Centri ... storici   [BSPN LXIX [1978] n.2 - pp. 176-178]

In questi anni si è fatto un gran parlare (e ancora oggi si continua) dei CENTRI STORICI, che tutte le città e i paeselli sono tenuti a rispettare a conservare e tutelare, anche eventualmente, sia pure, difficilmente a ricostruire.

Intanto bisognerebbe, a nostro modesto avviso, precisare che cosa si intenda per centro storico, specie quando si parla non di qualche città dalle lontane origini e dalle gloriose tradizioni, ma dei paeselli più o meno agricoli, sviluppatisi in questo ultimo secolo, e che non hanno alcun passato né storico, né industriale, né religioso, né politico.

Si vuole anche in questi privilegiare ad ogni costo un loro centro storico, che non esiste, che non può esistere, in quanto il nucleo anche centrale si riduce a casupole, a caseggiati agricoli, a cortili con ampie aie per le attività contadinesche, ecc. quando non si tratta di letamaie più o meno igieniche e di latrine più o meno abbandonate e maleodoranti. Che ci sia in tutto questo di storico io non vedo.

Certe baracche che riescono a stento a stare in piedi, certi balconi o balconate in legno fradicio, marcio, pericolanti e pericolose per chi si avventura sotto di essi, non possono essere toccati né tantomeno ritoccate o demolite. Sono diventate reliquie intoccabili, ricordi di un recente passato entrati nella storia (chi lo sa come e perché) a vantaggio di chi e di quale istituzione.

E così molti nostri paeselli che l'industria, il progresso, una certa agiatezza hanno reso fiorenti, decorosi e abitabili, rimangono nei loro centri storici emblemi di sporcizia, di disordine, di bruttezza e di trascuratezza.

Si capisce che quando si tratta di castelli, di edifici pubblici e privati (opere di artisti famosi), di ponti, teatri, torri, cittadelle, rocche, abbazie, battisteri, campanili e chi più ne ha più ne metta, ecc. ma soltanto quando meritano e quando il gioco vale la candela.

Non bisogna diventare dei veri e propri feticisti per tutto quanto è passato, per qualunque cianfrusaglia che si ritenga in qualche modo un residuato di che cosa non si sa, perché allora si cade nel fanatismo morboso, irrazionale, ridicolo. Ho dovuto constatare coi miei propri occhi certi balconcini sconnessi, tra ballanti, penzolanti, schiodati, con la proibizione al pubblico, da parte delle autorità, di passarvi sotto, rappresentanti insomma un vero pericolo pubblico che non si può e non si deve eliminare. Vi sono muri sbriciolati, diroccati, screpolati, sudici, scalcinati ammuffiti, che hanno di storico soltanto il loro stato disastroso, e che non sono né possono essere agibili senza un lavoro di riparazione totale. Ma essi sono tabù e vanno lasciati così come sono, a testimonianza delle miserevoli catapecchie abitate dai nostri antenati, che non sognavano certo di stare in case destinate all'immortalità della storia.

Il colmo di questa idolatria del nostro passato, prettamente italiano, sta nel fatto che proclamato il così detto pomposamente centro storico ci si guarda bene dal curarne in qualche modo le brutture o le manchevolezze se ci sono. Il cittadino proprietario non è più libero, anche coi mezzi propri, di intervenire a riparare il riparabile, a provvedere alle eventuali eliminazioni dei punti pericolosi, a smussare un mattone, a inchiodare un asse, se non passa attraverso l'interminabile trafila dei vari uffici statali preposti, o meglio ancora organizzati per intralciare ogni iniziativa privata.

Anche per i centri storici, veramente meritevoli di questo nome, proprietari diffidenti per natura o per principio logico, subiscono il disinteresse generale o quanto meno diffidano delle lungaggini di un iter burocratico, per cui anche i locali utilizzabili, rimediabili rimangono nel loro melanconico abbandono. Spesso gli interessi privati si intersecano con quelli locali o nazionali, di competenza, di bilancio, di opportunità con quelli concorrenziali fra le varie città, e infine con l'ottusità di chi non se ne intende e non vuole quindi neppur sentirne parlare.

Il problema sappiamo investe anche l'urbanistica, l'edilizia, l'ecologia, persino il folclore, ma tutto questo non deve creare un intoppo allo sviluppo dei nostri borghi, delle nostre cittadine, le quali finiscono per restare mummificate, atrofizzate a come erano cento anni fa con tutte le deficienze e gli inconvenienti di allora. Carenze igieniche, strutture irrazionali, caseggiati che trasudano umidità e muffa non certo piacevoli, tutto questo non attribuisce loro alcun blasone di nobiltà per essere ammesse nella così detta cerchia storica.

Noi amiamo la storia, il ricordo del nostro passato lontano e vicino; non siamo di sicuro iconoclasti per principio, né tanto meno eversori delle nostre glorie, ma certe ottusità da parte di certa gente, la quale resta in ammirata adorazione davanti ad un mattone o ad un caseggiato soltanto perché risalgono a cento o duecento anni fa, non riusciamo né a comprendere né a perdonare.

Ogni epoca ha e deve avere la sua espressione artistica, costruttiva, ecc. e quindi ridicolo è il fossilizzarci davanti a certe storture, che se anche risalgono ad anni passati, sono sempre e soltanto storture, senza nulla di storico e non fanno diventare centro storico nessun agglomerato cittadino. Noi non siamo d'accordo su quanto scriveva Gino Capponi in una sua lettera: «Beati i popoli che non hanno storia» perché non hanno avuto di conseguenza sventure o le hanno dimenticate. Siamo invece, del parere di Cicerone, che nel suo De Oratore proclamava: «Historia vero testis temporum, lux veritatis, magistra vitae, nuntia vetustatis, vita memoriae» e cioè la storia è testimonio dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, nunzia della antichità.

Ma quanti di questi conclamati centri storici attuali rispondono ai requisiti ciceroniani? Se essi testimoniano i tempi passati dobbiamo concludere che quelli non erano sempre, né felici, né igienici, né decorosi, e sono la testimonianza di quanto essi erano scomodi, inospitali, disagevoli, disadatti. Senza arrivare al paradosso affermato da uno scrittore inglese essere la storia un enorme mucchio di polvere noi siamo per le opere che hanno resistito, scrive un altro inglese, alla prova dei secoli, per cui hanno diritto a quel rispetto e a quella considerazione cui nessuna opera moderna può pretendere.

Certi centri storici proclamati dagli amministratori con la sicumera e la baldanza di rendere illustri i luoghi natii; non hanno alcun significato né logico né reale.

A[lessandro] Aspesi

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