NECROLOGIE   [BSPN XXVIII [1934] fasc. I-II - pp. 129-132]

L'Ingegnere ALBERTO TARELLA.

Il 1 dicembre dello scorso anno cessava di vivere un fedele della nostra Società fin dalla sua fondazione. Appartenente a una famiglia distinta per tradizioni di coltura e per dignità professionale, il comm. Alberto Tarella fu insegnante, per lunghi anni, nell'Istituto Professionale Omar dove godeva simpatie vive e sincere fra superiori, colleghi e alunni. Oltre che alla sua particolare professione di ingegnere e di docente il Tarella, nipote del non dimenticato avvocato Raffaele Tarella, noto agli studiosi di storia patria novarese, dedicò la sua attività non comune alla vita politica e amministrativa della sua città e fu sempre in prima linea nelle lotte per la buona causa.

Fu membro autorevole di vari Comitati cittadini durante il periodo bellico per l'assistenza ai combattenti e alle loro famiglie; come presidente dell'Unione Costituzionale condusse una lotta vivace e serrata contro il socialismo avanzante sino all'avvento del Fascismo.

Fu il fondatore della Unione Cooperativa Novarese e suo animatore durante e dopo la guerra; resse la Presidenza del Monte di Pietà dal 1927 al 1932; appartenne, per lunghi anni, al Consiglio del Collegio degli Ingegneri.

Particolarissimo amore dimostrò sempre al principale monumento cittadino come Presidente della Fabbrica Lapidea di S Gaudenzio e a lui toccò col buono e valido ausilio dei suoi colleghi, la non lieve fatica di provvedere in questi ultimi tempi alle complesse opere di sistemazione del cupolino e della statua del Salvatore che minacciavano rovina. Come tecnico del nostro massimo Teatro si conquistò altre benemerenze e altri titoli alla pubblica riconoscenza.

Ricordiamo con commossa gratitudine che poco prima di morire volle che una gran parte dei suoi libri, tra cui molti di storia cittadina, andassero ad arricdhire la biblioteca Negroni-Civica.

Con lui scompare uno di quei probi cittadini d'antico stampo che con disinteresse e con inesausta passione si dedicarono al progresso della propria città beneamata.

A[lessandro] V[iglio]

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Il pittore DE MARCHI di Roccapietra

Grave lutto dei nostri fraterni camerati valsesiani è la immatura scomparsa del vecchio e provatissimo fascista pittore cav. Vittorio De Marchi figura tra le più popolari ed amate di Valsesia, nota per la sua eccellenza nell'arte del disegno, per la sua attività civica e per la sua alta anima caritatevole. Egli si spense serenamente di questi giorni dopo sofferenze affrontate con stoica fortezza e spirito cristiano turbato solo dal pensiero d'aver lasciato incompiuto qualche disegno di bene, che molti ancora ne vagheggiava pei suoi simili, pel Partito e per la sua Valsesia. Egli fu nei tempi difficili del primo assestamento il primo podestà di Varallo e lasciò ottima traccia della sua opera di avvedutezza e di bontà che seppe conciliare tanti avversi e persuadere ed infiammare tanti tiepidi.

Come presidente della Società per la conservazione delle opere d'arte e dei monumenti in Valsesia pose a servizio la sua bella coltura ed il suo fine intuito; fu alacre presidente dell'Ente autonomo del Turismo in Valsesia ed alla conoscenza ed alla affluenza dei turisti nella sua terra diede impulso inusitato con calore d'entusiasmo; le sue mirabili facoltà didattiche svolse presso la Società d'incoraggiamento per lo studio del disegno e presso l'Opera Pia Barolo di cui fu membro e presidente; e membro del Consiglio Provinciale dell'Economia Nazionale di Vercelli vi portò col suo fino buon senso valsesiano e con l'attività che poneva in ogni atto ed ufficio della sua, vita lo spirito moderno e l'aura fascista dei nostri tempi. Noi che lo ebbimo, quand'era nostro comprovinciale ancora, compagno di lotte e di aspirazioni e che lo sentimmo sempre vicino con la sua squisita anima di amico fedele ne piangiamo la morte precoce e ci sentiamo vicini con tutto il cuore alla superstite piccola schiera dei suoi famigliari ed alla numerosissima degli amici dhe ebbe, dovunque passasse, pel suo buono ed alto animo.

G[iuseppe] Lampugnani.

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Il Sacerdote Don ANDREA PAGANI

Togliamo da: L'Azione Novarese del 4 maggio corr. alcune parti della nota commemorativa del nostro Socio affezionato cav. sac. don Andrea Pagani. Ci associamo al lutto dei parenti e degli amici e ricordiamo che don Pagani ebbe nella sua professione di giornalista una predilezione speciale per gli argomenti di storia e d'arte interessanti la nostra regione.

«Un gravissimo attacco di appendicite ha in pochi giorni trascinato alla tomba il sacerdote cav. Don Andrea Pagani, la cui forte fibra aveva sino all'ultimo lasciato sperare nella guarigione.

La notizia della sua morte immatura, subito sparsasi in città e nella Diocesi, ha prodotto penosa impressione, specialmente nella zona borgomanerese, ove egli aveva vasta parentela e amicizie numerose.

Dotato di un ingegno versatile e di una eccezionale resistenza al lavoro, intensissima è stata la sua varia operosità. Dopo un periodo di ministero sacerdotale in parrocchia aveva dedicato la sua esuberante attività all'azione sociale e al giornalismo. Al tempo dell'imperio dei rossi militò pure nel campo politico, assumendo anche la direzione della organizzazione provinciale. Fu segretario della Giunta diocesana quando ne era presidente il Rev.mo Mons. cav. Marucco ed in quel tempo diresse il nostro giornale. In seguito fondò «La Provincia di Novara», settimanale, al quale impresse un caratteristico indirizzo personale e che egli redigeva dalla prima all'ultima linea di stampa. Competente nel problemi della vita comunale e provinciale ad essi rivolse in modo precipuo la sua attenzione nelle sue trattazioni giornalistidhe. Era stato per vari anni corrispondente dei quotidiani cattolici di Torino e di Milano.

I suoi funerali, svoltisi nel pomeriggio di lunedì, raccolsero nella Chiesa di S. Martino, ove la salma era stata trasportata, grande parte della popolazione del sobborgo, nel quale per tanti anni aveva esercitato il suo ministero sacerdotale, il Clero della città e molti sacerdoti giunti dai paesi vicini, numerose rappresentanze di associazioni, i parenti, gli amici. Intervennero tutti i direttori e vari redattori dei giornali cittadini. Dopo le esequie dal pergamo il Rev.mo Mons. Can. Cavigioli con accorata parola ne ha ricordato la instancabile attività e l'opera multiforme».

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NECROLOGIE   [BSPN XXVIII [1934] fasc. IV - pp. 307-315]

Lutti nella famiglia della Società Storica Novarese.

Anche per il 1934 la nostra Società deve segnare la scomparsa di buoni e ragguardevoli Amici e Soci. Con profonda tristezza adempiamo il mesto ufficio di segnare in queste pagine i loro nomi e il loro incordo.

Singolare figura di prode combattente in guerra, di valoroso fascista della prima ora, di onesto, fattivo, coscienzioso amministratore fu quella del Generale Comm. ING. FILIPPO ODDONE MAZZA, morto improvvisamente nella sua diletta Oleggio, assistito dalla fedele Compagna della sua vita.

La sua nobile carriera si riassume così:

Nato il 2 aprile 1884 a Casale Monferrato, compie con onore gli studi classici, si laurea a Bologna in ingegneria civile. Allo scoppio della guerra si arruola volontario col grado di tenente di complemento. Nel 1915 è promosso capitano e con tale grado partecipa a tutta la guerra. Dopo la quale riprende il combattimento nelle file fasciste: crea i primi nuclei di Milizia in Novara e viene nominato Console comandante della Legione da Lui costituita. Il 1° luglio 1923 è promosso Console Generale comandante il 3° Grappo di Legioni (Vercelli, Pallanza, Novara). Indi passa al comando delle Legioni Bergamasche; poi a quello delle Legioni di Piacenza che tenne fino al 1930. Viene chiamato in quell'anno al comando del 7° Gruppo Camicie Nere di Brescia e nel maggio 1932 a quello del Gruppo di Torino e poco dopo al comando di quelle di Cagliari col grado di Luogotenente.

A Novara coperse importanti cariche nel Fascio; tenne con onore la Podesteria del Comune e la Vice Presidenza del Consiglio Provinciale dell'Economia.

I suoi contatti con la nostra Società risalgono al periodo della sua Podesteria, quando Egli sentì la bellezza del progetto da noi proposto e difeso del restauro del Broletto. Per lo slancio con cui Egli accolse l'iniziativa della Società Storica a cui diede, si può dire, il battesimo ufficiale, il Consiglio Direttivo lo acclamò suo Socio Benemerito. Il progredire della sua carriera gerarchica gli tolse la soddisfazione di poter condurre avanti l'impresa che trovò però subito altri appassionati assertori e realizzatori.

Ci inchiniamo reverenti alla memoria di questo prode soldato, probo cittadino, fedele milite dell'idea fascista.

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Nella prima decade di agosto del '34 spirava, dopo lunghe sofferenze, all'età di 77 anni, il CONTE DOTT. GAUDENZIO TORNIELLI DI B0RGOLAVEZZARO.
Fu un gentiluomo nel più completo significato della parola, d'una bontà e d'una rettitudine esemplari a cui mantenne fede per tutta la sua vita. Alieno dal mescolarsi nelle lotte degli uomini, era generalmente amato e stimato. Si riconosceva in lui il discendente di una stirpe illustre, di cui portava i segni nel nobile aspetto, nel tenore di vita, nei modi schietti e cortesi, nell'abitudine allo studio, nella predilezione per le arti, per la campagna, per i fiori di cui era cultore appassionato. Come tutti gli spiriti eletti amò la montagna con il raccoglimento di un meditativo.

Fu amico sincero della nostra Società e fu sempre pronto a rispondere alle sue iniziative. Debbo qui ricordare le sue contribuzioni alla nostra pubblicazione e il suo interesse per la rinascita artistica di Novara. Ricordo che subito dopo il restauro del palazzo antico del Comune, avendogli io chiesto, con qualche titubanza, due grandi affreschi che Egli conservava a Barengo, nel Castello, per ornare le pareti dell'Arengo, subito mi rispose che accettava con riconoscenza l'invito: e inviò in dono al Comune i due affreschi quat-trocenteschi. Anche morendo si ricordò del Museo Civico a cui lasciò in dono un quadro di notevole valore.

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Il 12 novembre decedeva improvvisamente il RAG. CAV. UFF. ORESTE BENEVOLO che esplicò la sua multiforme e incessante attività nel campo industriale. Mente aperta alla coltura e cittadino affezionato a Novara, seguì con simpatia l'opera della nostra Società a cui spontaneamente aderì considerando titolo d'onore l'esservi inscritto.

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Dopo breve malattia scomparve dalla scena della vita, a Milano, l'8 dicembre del '34, il DOTT. ING. CESARE IONGHI LAVARINI, Comm. di S. Gregorio Magno e della Corona d'Italia.

Nato il 25 dicembre 1864 a Milano, di famiglia ossolana, percorse una egregia carriera nelle Ferrovie dello Stato. I gravi doveri dell'ufficio e poi la vecchiezza non gli impedirono di dedicare il fervido ingegno e la vivace memoria, allo studio e a pubblicazioni diverse.

Proprio in questi ultimi tempi egli aveva dato la sua collaborazione alla nostra Rivista, rievocando degnamente la figura e l'opera di Enrico Bianchetti. In una pubblicazione a parte completò le sue ricerche estendendole alla storia della sua diletta Ornavasso col bel volume: Ornavasso nella sua storia sacra e civile. Così, prima di uscire di vita, lasciò, come figlio devoto, alla sua Terra prediletta duraturo documento del suo amore verso di lei rivelandole le sue glorie municipali.

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A ricordare la nobile figura del venerando GR. UFF. AVV. B. CALDERINI, che fu amico fedele della nostra Società Storica, ripubblico qui, col consenso del Dott. Comm. P. Strigini, la succosa e appassionata biografia che egli ne pubblicò in Corriere Valsesiano di Varallo, nel numero del 23 giugno 1934-XII.

La figura del benemerito apostolo dell'alpinismo si illumina di una luce più bella, se si rievoca la di lui vita morale ed intellettuale, che fu tutta una ascensione luminosa, per aspera ad astra, veramente degna di essere imitata dalla nostra gioventù. Nato a Cavallirio (Novara), il 29 maggio del 1847, da Giuseppe Calderini e da Anna Maria Comero, sortì da natura, insieme con una forte robustezza fisica, una ferrea indomita volontà ed un non comune ingegno. Il padre, l'ottimo padre suo, che, sebbene di modeste condizioni finanziarie, s'era cattivata la più larga benevolenza e fiducia fra i suoi compaesani, ebbe per molti anni a disimpegnare lodevolmente la carica di sindaco: egli bene comprese le attitudini e doti del figlio suo, e con non lievi sacrifici, dopo aver frequentato le classi elementari in una scuola privata diretta da suo zio, il piccolo Basilio fu mandato alle Scuole ginnasiali della nostra Varallo, e compì poi gli studi classici nel R. Liceo di Novara, segnalandosi sempre fra gli alunni meritevoli di premio. Per proseguire nella carriera più conforme alla sua vocazione, si presentò all'esame di concorso per un posto nel Collegio Carlo Alberto delle antiche Provincie, e lo vinse classificandosi primo fra i concorrenti.

Così si avviò agli studi universitari, nella facoltà di giurisprudenza, riportando ogni anno in tutte le materie i pieni voti assoluti e vincendo il premio dei Concorsi Dionisio e Balbo — Bricco — Martini. Nel luglio del 1871 conseguì la laurea con i voti massimi e la lode: anzi ebbe l'onore dì veder pubblicata a spese del Ministero della P. I. la sua tesi di laurea sul tema: Del Matrimonio, della sua indissolubilità nell'ordine naturale, giuridico ed economico, e della separazione personale dei coniugi.

L'anno sguente fu subito nominato Ripetitore di leggi nel Collegio Caccia, carica che disimpegnò per oltre 30 anni facendo poi parte della Commissione per gli esami interni degli allievi. In quel tempo fu pure membro dell'Istituto giuridico universitario e della Commissione regionale per gli studi sul decentramento amministrativo.

Non trascurò il Calderini la sua carriera professionale: compiuta la pratica legale nell'ufficio del prof. avv. Orazio Spanna, aperse in Torino studio di avvocato, insieme col distinto avvocato alagnese Antonio Grober, che gli fu sempre amico fraterno e lo precedette nella Presidenza del CAI. Al giovane avv. Calderini, che si rivelò presto professionista zelante, studioso, diligente e scrupoloso, non mancò una numerosa e scelta clientela, specialmente per cause davanti alla Corte di Appello; e la sua singolare valentia fu riconosciuta ed altamente apprezzata da tutti i suoi colleghi che lo circondarono sempre della più alta stima e fiducia. Continuò l'esercizio suo professionale, con onore e fortuna, per più di quarant'anni; ma, uomo di carattere superiore, che non aveva mai considerato il suo delicato ministero come fonte esclusiva di materiale ricchezza, nella sua esuberante attività e nel suo vivo desiderio di far del bene, si sentì attratto alle cariche pubbliche.

In questo campo, quanto instancabile fervore di opera intelligente e disinteressata! quanta larga, inesauribile fonte di bene!

Socio fin dagli anni universitari del Circolo Filologico di Torino, di cui volle la iscrizione vitalizia, fu poi fino al 1912 membro di quel Consiglio di amministrazione.

Giovane robusto, dai polmoni sani e dai garretti d'acciaio, si innamorò presto della montagna; nel 1870, si iscrisse socio del CAI nella Sezione di Varallo, rivelandosi un appassionato alpinista, audace scalatore di vette, degno compagno a quanti venivano, come lui, considerando l'alpinismo come una palestra non solo di forze fisiche ma anche di forze morali e spirituali. Delegato per molti anni a rappresentare la nostra Sezione nelle assemblee, venne nel 1878 nominato Membro del Consiglio direttivo della Sede centrale di Torino, con la funzione fiduciaria di Vice-Segretario Generale: carica a cui attese con tanto zelo e con tanta singolare competenza che nel 1887 ebbe la nomina di Segretario generale del CAI con la riconferma lusinghiera fino al 1906.

Venuto improvvisamente a mancare il compianto comm. Angelo Rizzetti, la Sezione nostra del C. A. I., nell'assemblea generale del settembre 1912, lo proclamava suo Presidente; nella quale carica fu poi ogni anno riconfermato per acclamazione unanime dei soci fino al giorno luttuoso della sua ineluttabile dipartita.

Ma la sua particolare competenza e valentìa di alpinista e di amministratore ben meritava un più alto riconoscimento, e nel 1919 egli fu elevato alla carica di Presidente Generale del C. A. l. e messo così in grado di recare alla benemerita Associazione tutto il suo maggior contributo di intelligente e zelante operosità per il desiderato suo incremento più rispondente alle alte finalità della vita nazionale.

La sua capacità amministrativa, corroborata dallo studio profondo delle leggi e dalla più scrupolosa probità oggettiva, doveva non meno utilmente rivelarsi nella vita comunale e provinciale. Nel 1886 fu eletto Consigliere provinciale per il Mandamento di Carpignano Sesia, a cui apparteneva per origine materna, e per l'ottima prova fatta confermato in questa fiduciaria rappresentanza, con votazioni splendide, nel 1887, nel 1889, nel 1890, nel 1898, e nel 1899.

Nel 1906 ebbe la stessa nomina per il Mandamento di Romagnano Sesia, a cui apparteneva il suo Cavallirio; ma intanto le sue elette qualità venivano riconosciute ed apprezzate, e, chiamato fin dal 1887 a far parte della Deputazione Provinciale di Novara, non solo vi rimase poi sempre confermato, ma nel 1910 il valente Deputato anziano, in seguito alle dimissioni rassegnate dal Presidente grand'uff. ing. Carlo Maggia, fu chiamato all'altissima carica di Presidente della Deputazione Provinciale, nella quale rimase, esempio di inappuntabile adempimnto del dovere, fino al 1920. Come ricordare in modo particolareggiato l'opera da lui svolta in quel periodo non facile di vita amministrativa? Basterebbe compulsare, con un po' di pazienza, gli Atti del Consiglio provinciale di Novara.

Nell'estate del 1920 la montante marea rossa del socialismo allontanò l'avv. Calderini dalla Deputazione provinciale; ma, coll'avvento riparatore del Fascismo, quando fu sciolto il Consiglio Provinciale di Novara, il 30 novembre del 1922, fu nominata in via straordmmia una Commissióne Reale per l'Amministrazione della Provincia, della quale fu chiamato a far parte, insieme col Vice prefetto Salvetti, con l'avv. G. Voli, con l'on. R. Forni e con l'on. N. Mecco, l'avv. B. Calderini, che di buon grado prestò l'opera sua fino al 26 luglio 1923.

Ripensando alla sua operosità amministrativa, non si può tacere che come Deputato Provinciale fu relatore di molte fra le più importanti e gravi pratiche della Amministrazione della Provincia di Novara, quali il regolamento per gli ospizi degli esposti, il regolamento delle Cattedre ambulanti di agricoltura, il regolamento zooiatrico, il regolamento sul manicomio, qullo sugli impiegati e salariati e su molti altri oggetti.

Dal 1910 in poi, fu sempre relatore sui bilanci e sui conti annuali della Provincia; e dal 1898 intervenne, quale rappresentante della Provincia di Novara, a quasi tutti i Congressi delle Rappresentanze provinciali del Regno, prendendo parte viva alle discussioni dei temi più importanti di indole amministrativa. In tutti gli uffici a lui affidati diede continue belle prove della sua cortese affabilità di modi e del suo immenso amore del pubblico bene. Basterebbe leggere, a tale proposito, i giudizi lusinghieri manifestati da tutti i personaggi più eminenti che hanno avuto modo di conoscere da vicino la somma ponderosa di utile lavoro da lui compiuto, come l'on. Q. Sella, l'on. C. Perazzi, il gran-d'uff. Maggia, l'on. Rizzetti, il comm. Grober.

Dal 1923 per la sua età ormai avanzata di 76 anni, volle limitare la sua operosità alle cariche pubbliche minori ed alla prediletta Associazione dell'Apinismo, che amò (come già si è detto) di un amore veramente paterno.

Fra gli uffici minori si possono ricordare quello di rappresentante del Consiglio provinciale nell'amministrazione del Santuario di Boca e quello di membro della Commissione locale del traffico ferroviario del Compartimento delle quattro Provincie del Piemonte; nel primo contribuì efficacemente a far risorgere il grandioso tempio dovuto al genio architettonico di A. Antonelli, e nel secondo cooperò validamente ad assicurare, sulla linea ferroviaria Novara-Varallo, la quinta coppia dei treni permanente e diretta.

Tutti questi servizii utili e preziosi da lui resi con infaticabile lena alla sua Provincia, al suo Paese e alla sua Valsesia, a cui sempre si dimostrò particolarmente affezionato, non potevano non costituire tante benemerenze agli occhi di tutti, sebbene la sua modestia fosse schiva da ogni sorta di pubblicità elogiativa, quindi ben meritate furono le onorificenze di cui S. M. il Re lo volle successivamente insignire: nominato Cavaliere della Corona d'Italia nel 1890, Cavaliere Ufficiale nel 1900 e Commendatore nel 1904, venne nel febbraio del 1914 elevato a Grand'Ufficiale dello stesso Ordine cavalieresco, e più tardi insignito anche della Commenda Mauriziana.

Per brevità, tralasciamo qui di far cenno delle opere da lui licenziate per la stampa su varii argomenti di natura legale ed amministrativa, così come e degli eventi principali attraverso cui si svolse la sua vita famigliare, esemplarmente bella di tutte le più miti virtù. Di lui sarà, certamente, detto più esaurientemente.

Noi che lo abbiamo conosciuto molto da vicino, che ne abbiamo altamente apprezzate ed ammirate tutte le peculiari doti di mente e di cuore, che abbiamo potuto comprendere il bene immenso da lui compiuto con tanto inesauribile spirito fattivo, ora che egli è scomparso così improvvisamente, così imprevedutamente, perché la sua robusta fibra ci lasciava fiorire nell'animo pieno di desiderio la più lusinghiera speranza, ora che egli non è più, sentiamo che la sua bella figura dello stampo antico si viene ingigantendo a mano a mano che il luttuoso giorno della sua dipartita si allontana.

Cavallirio, l'umile ridente paesello che gli ha dato i natali, saprà rendere al grande suo Figlio le più degne onoranze con un tangibile segno duraturo che ne tramandi ai posteri la cara immagine paterna, improntata a quel dolce sorriso di bontà infinita, che è il sincero riflesso della soddisfazione di ogni dovere esemplarmente compiuto verso Dio, la Patria e la Società. E la Valsesia, che lo ebbe caro nella estimazione ammirata, così come i compianti comm. prof. ab. Pietro Calderini e comm. prof. dott. Giovanni Calderini, non sarà seconda al di lui natìo paesello nel commosso reverente ricordo che l'arte evocatrice sa consacrare sempre fra noi a Chi tutta la sua vita ha prodigalmente dedicata al pubblico bene.

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Notiziario   [BSPN XXVIII [1934] fasc. IV - pp. 316-324]

Il Duce a Novara..

S. E. il Capo del Governo l'8 di ottobre scorso, a compimento di un antico e ardente desiderio espresso a più riprese dalla cittadinanza novarese, venne a visitare Novara.

Giornata indimenticabile. L'entusiasmo, schietto e veemente, seguì e avvolse, in ogni momento della sua giornata novarese, l'Uomo prodigioso. Non ci è sfuggito il fenomeno della improvvisa trasformazione d'una gente quieta e attenta alla sua quotidiana fatica, raramente accessibile agli impeti e alle esplosioni, che, tutta presa dal grande evento e ammaliata dalla presenza del suo Capo, si abbandonava a manifestazioni di amore e di gioia commoventi.

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Il Duce al Broletto.

Delle visite compiute da Mussolini al Colle della Vittoria e alle diverse istituzioni cittadine, parlarono ampiamente i giornali quotidiani e i locali. A noi piace porre in rilievo particolare la visita del Duce al Broletto.

Dal Teatro Coccia, dopo il suo memorabile discorso ai Novaresi e dopo l'inaugurazione della II Mostra Sindacale d'Arte, per Corso Vittorio Emanuele II, a piedi, in mezzo a due acclamanti ali di popolo, seguito dai Gerarchi, giunse all'ingresso del Broletto dalla Piazza del Duomo. Nel cortile suggestivo e austero lo attendeva la falange gloriosa dei Mutilati novaresi coi quali si trattenne affabilmente. Salito dalla grande scala arengaria, visitò, nella sala della Credenza, la ricca mostra dei bozzetti delle opere compiute o progettate dalla Provincia, dal Comune di Novara e dai singoli Comuni e Istituti del Novarese. Qui Egli ebbe modo di osservare coi suoi occhi che il motto da Lui dato ai Novaresi nel discorso dal terrazzo del Teatro Coccia: Novara fa da se, era già in via di attuazione.

Per la loggetta settecentesca, stipata dalle donne dei Fasci femminili della Provincia di Novara, e per la scala della Galleria d'Arte Moderna discese all'ingresso del Museo dove erano ad attenderlo il R. Sopra Intendente ai Monumenti per il Piemonte e la Liguria, Prof. G. Mancini e il Direttore degli Istituti culturali novaresi, Dott. A. Viglio.

S. E. Mussolini, accompagnato da tutte le Gerarchie del Partito e dalle principali Autorità cittadine, con la guida del dott. A. Viglio, visitò minutamente e con evidente compiacimento le sale del Museo recentemente sistemato nella nuova sede. In modo particolare lo interessò la grande sala archeologica nella quale Egli vide raccolte le tracce della civiltà preromana e romana della nostra Regione. Egli volle essere informato del tempo e del carattere delle civiltà preromane succedutesi nel nostro territorio e delle località dove furono trovali i relitti e dei valichi da cui i barbari traboccarono nella nostra pianura.

Il notevole numero delle are romane e della suppellettile romana raccolta nel Museo e altrove gli inspirò considerazioni di orgoglio nazionale sigillate da questa conclusione espressa con grande vigoria di gesto e di voce: Da ogni via e in ogni tempo sono venuti i barbari in Italia; ma noi li abbiamo o assorbiti o respinti, sempre!

Dopo essersi compiaciuto per la sistemazione del Museo compiuta con decoro e modernità, S. E. Mussolini, dalla sala d'armi passò a visitare la Galleria d'Arte moderna donata al Comune dal Comm. Alfredo Giannoni.

Da S. E. il Prefetto Letta il Comm. Giannoni viene presentato al Duce, all'ingresso. Subito S. E. Mussolini si rallegra col Comm. Giannoni per il suo atto di generosità intelligente e s'accompagna a lui nella visita alle numerose sale contenenti tante e tante opere preziose dell'arte dell'800, dal Giannoni donate in due riprese al Comune di Novara. Anche il numeroso e ragguardevole seguito sosta qua e là ad ammirare quadri e scolture che la passione tenace di un cittadino aveva raccolta con grandi sacrifici durante un trentennio per offrirle in nome dei suoi Genitori alla Città prediletta.

Prima di lasciare la Galleria, il Duce rinnova al Comm. Giannoni le espressioni del suo vivo compiacimento.

Così, con la visita al Broletto, il Duce consacrava il compimento delle opere di restauro di questo insigne monumento che il Fascismo ha dissepolto dalle croste e dalle macerie di secoli semibarbari; la nuova sistemazione del Museo Civico che la Podesteria Tornielli-Toscano volle compiuta con larghezza di mezzi e con tutto il possibile decoro; il completamento della Galleria Giannoni, già inaugurata dalle LL. AA. i Principi di Piemonte e ora arricchita di quattro nuove grandi sale.

Qui è il centro di Novara artistica: qui è il documento di una recente rinascita del culto dell'arte nella città nostra e la certezza di ulteriori e maggiori sviluppi per l'avvenire.

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Il Museo Civico nella nuova sede.

Per volontà della benemerita Podesteria il Museo Civico dalla sua sede del Palazzo del Mercato, dove si trovava un poco spaesato, è stato trasferito nell'ala di levante del Broletto nei locali ricavati a pian terreno e al primo piano dell'antico Palazzetto dei Paratici, coevo al Palazzo dell'Arengo, e in un'ala che si protende a levante adiacente allo stesso palazzetto.

Il progetto delle sette sale è dovuto all'architetto Morbelli in collaborazione con l'allora Sopra Intendente Prof. Pacchioni. La sistemazione della suppellettile archeologica e artistica è stata compiuta dal Direttore Prof. A. Viglio, per mandato del Signor Prefetto e del Signor Podestà di Novara, in collaborazione, per la parte archeologica, con il Sopra Intendente Prof. G. Mancini e, per il resto, sotto la vigilanza e con l'approvazione del nuovo Sopra Intendente per l'arte medioevale e moderna, Prof. Aru.

Il concetto seguito dall'ordinatore è stato quello di procedere a una radicale selezione del materiale costituente il Museo anteriore, non soltanto perché era richiesta dallo scarso numero di ambienti messo a disposizione del nuovo Museo, ma precisamente anche perché, come tutti oggi sanno, anche senza essere aquile, un Museo deve diventare, quanto più sia possibile, un ambiente respirabile e visitabile con profitto e con godimento dal pubblico.

Il museo anteriore, sistemato negli anni 1910 e 1911 nelle sale del grande palazzo neo-classico dell'Orelli, voleva essere, più che altro, una prima abbondante accolta di tutto ciò che, avendo qualche anche modesto interesse locale, veniva offerto o trovato o acquistato e di tutto ciò che la benemerita Società Archeologica nel decennio 1870-1880 era venuta raccogliendo. Tra quel materiale v'erano cose bellissime, cose belle e cose mediocri. Gli ordinatori di quel primo Museo ebbero, ad ogni modo, il grande grandissimo merito di aver creato una ordinata raccolta, là dove non c'era che una congerie indigesta di oggetti.

Se quel Museo non fosse stato messo su, sia pure con scarsi mezzi e con i criterii del tempo, oggi non sarebbe stato possibile formare questo.

Oggi è stato possibile, con più larghi mezzi, provvedere alla salvezza di pezzi preziosi (quadri e statue) e alla loro degna collocazione, ambientandoli in modo da mettere in rilievo tutto il loro valore. È stato necessario uniformarsi in qualche modo al carattere degli ambienti ricavati, intonandovi supporti e mobili di compendio; è stato necessario rinunciare, per esempio, a vetrine anche ben costruite ma di stile settecento o metà dell'ottocento e ordinarne delle altre o modificare quelle profondamente per creare i mobili razionali in ambienti razionalizzati. Ciò che fu impossibile accettare e mantenere è l'intonaco terranova giallo o rosso in ambienti destinati a raccogliere opere pittoriche del quattro, cinque e seicento. Alla prova dei fatti quei colori e quell'intonaco esercitano un'azione visiva deleteria sui colori delle opere esposte. È ormai riconosciuto che tale intonaco, se può presentare vantaggi sulle vaste superfici esterne degli edifici, negli ambienti piccoli, destinati a esposizione, costituisce sotto molti aspetti, anche pratici, oltreché estetici, una cattiva trovata. Non diciamo poi dell'evidente stridore creato da tale arricciatura e da tali colori teatrali in una sala di netta struttura dugentesca anche se, ad arte, sfisionomizzata.

Selezione severa degli oggetti, sobrietà di esposizione, sfarzo di individualizzare i pezzi in modo che ciascuno richiami per sé quel tanto di attenzione che è necessaria per un contatto utile tra l'osservatore e l'opera; decoro di mezzi e spazialità conveniente e ricerca della luce adeguata, ecco i criterii che sono stati seguiti fedelmente e rigorosamente nella sistemazione del Museo Civico nella nuova sede.

Resta da fare una piccola guida che spieghi al visitatore il valore e il significato di ogni oggetto e di ogni opera. Dopo ciò Novara avrà adempiuto al suo primo compito verso le sue raccolte d'arte. Nel tempo futuro gli sforzi potranno dirigersi verso un incremento delle raccolte, con l'aiuto della fortuna e della volontà di renderle sempre più preziose e importanti.

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Il Presidente della Società Storica Novarese, On. Gr. Cr. E. M. Gray, durante la visita di S. E. il Capo del Governo alle sale del nuovo Museo Civico, gli offerse, a nome della Società Storica, alcune pubblicazioni molto elegantemente rilegate in un volume, riguardanti la storia e i restauri degli edifici del Broletto di Novara. Il Duce ringraziò l'on. Gray, mostrando di gradire assai il dono.

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Il completamento della Galleria d'arte moderna Paolo e Adele Giannoni.

Come è detto in altro articolo, il Duce, nella sua visita dell'8 ottobre u. s., molto ebbe a compiacersi della ricca, raccolta donata dal Giannoni al Comune.

Per la storia, è da incordare che dopo la prima donazione di opere d'arte fatta al Comune nel 1931, sistemata nelle sale ohe furono inaugurate dalle LL. AA. i Principi di Piemonte, il Giannoni manifestò l'intenzioae di procedere a un secondo atto di donazione per integrare la prima. E la Podesteria Tornielli, da parte sua, preparò e attuò un progetto di ampliamento studiato dall'arch. Lazanio, che ebbe il triplice grandissimo risultato di restituire al Comune la sua antica proprietà sulla cerchia del Broletto, di risanare igienicamente e artisticamente gli edifici di ponente e di aggiungere nuove sale alla Galleria d'Arte Moderna. Così altre quattro sale vennero a completare la Pinacoteca Giannoni; e in esse trovarono degna collocazione centinaia di quadri, tra cui alcuni di vaste dimensioni e di eccezionale valore.

All'ordinamento di queste sale e al riordinamento delle altre presiedette lo stesso Comm. Giannoni aiutato dai pittori Fornara, Nomellini e Vinzio.

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L'Archivio Storico del Comune nel Palazzo della Biblioteca Negroni.

L'importante Archivio Storico del Comune, formato da decine di migliaia di cartelle bene ordinate e costituito da fondi diversi (Archivio del Contado - Archivio del Comune - Archivio del Dipartimento d'Agogna - Archivio del Museo - Archivio Tornielli Brusati), per deliberazione del Podestà Marchese Tornielli e del Vice Podestà Dott. Toscano, sarà, fra pochi mesi, definitivamente e decorosamente sistemato nel Palazzo della Biblioteca Negroni. L'Amministrazione della Biblioteca, presieduta dal dott. prof. G. Lampugnani, ha prontamente aderito a questo desiderio del Comune di unificare gii istituti culturali affini della Citta accogliendo nella sua sede il vasto Archivio Storico del Comune. Gli istituti concentrati sotto una unica direzione nello stesso decoroso ambiente, potranno così più rapidamente e convenientemente soddisfare alle esigenze degli studiosi che rivolgono le loro ricerche alla storia della nostra Città.

Intanto, per accordi intervenuti con l'Amministrazione della Biblioteca Negroni, il Comune ha predisposto un piano di costruzione nella sede attuale della Biblioteca, il quale permetterà la sistemazione degli Archivi e aggiungerà il beneficio di più ampio respiro al materiale librario delle Biblioteche che va rapidamente aumentando.

A cose compiute daremo una più particolare notizia dell'auspicata riunione.

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Sezione Novarese della Società Nazionale per la Storia del Risorgimento.

Il giorno 4 dicembre 1934-XIII, nella sala maggiore della Biblioteca Negroni, convocata dall'on. E. M. Gray Delegato da S. E. De Vecchi, si radunò un'accolta cospicua di Autorità politiche, militari, civili, di cittadini e di studiosi ad ascoltare la parola dell'on. prof. avv. Giorgio Bardanzellu, Presid. della Sezione torinese della Soc. Naz. per la Storia del Risorgimento, espressamente incaricato da S. E. il Presidente della Società Nazionale.

L'on. Gray prima di presentare l'Oratore, manifestò la propria soddisfazione, perché all'invito rivolto a studiosi e cultori novaresi di questa disciplina, tanto vicina al nostro cuore di Italiani, avevano aderito in una settantina.

L'on. Bardanzellu, con appassionata parola, detti quali siano i nuovi orientamenti da seguire negli studi e nelle interpreiazioni della Storia del Risorgimento italiano, che sono ormai divulgati anche e specialmente per i recenti articoli di S. E. il Senatore Quadrumviro De Vecchi, incitò i Novaresi a raccogliersi insieme e a lavorare per l'incremento della Società Nazionale, costituendo una Sezione attiva; e, volgendosi poi ai giovani presenti si rallegrò del loro interesse alla nobile disciplina ripromettendosi da essi un contributo concreto e fattivo alla Sezione Novarese.

Così fu costituita definitivamente la Sezione Novarese della Società Nazionale per la Storia del Risorgimento, alla quale auguriamo molti anni di vita intensa e di utile collaborazione alla Società Nazionale.

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Il Palazzetto del novarese Pietro Turci a Roma.

Il Messaggero di Roma pubblicò il 20 maggio 1934 un articoletto di Curiosità romane: La Piccola Cancelleria, in cui sono interessanti notizie sopra questo edificio importante costruito nel '500 dal Novarese Pietro Turci, Segretario delle Lettere Apostoliche.

Peccato che, sinora, non abbiamo potuto rintracciare notizie intorno a questo intelligente nostro concittadino. Riproduciamo intanto l'articoletto.

Sul mezzo di via del Governo Vecchio, tra la ressa incessante che si fa dentro e intorno alla Pretura Unificata (verboso squittire dei causidici, affannato accorrere delle parti in lite, rombare di auto, picchiettio indiavolato che con dita nervose fanno diecine di dattilografe) c'è qualcuno che trova un attimo per dare un'occhiata alla Piccola Cancelleria?

Eppure il palazzetto, così snello e stretto e bruno che par quasi una torre, forato nella massa compatta dalle piccole finestre, con quei ciuffi di verde e quei fiori ai davanzali che bastano però a dare anche più forza alle linee architettoniche patinate dal tempo, riversa nell'animo di chi la contempla un senso di misteriosa calma.

Questa casa fu eretta al primo aprirsi del secolo fortunato, - il Cinquecento - in Via del Governo Vecchio 124, la qual casa è una gioia sì cara che senz'altro fu attribuita a Bramante e per gran ventura non fu guasta da moderni restauri.

Così opinava Achille Monti e un espertissimo studioso quale il Gnoli sentenziava senz'altro che la bella casa in riquadro fu murata sui disegni di Bramante Francesco Lazzari. «Una tal casa la chiamano il modelletto della Cancelleria, e sono bellissime le costruzioni, volgarmente cantine, che s'inoltrano per la loro ampiezza fin sotto la metà della pubblica via».

L'anno segnato nell'iscrizione ci riporta al 1500, ossia proprio nel momento in cui Bramante era giunto a Roma: insieme col Chiostro della Pace sarebbe questa la prima opera romana del celebre rinnovatore dell'architettura classica!

Ma se il nome dell'artista rimane nell'ombra (quante volte purtroppo succede così…) la vecchia pietra conserva ancora nei segni della lunga iscrizione latina una breve storia sulle origini della casa e sulle intenzioni di chi la fece costruire.

Era un dignitario della corte di Alessandro VI che avendo messo insieme un po' di beni, volle farsi un quieto ricovero e s'incontrò per sua buona sorte in un architetto «che seppe fargli una casa così bella e gentile da essere oggi tenuta per una delle più vaghe che di quel secolo ancora ci rimangono».

L'iscrizione non facilmente decifrabile suona così:

«Dopo il lungo vivere affannoso affinchè in così veloce mutazione dei tempi o per qualche repentino avvenimento non si perda in breve ciò che si è acquistato, a vantaggio suo e dei posteri, Giovanni Pietro Turci di Novara, segretario delle lettere apostoliche, fece nel 1500».

E noi - nella nostra qualità di posteri - lo ringraziamo.

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Statistiche delle Biblioteche   [BSPN XXVII [1934] fasc. IV - pp. 325-329]

Come ogni anno, pubblichiamo le statistiche particolari riguardanti la vita delle nostre due biblioteche; tale pubblicazione, pur nella aridità delle sue cifre, dice chiaramente l'interesse dei concittadini per questa istituzione culturale e il modo come l'istituto risponde ai bisogni intellettuali della Città. Un fatto importante è da mettere in rilievo nella vita delle Biblioteche per il 1934 e cioè il grande rinnovamento che si va operando per volontà della On. Podesteria Tornielli-Toscano e del Consiglio di Amministrazione delle Biblioteche stesse. Come diciamo in altra parte della Rivista notevoli opere di costruzione e di restauri predisposte e in via di felice esecuzione permetteranno di sistemare nell'edificio della Biblioteca Negroni l'imponente complesso dell'Archivio Storico (ora nel Palazzo del Mercato), che troverà degna sede in varie sale; nello stesso tempo completeranno le facciate interne dell'edificio e daranno al materiale librario che si va moltiplicando per generose donazioni e per acquisti la possibilità di una più comoda e decorosa sistemazione.

È motivo di orgoglio e di vivo compiacimento per l'Amministrazione vedere come le risvegliate simpatie per l'Istituto delle Biblioteche si siano manifestate con segni tangibili di contributi straordinarii da parte del Comune (L. 5.000 per il 1934 e L. 10.000 per il 1935) e di offerte per l'arredamento da parte di Enti (Ovesticino L. 3.000 per il 1934).

Prevediamo, a lavori compiuti e a sistemazione finita, una vigorosa ripresa di contatto col pubblico che ha dovuto essere escluso, in parte, durante questi mesi di opere murarie e di sconvolgimento di masse di libri.

La soluzione del problema delle Biblioteche che il Fascismo ha posto all'ordine del giorno in Novara troverà un terreno preparato a fruttificare rapidamente.

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Statistica dei libri entrati in Biblioteca nell'anno 1934..

statistica 1934


Statistica dei libri entrati in Biblioteca nel 1934 secondo le provenienze.

CIVICA: Opere N. 2131.

 VolumiOpuscoli
Per acquisto172
Per doni e omaggi4921275
Per diritto di stampa20280
Dal municipio184160
Totali *7131687


Donatori principali: alla Civica.

 VolumiOpuscoli
   Eredi Comm. A. Tarella831140
   Eredi G. B. Morandi431
   On. E. M. Gray19927
   Don A. Ricci191
   Prof. A. Viglio1840
   Pedrazzi3426
   Ministero Educazione Nazionale1612
   Ovesticino27-
   Avv. Grasso3810
Totali4771287


NEGRONIOpereVolumiOpuscoli
Negroni58652485
delle quali in dono od omaggio 713


Riepilogo

 OpereVolumiOpuscoli
Civica21317131686
Negroni58652485
    
Totali271712371771


 


Statistica dei lettori per il 1934.

statistica 1934

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Classificazione delle opere date in lettura secondo le materie nel 1934.

statistica 1934

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Benemeriti delle Biblioteche

Sulla grande lapide marmorea, murata all'ingresso delle Biblioteche, nel decorso anno sono stati incisi tre nuovi nomi di Benemeriti: Ing. Comm. Alberto Tarella (in memoriam); S. A. Ovesticino; On. Gr. Cr. E. M. Gray, Deputato al Parlamento.

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Visite alla Galleria d'Arte Moderna P. e A. Giannoni nel 1934.

La Galleria fu riaperta, dopo il suo completamento, il 28 ottobre 1934-XIII. Grandissima fu l'affluenza del pubblico in questo primo periodo di vita rinnovata. L'apparecchio ad orologeria ha segnato fino al 31 dicembre 1934 quattromilanovecento sessantasette visitatori.

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Visite al Museo Civico e alla Sala Ferrandi nel Broletto.

Riaperti al pubblico, dopo la sistemazione nella nuova sede, il 28 ottobre 1934, a. XIII.

Visitatori, nelle domeniche e nei giorni feriali, quattromilanovecentodue sino a tutto dicembre 1934.

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Per un museo nuovo   [BSPN XXVII [1934] fasc. IV - pp. 331-335]

È il titolo di un articolo pubblicato dall'Architetto G. Pagano in: «Casabella» (Settembre 1934, pag. 25). Siccome il museo nuovo di chi si parla è precisamente quello di Novara, con licenza dell'autore e dei Signori Prof Dott. Pacchioni, Dott. Jona e Arch. Morbelli, vorrei dire anch'io due parole al riguardo.

L'articolo, secondo me, ha alcuni difetti d'impostazione, di svolgimento e di conclusione; le fotografie, che illustrano il testo, invece, sono assai buone come dosatura di luce e sapienza di presa. Peccato che poi, certi ambienti, gli intonaci, i colori e alcuni particolari, nella realtà, costituiscano delle trovate che sono almeno discutibili.

Ma torniamo all'articolo; torniamo all'articolo e guardiamolo ... con sangue freddo e con la serena compostezza della polemica fascista che mira al fatto e non alla violenza verbale, di cui il buon architetto Pagano ha fatto inutile sfoggio.

L'autore dice cose crudeli contro i Musei di ogni città d'Italia. (Non v'è città d'Italia che non possiede un museo. Non esistono musei vivi). Giriamo l'atto d'accusa ai responsabili: Governo, Sopra Intendenze, Comuni, Direttori e via dicendo; non comprendo perché nessuno si sia accorto in Italia di questa requisitoria del Pagano che condanna, frusta, assalta, sconquassa, spazza via, con il suo sdegno apocalittico, tutti i Musei di tutte le città d'Italia (cimiteri di roba antica e veneranda); l'arch. Pagano è l'Attila dei Musei d'Italia; li distrugge e poi vi semina sopra il sale.

Non parliamo della bonaria prosopopea dei cultori delle memorie locali protetti dalla Legge sulle anticaglie e dalle interessate Sovraintendenze!

Viene la voglia di pregare le supreme Autorità dello Stato perché aprano gli occhi una buona volta su queste faccende dei Musei d'Italia e chiamino il fiero Pagano a far piazza pulita di questa gente dalla bonaria prosopopea (oh, come?), che sono i cultori di memorie locali, di queste Leggi sulle Antichità e belle Arti emanate dalla prima dinastia faraonica e di queste Sopra Intendenze interessate, falsificatici e ipocrite e metta al vertice del nuovo Parnaso, invece di Apollo e delle Muse, i Signori Prof. Pacchioni, Dott. Jona e Arch. Morbelli. E vediamo un poco perché: Pacchioni è uomo vivo che fa miracoli dappertutto, ma specialmente a Novara, dove, avendo affidato il compito di emancipare dalla locale infezione del falso antico il restauro dei due edifici che fiancheggiano il Broletto di Novara alla dottoressa G. Jona, della Sovra Intendenza di Torino (Ehm!), sì ottenne nientemeno che questo risultato strabiliante: di procedere a una rigorosa revisione dei dati di fatto, fondando i lavori non sulla poesia medioevaleggiante dei scenografi da Giulietta e Romeo, ma sulla serietà più obbiettiva, assolutamente ribelle ai lenocini della falsificazione.

Ma bravo architetto! Ecco le gaffes di chi vuole parlare senza avere veduto!

Dunque ora dai Tre non si è falsificato nulla; è vero; cioè non si è cercato di sapere quali elementi reali potevano costituire nel duecento, questo palazzetto dei Paratici; si è saltato, a pie pari, ogni studio particolare e si è ambientato un porticato dugentesco a sala novecento, con terranova gialliccia, con absidi mai esistiti, latrine lussuose da appartamentino per ricevere, con vaschette pigolanti tra il lusco e il brusco! E sopra, salette, corridoi, scale e rotonde. E marmi e terranova dappertutto! Questo non si chiama lenocinio; si chiama novecento in un palazzetto del duecento! Per lodare questa soluzione non c'era proprio bisogno di dare addosso a coloro che nei restauri precedenti avevano cercato di intonarsi all'ambiente in altra forma e secondo il loro temperamento!

Il Pagano, inspirandosi alle sapienti fotografie fornitegli, scocca nell'alto dei cieli un inno apollineo per quest'opera senza pari, ideata dai tre sullodati signori che avevano deciso di iniziare da Novara, cioè proprio dal regno della goffezza borghese e dei rigattieri, il risanamento del gusto nei Musei d'Italia.

E tutto questo michelangiolesco sforzo di uomini e di donne, di professori e di architetti, di coltura e di fantasia per mettere insieme sette sale costose in cui riporre ... che cosa?

Proprio quella roba da rigattieri che costituiva il vecchio museo (corazze bene oleate, cornici macchinose, vecchie croste, miniature dei bisnonni, stemmi di palazzi demoliti, monete trovate negli scavi per la rete del gas e via dicendo). Oppure, che cosa altro? Roba che avrebbero donato i generosi tre Signori di cui sopra?

*   *   *

Ma il bello viene proprio ora. I tre taumaturghi, compiuta la grande impresa architettonica, avrebbero dovuto ringraziare Dio di non doversi impegnare nella sistemazione di tutta quella rigatteria nelle nuove sale raffaellesche; che sarebbe stata la fatica di Sisifo. Nossignori!

Troppo acuto sentivano il bisogno di creare il Museo modello dal nulla.

Perciò essi si scagliano contro Caino. «Abele ha sempre da fare i conti con Caino».

Abele, sarebbero, Jehova permettendo, loro stessi. Il paragone ognuno se lo trova nella fede che professa; e sta bene. Ma se essi rappresentano il povero Abele trucidato - non nella vita fisica, s'intende! - Caino sarà tutta quella accolta di autorità politiche, amministrative e artistiche che avrebbero messo alla porta Abele. E nemmeno qui azzeccano giusto; perché proprio essi, da sé, si sono distaccati dalla loro idoleggiata creatura!

Di essi alcuno mutò luogo al modo delle stelle, altri assurse a nobili destini di lunga mano preparati!

Che, altrimenti, nessuno avrebbe impedito loro di compiere tale grandioso esperimento di sistemazione d'un museo, da passare alle storie; e tutto con quattro cocci, con due vipere imbalsamate e con poca roba da rigattieri. Quando si nasce fortunati e, bisogna dirlo ad onor del vero, quando si nasce taumaturghi e genii!

*   *   *

Il trenodico arch. Pagano, con tono di Geremia (Quomodo sedet sola civitas piena populo?) esclama: Dal dramma si salvano queste fotografie. E si sbaglia ancora; perche i Caini hanno salvato tutto, anche le sale, anche il terranova, tutto!

E hanno cercato di mettere in onore tutta la rigatteria dileggiata eppure idoleggiata dai tre miracolisti.

I quattro cocci con le anfore rotte e senza collo hanno avuto l'onore d'interessare vivamente il Duce che nella sua visita alla nostra Città ha osservato e ammirato alcuni oggetti e richieste notizie al riguardo; le macchinose cornici, le vecchie croste, le corazze bene oleate e le miniature dei bisnonni, gli stemmi dei palazzi demoliti, le monete trovate negli scavi per la rete del gas, hanno avuto un loro posticino e, nonostante tutto, interessano i visitatori. Finora non ci è accaduto di trovare chi dicesse del tutto male di questa sistemazione; anzi ... Va bene che noi siamo dei provinciali ... ; ma a Novara ci sono venute persone di riguardo e anche vive - se non ci siamo ingannati - e che hanno buon gusto. Del resto gli attuali Sopra Intendenti della nostra regione hanno manifestata la loro piena soddisfazione per ciò che è stato fatto. E a Novara, per ora, ci si accontenta, in attesa della palingenesi ...

*   *   *

Dopo di ciò vorrei esporre, con licenza, del Signor arch. Pagano e del suggeritore, quest'ultimo modesto concetto: Come mai, a tanta distanza di tempo e quando, il nuovo Museo era ormai varato con generale approvazione, questa brava gente, che avrebbe avuto mille ragioni per stare ben zitta e ben rintanata, si è presa il gusto di suggerire un articolo che il buon arch. Pagano non avrebbe certo sognato di scrivere? E poi, ecco, il lato antipatico. Tentar di colpire per mano d'altri!! Ciò non è né fascista, né leale, né elegante. Noi siamo dei provinciali, e non abbiamo quell'enorme coltura e quell'infallìbile buon gusto di lor signori; ma soltanto un po' di coraggio e di fede; ma di quella buona.

*   *   *

E fin qui ho voluto mantenere una certa linea discorsiva e quieta da buon provincialino che sta con rispetto rimpetto ai colossi.

Ma se penso al grande studio e al lungo amore con cui tanti benemeriti miei Concittadini di alta mente e di onestissima vita hanno raccolta quella roba da rigattieri in decenni di fervore, alla passione schietta e severa con cui il Morandi - il Morandi, ex Direttore e Ordinatore benemerito (sissignori) del deplorato Museo di Provincia e generoso eroico combattente del Trentino e del Carso, morto in trincea col pensiero rivolto ai suoi cari e a Novara e al suo Museo, - sistemò, con miseri mezzi, le sale tanto vituperate da gente nova che si atteggia a dittatrice dell'arte senza aver mai dato prove concrete di vero valore, allora, dico, mi sento la voglia di dirle grosse.

Ma, per ora, sarà meglio star queti.

A[lessandro] Viglio.
28 Ottobre, 1934-XIII.

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