Note e documenti

Luca Beltrami per la conservazione del Castello di Novara (1900-1902)

di Amedeo Bellini

Il dibattito sul destino del Castello di Novara, che ha il suo culmine nel 1902, inizia nel 1880 quando il Consiglio comunale delibera lo studio di un piano regolatore. Dopo varie vicende(1), nel 1891 un progetto dell'Ufficio tecnico è approvato in sede comunale ma respinto dal ministero; vi si prevedeva l'urbanizzazione dell'area del Castello, tagliato a metà da una strada che muoveva dall'attuale piazza Martiri. Già nel 1887 il Comune aveva preso contatti con gli uffici finanziari dello Stato per ottenere un restauro della fronte del Castello, affacciata verso la città, in condizioni indecorose. La risposta era stata una proposta di cessione in cambio di uno stabile per il carcere provinciale che vi era ospitato.
Al 1890 datano effettive pratiche per l'acquisizione; si giunge, nel 1893, a un accordo che prevede l'acquisto per 60.000 lire oltre alla cessione gratuita di un'area per il nuovo carcere, per un valore complessivo di 72.000 lire. Esso sarebbe poi stato ceduto alla fondazione Omar per la realizzazione di una scuola di arti e mestieri.
L'accordo è notificato dal Ministero delle Finanze a quello della Pubblica istruzione: il parere è necessario per le caratteristiche monumentali dell'edificio. La prospettiva di una conclusione positiva della trattativa appare concreta, tanto che nell'aprile 1894 l'Istituto professionale di Arti e mestieri «Omar» bandisce un concorso per il progetto dei fabbricati da erigersi sull'area del Castello, precedendo di due mesi il parere di Alfredo D'Andrade, direttore del competente Ufficio regionale per la Conservazione dei monumenti.
Contrario alla demolizione, egli era stato interpellato dal ministero per redigere la risposta dovuta agli uffici finanziari e a essa egli farà seguire, nel gennaio 1895, una relazione storica che sottolinea la rilevanza dell'edificio. Tuttavia, la Direzione generale di Antichità e belle arti si dichiara disponibile ad autorizzare la cessione e il successivo trasferimento all'istituto «Omar» purché si conservino le parti monumentali(2).
La questione torna di attualità quando nella sessione ordinaria del Consiglio comunale di Novara dell'autunno 1900, poi in quella straordinaria del 1900-1901, si approva il progetto dell'architetto G. Giachi per un piano di edificazione (Nuova Novara) sull'area del Castello e nelle sue adiacenze; in esso si riprende quanto previsto da E. Andreoni nel concorso indetto anni prima e poi inserito nel piano regolatore(3). Nell'ottobre 1900 gli atti giungono alla Commissione provinciale per la Conservazione dei monumenti, che non accetta la demolizione dell'edificio, proponendo al contrario che «non sia solo conservato, ma che a cura del proprietario siano mantenute in buono stato di conservazione le parti artistiche di esso site verso la piazza»(4).
Nonostante questo preciso pronunciamento, in effetti consultivo, il progetto non è abbandonato e intorno ai suoi contenuti si svolge un dibattito spesso aspro che contrappone i fautori della demolizione e quelli della conservazione, conclusosi fondamentalmente con una discussione in Consiglio comunale il 19 e 20 febbraio 1902 nel quale si approva un ordine del giorno della Giunta a favore della continuazione delle trattative con lo Stato per ottenere la cessione del Castello. Ciò permise agli uni di dichiarare che la vicenda era giunta alla sua naturale e positiva conclusione, giacché lo scopo finale era la realizzazione delle nuove edificazioni; agli altri di sperare in un'opposta conclusione, poiché non era stato accolto un ordine del giorno che proponeva l'immediata realizzazione del piano.
Il dibattito è di notevole interesse, al di là dei personalismi che talora lo pervadono, per molti motivi. Si verifica una notevole analogia con quanto era avvenuto a Milano nella vicenda del Castello sforzesco, la cui esistenza era stata minacciata da un progetto per un quartiere residenziale con motivazioni economiche simili, con le stesse false giustificazioni di igiene edilizia, gli stessi giudizi approssimativi sul significato storico, il valore artistico dell'architettura, la possibilità di un restauro e persino sul senso morale della sua presenza.
Si dibattono, inoltre, alcuni temi concreti dell'urbanistica di Novara, ma soprattutto si esplicitano gli argomenti attraverso i quali Luca Beltrami difende il Castello, tipici e quasi riassuntivi della sua lunga battaglia per l'integrità del patrimonio artistico. Stretta infine, ma è quasi superfluo ricordarlo, l'analogia tra gli argomenti tecnici ed economici dei sostenitori dei nuovi quartieri e quelli che sono stati utilizzati a giustificazione delle grandi speculazioni edilizie che hanno ovunque martoriato il territorio italiano, specialmente nel secondo dopoguerra. Da notare che dal 1910 si sono susseguiti vari progetti di restauro dell'edificio(5), tuttora abbandonato, mal utilizzato, in lento degrado, oggetto di interventi, assai pochi per fortuna, più distruttivi che conservativi.
Le ragioni che vengono avanzate a favore delle nuove edificazioni sono di varia natura(6). Da un punto di vista urbanistico si afferma che l'espansione esterna della città è bloccata su ogni altra direttrice dalla presenza di ferrovie o di borghi già così estesi da non consentire che si vada oltre: soltanto a ovest è possibile uno sviluppo che consenta una continuità fra vecchia e nuova città, a patto che si sopprima la frattura costituita dal Castello. Le ragioni di igiene edilizia militano a favore di un'area ben collocata, areata(7), mentre il sacrificio dei giardini pubblici e del viale alberato detto «delle carrozze», costituiti in gran parte da vegetazione malata e in rapido degrado, sarebbe stata compensata da una maggiore quantità di verde prevista dalla lottizzazione.
A questo si aggiungono argomenti economici: costruire entro la cinta daziaria consentirà un incremento di introiti; l'edificazione è strettamente necessaria per l'incremento demografico degli ultimi vent'anni e sarà sufficiente per i venti successivi; a carico della società edificatrice saranno strade, fogne, sistemazione dell'area; si creeranno molti posti lavoro. Si nega ovviamente ogni valore artistico al Castello, privo di particolarità architettoniche o decorative, definito «ruinante bicocca» di cui non si riconosce l'antichità, per i molti rifacimenti, né la possibilità del restauro, per il suo totale stato di rudere. Anche da un punto di vista storico esso è definito non luogo dello splendore delle corti, ma prigione dei cittadini, «luogo di dolore e pena», che una città non «debole» avrebbe già dovuto demolire(8). Giachi stesso afferma di averlo ben considerato trovandolo privo di qualità(9).
A sostenere la conservazione potevano quindi intervenire soltanto la «retorica della poesia», «manie e fissazioni antiquarie», un «sentimento lirico insostenibile», una «tenerezza morbosa». Ovviamente si fanno anche confronti tra quanto si perde, ovvero il nulla, come sopra definito, sul piano culturale, soltanto un carcere da un punto di vista pratico, e quanto si guadagna, contrapponendo i sentimenti di giovani che nella vita vedevano il solo lato poetico con il «risorgimento edilizio» della città(10). Altri argomenti sono di natura più propriamente politica: impedire la realizzazione del progetto provocherà disoccupazione e darà fiato alle «malsane idee» dei sovversivi. Infine, si sostiene che l'opera ha il favore degli organi istituzionali competenti(11), che si colloca sulla linea di una tendenza politica conforme a quella indicata dal governo e dallo stesso re, come documentavano le attività edilizie di Roma, respingendosi ogni accusa di affarismo(12).

La difesa di Beltrami non trascura alcuno dei particolari argomenti così sollevati, ma li colloca nel più generale contesto della difesa del patrimonio artistico, anche nelle testimonianze che egli stesso definisce minori. I brevi articoli(13) dedicati al caso novarese divengono una piccola summa del suo pensiero su svariate questioni: l'espansione urbana, l'importanza della presenza dell'antico nella città moderna, il significato del rudere, la fiscalità municipale, ma soprattutto il valore morale e politico del restauro e il suo rilievo nella formazione della coscienza nazionale.
Punto di partenza è una replica a un articolo della Gazzetta di Novara(14) che lamentava la prossima demolizione dei resti dell'antica casa Allevi attribuendone la responsabilità all'inerzia del Municipio e di una non meglio precisata «Commissione archeologica» che avrebbero potuto intervenire persuasivamente sul proprietario. Beltrami osserva la frequenza delle distruzioni autorizzate da comuni e commissioni archeologiche: il restauro di alcuni monumenti o l'ordinamento dei musei possono far credere che il patrimonio d'arte si accresca, mentre, al contrario, una gran parte è esposta a vandalismi o è dispersa per noncuranza.
Ciò dipende dall'errore secondo il quale l'arte consiste nei monumenti principali mentre essa, «per essere valido insegnamento», deve essere studiata nelle sue manifestazioni secondarie, che sono quelle che preparano la via alle «espressioni estetiche più potenti» e formano attorno a esse «una atmosfera favorevole al sentimento d'arte», sono testimonianze di vita civile. Invece, spesso esse sono considerate una sorta di res nullius da sacrificare ai bisogni materiali senza verificare quanto ciò sia effettivamente privo di alternative. È il caso del Castello di Novara, di cui si annuncia già la demolizione che sostituirà una «rovina» con un nuovo quartiere di «case ridenti».
La difesa del Castello avviene su diversi piani: il rispetto dovuto alla memoria storica; la contestazione che «rovina» sia sinonimo di «assenza di decoro», anzi essa è ispirazione per gli artisti e anche fonte di sentimento poetico per i cittadini, che possono allontanarsi dalla monotona angustia delle vie, dalla città che, ricordando un'affermazione di Manzoni, è la più brutta invenzione dell'uomo. Ciò per il contrasto tra la natura, nelle sue manifestazioni spontanee, e il senso di potenza che mura e spalti suscitano, descritte con insoliti toni romantici.
Chiara l'origine di questi concetti: «La presenza di ruderi di vecchi monumenti invasi e sopraffatti dall'edera e dalla flora particolare delle rovine, ecco gli elementi con i quali in Inghilterra si comprende il paesaggio, non solo come materiale svago del corpo, ma anche come poetico sollievo della mente». E da notare che qui si riscontrano, in forma estesa, accenti lirici assai poco frequenti in Beltrami, che tuttavia si riconduce a una più consueta concezione razionale laddove definisce tutto ciò «un'influenza intellettuale che pochi ruderi, genialmente ravvolti in una vegetazione lasciata libera a se stessa, possono esercitare»(15), una suggestione che, se fosse compresa, condurrebbe a un maggiore rispetto.
Neppure il fatto che il Castello sia spogliato dalle parti artistiche e abbia perduto, cambiati i tempi, la sua ragione d'essere è fatto sufficiente: se così non fosse Roma potrebbe disfarsi di tutto il suo patrimonio archeologico. Beltrami non nega il fatto che in talune occasioni le esigenze di sviluppo richiedano un sacrificio delle memorie storiche, ciò che offende la sua sensibilità è una posizione pregiudiziale di disprezzo: una negazione a priori dei pregi e dell'«efficacia morale», mentre, anche in presenza di miserabili casupole, se abitate, il prezzo dell'esproprio avrebbe reso meno convinti i fautori delle demolizioni. È cioè l'assenza di un valore di mercato a determinare una discriminante. Offensivo e mistificatorio ogni riferimento a questioni igieniche, che si spingono fino alla ridicola affermazione, già utilizzata per sostenere la demolizione del Castello di Milano, che l'eliminazione di quella massa avrebbe favorito l'afflusso alla città dell'aria fresca della montagne.
Ma anche considerazioni non archeologiche sono addotte: le costruzioni previste conducono alla soppressione di migliaia di metri quadrati di verde, di seicento metri di passeggio con un triplice filare di alberi, che non possono essere sostituiti dalla vegetazione attorno alle case isolate, che avrà efficacia soltanto in un lontano futuro. Infine, una posizione assai frequentemente espressa ed estremamente caratteristica per Beltrami: non è attraverso interventi sporadici ed eccezionali, in condizioni di urgenza, che si ottiene la salvaguardia del patrimonio artistico ma attraverso un'azione continuativa e vigile che affronti nel loro complesso le situazioni che favoriscono «i vandalismi».
È lo stesso desiderio di globalità che lo porta a non accettare l'impostazione urbanistica del progetto: non è opportuno provvedere alle necessità di espansione, che nascono da un fenomeno continuativo come l'incremento di popolazione, attraverso l'individuazione di volta in volta di aree esterne o interne alla città, com'era quella del Castello, senza una visione e una previsione complessiva. Neppure accettabile l'idea che un'edificazione interna avrebbe comportato vantaggi finanziari sia per l'incremento dei dazi di consumo sia per le minori spese, non essendovi necessità di nuove vie, piazze, servizi pubblici. Sul primo punto si obbietta con una radicale critica all'equità stessa dell'imposizione dei dazi a una parte degli abitanti: l'argomento degli avversari appare controproducente perché supporre i vantaggi degli uni equivale a confessare l'ingiustizia verso gli altri. Beltrami, amministratore e politico, da largo spazio agli argomenti che toccano questa sfera di interessi: sostiene il carattere anacronistico dell'imposta di consumo e il fatto che non è pensabile che un progetto urbanistico si basi sull'ipotesi della sua sopravvivenza a tempo indeterminato. Questa sua idea, osserva, gli frutta l'accusa di voler aiutare i sovversivi, mentre la riforma è già programma dal governo attuale, «che è persuaso di essere straordinariamente liberale»(16) e di cui, ricordiamo, si sente eventualmente oppositore, ma da destra.
Illusorio anche il risparmio per l'assenza delle spese che oggi diremmo di urbanizzazione, perché diverrà comunque necessaria, con il tempo, un'espansione esterna ed è bene quindi operare facilitando e disciplinando lo sviluppo in forma armonica in ogni zona.
Egli respinge anche un persuasivo argomento: si dice che il Castello, oramai rudere, non potrà certo essere ricostruito, andrà quindi incontro a un degrado sempre più accentuato, fino a pervenire alla distruzione. Un po' capziosamente Beltrami riporta il discorso all'esempio del Colosseo, che, rudere incompletabile, dovrebbe quindi essere distrutto, senza ovviamente considerare che a questo monumento si attribuisce una rilevanza monumentale che non è riconosciuta al Castello di Novara. Più lineare il ragionamento con il quale si respinge la proposta di mantenere in essere una parte dell'edificio qualora gli si riconosca una rilevanza artistica: al di là della diffidenza per una «tolleranza ammessa in via di transazione per le memorie storiche»(17), egli difende un valore che è dato dall'organicità del complesso di murature, di spalti, fossati. Ma soprattutto non è logico distruggere un monumento soltanto perché è remota la possibilità del restauro, a prescindere dal fatto che egli ritiene il costo di demolizione equivalente a quello del restauro.
Beltrami rivendica, contro Giachi, che presuppone una sua certa insufficienza di conoscenza del monumento, il fatto di aver ben studiato il Castello, sia dal punto di vista della consistenza fisica, fino ai rilievi, sia sul piano storico, e soprattutto contesta l'opinione che ne lega la salvezza con il possibile restauro: già ne aveva chiarito il valore come rudere(18). Egli osserva ancora che, mentre si mette sostanzialmente in dubbio la sua competenza, agli organismi che tali sono non si è posto alcun quesito(19).
Politica e morale è la funzione del restauro che contribuisce a rendere gli italiani coscienti di appartenere a una civiltà comune, ma viceversa non sono applicabili giudizi moralistici al monumento, il cui significato positivo, testimonianza d'arte e di civiltà, non è scalfito dal fatto che a esso siano collegati avvenimenti dolorosi, senza dimenticare che, se si demolisse ciò che si trova in quella situazione, ben poco si salverebbe(20). Ad argomenti politici è ricondotta anche la linea da seguire nelle questioni del restauro.
In un articolo dedicato in gran parte a difendere i giovani della associazione Patria e Re, forse toccati dalla sincera protesta dell'ingegner Andreoni(21), egli ne contesta la competenza, come in definitiva quella di ogni progettista, nel dare un giudizio sul valore artistico, che spetta agli organi a ciò preposti, pena la confusione amministrativa e l'inefficacia pratica. Occorrono regolari procedure, rispetto per le attribuzioni e le responsabilità, anche per evitare che le questioni si affrontino quando già si sono creati equivoci e discussioni devianti. Ma tutto ciò deve escludere un atteggiamento che egli considera una della più perniciose abitudini del tempo: lo spirito di sopraffazione, contro il quale mette in guardia i suoi giovani interlocutori. Una sopraffazione, frequente si ha quando per motivi puramente pratici si negano le esigenze dell'arte e della cultura, ma anche viceversa(22).
Non manca una disamina dell'inconsistenza del progetto sul piano economico: vantato come panacea per il risanamento delle finanze comunali e per alleviare la disoccupazione, prevede in realtà cessioni gratuite di terreni e l'uso dei materiali di demolizione; ci si riserva di costruire in vent'anni, prorogabili a trenta; si occupa una minima parte del terreno in tempi brevi, si darà pochissima area e fra molto tempo; si accollano al Comune spese in aree di collegamento; ci si riserva una ritirata indolore nel caso che il mercato non sia in grado di assorbire l'edificato iniziale(23). La conclusione di Beltrami è che si debba escludere che privati possano progettare ed eseguire interventi urbanistici con la necessaria attenzione agli interessi collettivi: come avviene all'estero, soltanto l'iniziativa pubblica deve essere ammessa(24), con una capacità direzionale che egli vorrebbe colta e attenta, perché non accada che la memoria storica e poetica si accolli il deficit tra le spese, necessarie o inutili che siano, e gli sperati guadagni degli speculatori(25).


(1) 1881: esecuzione di un rilievo topografico; 1883: concorso per il piano, nessun progetto è ritenuto totalmente adeguato; 1887: l'Ufficio tecnico comunale elabora una proposta che è respinta dalla Commissione edilizia; 1887: viene nominata una commissione di nove consiglieri per individuare indirizzi.
Queste notizie, come le successive di cui non sia segnalata la fonte e che non riguardino direttamente Luca Beltrami, i suoi scritti, i dibattiti dal 1900 al 1902, sono desunte da Roberto Nuvolone, Marcello Perazzo, Il castello di Novara: storia e problemi di restauro, tesi di laurea, Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura, a.a. 1989-90. Ivi, un'ampia bibliografia sul castello e sulle vicende edilizie e urbanistiche di Novara; di particolare interesse per i precedenti degli avvenimenti qui narrati Alberto Oliaro, Andreino Coppo, Novara, l'evoluzione urbanistica attraverso l'iconografia storica, Novara 1983.
(2) Le corrispondenze ministeriali sono reperibili a Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero della Pubblica istruzione, Direzione generale di Antichità e belle arti, II versamento, II serie, busta 696, fasc. 2521.
(3) Si veda quanto scrive in proposito lo stesso Andreoni con una lettera alla stampa: «L'Ora Nuova e la Nuova Novara, La Gazzetta di Novara, 14 gennaio 1902. Egli, polemizzando con il giornale L'Ora Nuova e sostenendo la bontà del piano, si dichiara vincitore del concorso indetto nel 1883, le cui previsioni per l'area del Castello erano state poi inserite nel piano regolatore e infine confortate dall'approvazione del Giachi. Effettivamente la stampa locale farà quasi sempre riferimento a un progetto «Giachi-Andreoni», per realizzare il quale si costituisce la società per azioni Novarese Lombarda.
(4) ASN, Museo, 103 (da R. Nuvolone, M. Perazzo, op. cit.).
(5) Uno di essi, degli architetti Rizzotti e Bergomi, del 1912, sarebbe stato approvato da Luca Beltrami nel suo «Il restauro del Castello di Novara», Italia Giovane, 7 ottobre 1939. Sulle complessive vicende del Castello si veda anche Alessandra Duchetti, «Giuseppe Bronzini e i grandi restauri novaresi», Bollettino Storico della Provincia di Novara, n.82, 1991, pp. 749-770.
(6) La stampa locale, strumento principale del dibattito, è variamente schierata. La Gazzetta di Novara appare la portavoce dei promotori del progetto, mentre su posizioni opposte si schiera L'Ora Nuova, organo dell'associazione Patria e Re di ispirazione liberal-moderata e monarchica, sul quale Beltrami condurrà la propria battaglia dal 1902, probabilmente chiamatovi sia per un precedente articolo sul Corriere della Sera sia per un'evidente consonanza di posizioni politiche. Più sfumate od orientate per ragioni di schieramento le posizioni degli altri giornali: La nuova Gazzetta, Cronaca Novarese, Il Lavoratore, il Corriere di Novara, sui quali appaiono gli articoli di Giuseppe Bronzini, che sarà uno dei più attenti difensori del patrimonio artistico novarese; sulla sua attività per il Castello e altre architetture della città, si veda A. Duchetti, op. cit, pp. 757-760.
(7) Non mancherà l'osservazione che quelle qualità dovevano condurre alla determinazione di conservare l'area a uso pubblico.
(8) L'articolo del Beltrami sulla «Nuova Novara», La Gazzetta di Novara, 8-9 gennaio 1902.
(9) «La Nuova Novara - per una risposta - una lettera dell'architetto Giachi», L'Ora Nuova, 12 gennaio 1902; l'architetto replica al primo scritto di Beltrami, sullo stesso giornale (cfr. nota 13), affermando che dopo aver avuto, nel 1899, l'incarico per il progetto sull'area del Castello, aveva ben considerato l'edificio per verificare la presenza di parti architettoniche o di frammenti decorativi notevoli, che non aveva riscontrato. A prova adduce anche il fatto che nessun documento storico aveva rintracciato nella locale biblioteca, se non una mappa del 1610. Per gli altri argomenti addotti si veda la nota 18.
(10) È il tema dell'accorata lettera di Andreoni (cfr. nota 3), che difende la sua opera e, soprattutto, la sua buona fede.
(11) Su questo la polemica appare volutamente travisata: Beltrami reclamava il parere degli organi istituzionali di tutela, anche per sollecitarne una maggiore solerzia, mentre in sede locale si allude al consenso del Collegio dei geometri (entusiastico), del Collegio provinciale degli ingegneri e architetti, dell'Ordine provinciale dei sanitari, della Commissione edilizia, dell'assessore competente, dell'Ufficio municipale di Igiene; si veda «La Nuova Novara e il Castello», La Gazzetta di Novara, 5-6 marzo 1902. Sull'intervento degli organi istituzionali si registra anche una precisazione di D'Andrade (cfr. nota 19).
(12) «A proposito di un articolo dell'architetto Luca Beltrami», La Gazzetta di Novara, 12-13 marzo 1902. L'argomento, a cui Beltrami non darà risposta e che non sarà ripreso, poteva essere particolarmente velenoso se non fossero state incessanti le polemiche di Beltrami contro ogni forma di speculazione, di cui non si poteva certamente ritenere responsabile, costituzionalmente, il re.
(13) «II Castello di Novara», Corriere della Sera, 4-5 settembre 1900; e gli interventi in L'Ora Nuova: «La Nuova Novara - In difesa del Castello Sforzesco» (5 gennaio 1902); «Ancora a proposito della Nuova Novara e del Castello Sforzesco» (19 gennaio 1902); «La Nuova Novara - In difesa delle memorie del passato --Alla Gioventù dell'Associazione 'Patria e Re'» (2 febbraio 1902); «La Nuova Novara e il Castello» (2 marzo 1902); «La Nuova Novara, lettera alla direzione del giornale» (23 marzo 1902).
(14) «Novara che se ne va», La Gazzetta di Novara; 26 agosto 1900, cui si fa riferimento nell'articolo citato di Beltrami sul Corriere della Sera. Il periodico indicava nella distruzione del vecchio Duomo una causa della fama di Novara come città con scarso rispetto delle memorie storiche.
(15) Questa citazione e tutte le precedenti sono tratte da L. Beltrami, «II Castello di Novara», cit.
(16) L. Beltrami, «Ancora a proposito della Nuova Novara e del Castello Sforzesco», cit. Si noti che la discussione avviene tra esponenti dello stesso partito liberal-conservatore: i giovani dell'associazione Patria e Re, avversari, in tale questione, de La Gazzetta di Novara, sono consci di questa situazione, che si verifica anche in altre polemiche: «La coesione e il decoro del partito conservatore non possono che evidentemente soffrire». Si veda l'articolo di fondo firmato «feder.», L'Ora Nuova, 2 marzo 1902.
(17) L. Beltrami, «La Nuova Novara - In difesa del Castello Sforzesco», cit.
(18) L. Beltrami, «Ancora a proposito della Nuova Novara e del Castello Sforzesco», cit. Egli risponde al testo di Giachi «La Nuova Novara - per una risposta - una lettera dell'architetto Giachi», cit.. Beltrami ricorda di aver annunciato, nel 1885, con l'uscita del volumetto Appendice alla Rocca Sforzesca di Soncino, la pubblicazione di un'ampia ricerca dal titolo Il Castello di Milano all'epoca degli Sforza e le Rocche Sforzesche di Novara e di Galliate, con documenti e disegni inediti. Lavoro non concluso nelle parti finali, benché per Novara fossero stati fatti disegni, rilievi e concepito un progetto di massima. Non è tuttavia presente, negli archivi che raccolgono le carte di Beltrami, alcun materiale in proposito. Si noti che Giachi osserva, con acutezza, che se l'amore per il verde e il rudere deve essere quello che Beltrami descrive, si potrebbe allora fondare una nuova teoria del restauro dichiarandone l'intangibilità anche a fronte di possibili restauri. Si fonderebbe cioè, ma questo lui non lo dice, una teoria del non-restauro, esattamente ciò che afferma Ruskin, il cui pensiero è certo gran parte di quell'estetica del naturale in Inghilterra a cui Beltrami fa riferimento. Giachi rifiuta l'accusa di aver considerato il Castello res nullius in quanto rudere, o ricordo storico privo di un valore di mercato, avendo basato il suo giudizio di condanna su oggettive osservazioni.
(19) L. Beltrami, «Ancora a proposito della Nuova Novara e del Castello Sforzesco», cit. Nel corso di questa polemica interviene, con alcune precisazioni, Alfredo D'Andrade. Beltrami aveva pubblicato «La piazza delle Erbe in Verona», Il Marzocco, 26 gennaio 1902, in cui condannava la presenza di atteggiamenti contraddittori ed estremi nella tutela: per non turbare un insieme pittoresco, a Verona si impediva qualsiasi variazione nelle case che si affacciavano sulla piazza delle Erbe, venendo meno al riconoscimento di necessità pratiche, mentre a Novara, di fatto, non ci si occupava di un pittoresco ben più rilevante di cui si minacciava la dissoluzione. D'Andrade replica sulla stessa rivista all'accusa, che definisce ingiusta, ricordando che il suo ufficio si era già opposto alla demolizione del Castello nel 1883, quando si voleva costruire una scuola professionale, tanto più decisamente allorché si pensa a una speculazione privata indifferente all'arte. Di questa lettera da notizia anche la stampa novarese nei primi giorni di febbraio. Ricordiamo anche che risale proprio al 1902 una sua iniziativa presso il ministero per ottenere la presenza di un rappresentante degli uffici regionali in tutti i casi in cui si discuta di demolizioni, di iniziative di piano regolatore e via dicendo.
(20) L. Beltrami, «Ancora a proposito della Nuova Novara e del Castello Sforzesco», cit.
(21) Cfr. nota 3
(22) L. Beltrami, «La Nuova Novara - In difesa delle memorie del passato...», cit. Si noti che Andreoni afferma anche che quei giovani avevano considerato un solo aspetto del «prisma», quello della poesia: «felix culpa» ribatte Beltrami, che premette all'articolo i versi manzoniani «Tempra di baldi giovani / il confidente ingegno». A questo proposito Beltrami cita anche qui il caso di Verona raffrontato con quello di Novara, già trattato nel Marzocco (cfr. nota 19).
(23) L. Beltrami, «La Nuova Novara e il Castello Sforzesco», cit, quasi interamente dedicato a una disamina degli aspetti tecnici in risposta a «Nuova Novara», La Gazzetta di Novara, 14-15 dicembre 1901, che presenta il progetto indicando in diciassette punti i motivi che ne consigliano la realizzazione. A queste osservazioni si possono aggiungere quelle formulate in sede locale, secondo le quali i nuovi quartieri prevedono un'offerta di abitazioni incongrua rispetto alla domanda pregressa e prevedibile, poiché l'incremento di popolazione che giustificherebbe il progetto è in gran parte dovuto alla crescita dei ceti operai in relazione allo sviluppo industriale e commerciale della città.
(24) L. Beltrami, «La Nuova Novara e il Castello», cit.
(25) L'intervento di Beltrami, oltre a ottenere una notevole risonanza sulla stampa, trovò il privato apprezzamento di Alberto Pisani Dossi, espresso in una lettera dell'8 gennaio 1902 (Castello sforzesco di Milano, Raccolta Beltrami, A, III, 23, fasc. Sei lettere di Alberto Pisani Dossi a Beltrami).