagna Paglione, Michela Cometti Valle (a cura di), Varallo nel secolo XIX (1814-1900), Mostra documentaria, Varallo 1982, pp. 43-44; Enrica Ballarè, Raccontare un museo. Ambiti culturali e processi costitutivi della pinacoteca di Varallo Sesia, Varallo 1995, pp. 22-23.
(43) Lettera Arienta, Varallo 6 giugno 1878 (ASN, Museo, 102). Altre lettere di Arienta dei 1890-92 (CFB) mostrano l'intima amicizia e i comuni interessi dei due valsesiani. Sul legame di Fassò col paese natale cfr. Via ferrata Novara Varallo. Album delle principali opere d'arte, Borgosesia 1885, omaggio di Fassò alla memoria di Antonini venduto in favore dell'asilo infantile di Borgosesia (La Valsesia, n. 6, 1958, p. 8).
(44) G. Fassò, «Palazzo di giustizia», cit.
(45) G. Fassò, Società Archeologica pel Museo Patrio Novarese..., cit, pp. 15, 18-19. Lavori compiuti con un «ponte mobile meccanico [...] suscettibile di essere alzato e abbassato ogni giorno», procurato a Milano da Fassò per non intralciare l'attività del tribunale (ASN, Museo, 102, copia lettera Fassò 9 aprile 1879).
(46) G. Fassò, «Sull'opera del Prof. Giovanni Rossi Croma e squadro», Rivista di Matematica elementare, 1878; G. Fassò, «Archeologia...», cit. (nel disegno di ricostruzione della cupola, basato sui ritrovamenti avvenuti durante la demolizione, Fassò inserisce anche il frontone proposto dall'O-sten, ibid,, pp. 115-17).
(47) G. I[mazio], op. cit. L'architettura di Fassò conferma tali considerazioni nel cimitero di Borgosesia, sua opera principale (cfr. disegno Fassò, 29 aprile 1870 in Michele G. Cagna Paglione, G. Bolengo Barana, a cura di, Borgosesia e... Agnona, Aranco, Ferruta, Foresto, Isolella nei documenti degli archivi comunali, Borgosesia 1986, p. 36) e in quello di Agnona (pur escludendo il tardo tempietto centrale), ma sembra più vicina al repertorio di Promis nell'altare del Rosario della collegiata di Borgosesia e in quello di Santa Caterina nel Duomo di Novara (1881-83), teso a valorizzare la pala di Gaudenzio Ferrari, per la quale Fassò disegna la nuova cornice e invita a consulto per il restauro del dipinto Francesco Gamba e Carlo Arpesani da Torino, Arienta da Varallo, Morbio e Rusconi (Mario Perotti, II duomo di Novara. Guida storico-artistica, Novara 1995, pp. 118-120; Marina Dell'Omo Rossini, La cattedrale di Novara. Arredi e decorazioni dal Cinquecento all'Ottocento, Torino 1993, p. 158; ASN, Museo, 102, Proposta di minuta..., non firmata ma autografa Fassò). Ancora nel Duomo Fassò prosegue le edicole antonelliane (altari di San Gaetano e della Madonna del Riscatto) e nel 1877 realizza con l'ing. Carlo Busser, figlio di Antonio Busser, l'Indicatore delle Alpi sul baluardo Quintino Sella (ACCN, 1876, p. 290; ibid., 1877, p. 279). Altre indagini potrebbero definire i suoi interventi nel teatro di Trecate, nella «facciata della chiesa di Villafalletto» (opera eseguita «in provincia» secondo la contraddittoria indicazione di C. Baroni, op. cit, p. 615) e nelle scuole comunali di Agnona (M. G. Cagna Pagnone, G. Bolengo Barana, a cura di, op. cit, pp. 157 e sgg.).
(48) «Rapporto: la torre delle Ore», in S. Bartoli, op. cit, pp. 480-481. Un'altra nota, non di mano di Fassò, svilisce anche il Broletto, che «non conserva più che pochissima traccia della antica costruzione» e non ha «nulla di rimarchevole tranne che il carattere più semplice delle costruzioni dell'epoca dei Visconti» (ASN, Museo, 102).
(49) A. Rusconi, «Il museo novarese», in Monografie novaresi cit., p. 318. Sulla Commissione cfr. F. Morgantini, Edoardo Arborio Mella..., cit, pp. 58-59.
(50) G. Fassò, Società Archeologica pel Museo Patrio Novarese..., cit., p. 19.
(51) Rapporto del signor ispettore degli scavi e monumenti del circondario di Novara, relazione a stampa di Antonio Rusconi 25 ottobre 1881, e perizie Fassò 14 giugno 1881 sul battistero di Agrate Conturbia e la chiesa di Santa Maria delle Grazie (ASN, Museo, 102); lettera del prefetto di Novara Pissavini 2 agosto 1884 e copia lettera Rusconi 2 agosto 1884 (ASN, Museo, 139).
(52) Prima Esposizione Italiana di Architettura. Torino 1890, Torino 1890, pp. 25-26; lettera Fiorelli 5 ottobre 1889 e copia lettera Fassò 7 gennaio 1890 (ASN, Museo, 102). Nel 1889 il ministro Fiorelli chiede a Fassò i suoi disegni per compilare il catalogo dei monumenti e nel 1890, probabilmente su incarico ministeriale, Fassò impegna ancora il fotografo valsesiano Pizzetta in una campagna di riprese degli stessi edifìci (CFB, lettera Arienta 25 aprile 1890). Fassò è inoltre membro della commissione di vigilanza sulle cappelle del Sacro Monte di Varallo (Michele G. Cagna Paglione, a cura di, Il Sacro Monte di Varallo. Mostra documentaria, Borgosesia 1984, p. 36; CFB, fasc. relativo a perizie sul Sacro Monte). È invece Rusconi (1829-1889) a tentare una prima rivalutazione del Castello di Novara, con argomentazioni eminentemente storiche ma con buona sensibilità per i problemi conservativi degli avanzi esistenti (A. Rusconi, «II castello di Novara», in Monografie novaresi, cit).

(53) M. Tomea Gavazzoli (a cura di), op. cit, p. 486. Il ruolo di collegamento del Tarella (1831-1908) è stato rilevato anche da Giovanni Romano («Atlante figurativo della Regione», Ricerche di Storia dell'Arte, n. 9, 1979, p. 92).
(54) Per tutta la vicenda cfr. A. Duchetti, op. cit, pp. 770-791.
(55) Ibid., pp. 749-70; sul ruolo di Beltrami cfr. Appendice.
(56) Su Bronzini (1867-1956) cfr. A. Duchetti, op. ,cit; Id., La figura di Giuseppe Bronzini e la problematica del restauro nella Novara tra XIX e XX secolo, tesi di laurea, Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura, a.a. 1989-90; Walter Canavesio, Filippo Morgantini, «Bronzini Giuseppe», in Allgemeines Künstler-lexikon, vol. XIV, München-Leipzig 1996; a questi studi si rimanda per tutte le informazioni riportate qui di seguito.
(57) Ministero della Pubblica istruzione, Elenco degli Edifici Monumentali, vol. III. Provincia di Novara, Roma 1911; cfr. Id., Elenco degli Edifizi Monumentali in Italia, Roma 1902.
(58) Luigi Broggi, Il Ristauro dello storico Palazzo Bellini in Novara ora sede della Banca Popolare, Milano 1908.
(59) U. N[ebbia], «Bibliografìa», Rassegna d'Arte, n. 6, 1908, p. IV; C. S., «Lo storico palazzo Bellini nuova sede della Banca popolare di Novara», L'Illustrazione Italiana, 20 settembre 1908; E. Andreoni, L'Edilizia a Novara, Novara 1916, pp. 17-18. Inizialmente non era previsto l'acquisto e l'abbattimento della chiesa, deciso, in seguito a progettazione avanzata (Daniela Biancolini Fea, «Per un repertorio del Liberty novarese», in Novara da scoprire, Novara 1989, p. 74).