Recensioni e Segnalazioni

Morto a 90 anni Jacques Le Goff
Era l’ultimo dei grandi storici francesi degli Annales.

Jacques Le Goff nella sua biblioteca in una foto del 1999 [© Sophie Bassouls/Sygma/Corbis]

Nato nel 1924, Jacques approda a Parigi a ventun’anni, un po’ in ritardo, perché in mezzo c’era stata la guerra. In un corridoio dell’Ecole Normale a rue d’Ulm una foto ingiallita lo ritrae in quel 1945: un ragazzino col ciuffo scomposto, molto diverso dall’omone massiccio, cordiale ma riservato, munito dell’inevitabile pipa, che abbiamo imparato a conoscere sulle copertine dei suoi libri. La rive gauche del dopoguerra, dove spadroneggia Jean-Paul Sartre, non lo seduce: la Sorbona gli appare «désolante». Ed è una fortuna, perché lì progettava di specializzarsi in letteratura: invece sarà la storia, ma una storia diversa da tutte le altre, perché anche in quel campo l’approccio accademico lo annoia.

La freddezza con cui Le Goff tratta le grandi istituzioni della cultura francese è ricambiata: non farà carriera in fretta, non avrà mai una cattedra universitaria, e anche negli ultimi anni, al culmine della gloria, non ha avuto un posto fra gli Immortali dell’Académie française. La sua biografia prima dei quarant’anni è quella d’un chierico vagante: una borsa a Praga, una a Roma a sfruttare la meravigliosa biblioteca all’ultimo piano di palazzo Farnese, un anno a Oxford, che tanto per cambiare non gli piacerà per nulla, un altro di nuovo a Roma che invece gli piace molto. Alla fine, nel 1962, un soggiorno a Varsavia nella Polonia comunista, dove fa amicizia con tre sorelle di nobile famiglia, discendenti di un aiutante di campo di Napoleone, due storiche e una archeologa. Poi scopre che c’è anche una quarta sorella, psichiatra infantile, se ne innamora e la sposa. Anna Dunin-Wasowicz, «Hanka», gli rimarrà vicina fino alla morte, nel 2004; a lei dedicherà uno dei suoi libri più intimi, Con Hanka.

Il 1962 è anche l’anno della svolta nella carriera di Le Goff: Fernand Braudel, dopo qualche dubbio iniziale, gli affida una direzione all’Ecole Pratique des Hautes Etudes, uno dei quei grands établissements di cui la Francia ha il segreto e che servono a ospitare le teste pensanti nei momenti in cui la Sorbona è in secca. Finiti gli anni in cui per tirare avanti bisognava scrivere su commissione per collane divulgative, anche se pure in questo caso Le Goff ha saputo tirar fuori dei piccoli classici, come Gli intellettuali del Medioevo. Libero di studiare quello che gli piace, per anni non scriverà più libri - non ha mai pubblicato neppure la grande thèse, una vera eresia per uno storico francese – ma articoli, raccolti nel 1977 in quello che rimane forse il più importante dei suoi libri, Tempo della chiesa e tempo del mercante.

Lo storico, scrisse Marc Bloch in una pagina memorabile, è come l’orco delle fiabe: è attirato dall’odore della carne umana. Anche Le Goff è stato un orco, e non per nulla il volume che i suoi allievi gli hanno offerto per i 75 anni si intitolava proprio così, L’Ogre historien. Ma il marchio di Le Goff è che delle creature umane gli interessa soprattutto quello che fermenta nella testa. Parlare di storia della mentalità è perfino ovvio, oggi, ma è proprio intorno a quel fatale 1962 che gli storici francesi hanno cominciato a definire questa nozione, e Le Goff era in prima fila. Nascono così le domande attorno a cui si snoda Tempo della chiesa e tempo del mercante. Come concepiva il tempo, la gente del Medioevo? Cosa è successo nella loro testa quando è stato inventato l’orologio? Come concepivano il lavoro? Cosa s’immaginavano quando sentivano raccontare storie di draghi, di santi, di fate? Le idee di chi ha studiato si mescolavano – si mescolano: la domanda dovremmo farcela anche oggi – con le idee degli ignoranti?

Le Goff fa dialogare continuamente l’antropologia e la storia della cultura, indaga opere dottissime per arrivare nella testa della gente comune. È così che nasce il suo libro più famoso, Nascita del Purgatorio: libro difficile e anche faticoso, perché l’erudizione di Le Goff scava in un numero prodigioso di testi religiosi e teologici – per arrivare, però, a scoprire una svolta cruciale nel nostro rapporto con la morte e con l’Aldilà. Così, il ragazzino che non sapeva scegliere fra l’insegnamento religioso della madre e l’anticlericalismo del padre ha fatto forse più di chiunque altro per aiutarci a capire meglio un’epoca integralmente cristiana come il Medioevo.

Alessandro Barbero
[La Stampa 2 aprile 2014]