Lutti della Società Storica   [BSPN XXVI [1932] fasc. I - pp. 229-235]

Cesare Poma [1862 - 1932]

A distanza di soli due anni dalla morte del professore Roccavilla, che, non biellese, lasciò in Biella vaste e durevoli tracce del suo grande sapere e della sua attiva ed instancabile attività, una nuova dolorosissima perdita, un nuovo grave lutto si deve registrare per gli studi storici biellesi. Nelle prime ore del 16 febbraio 1932 un malore improvviso troncava la nobile e preziosa esistenza di Cesare Poma.

Nacque Egli il 21 marzo 1862 in Biella da antica e distinta famiglia oriunda da Zumaglia, trasferitasi or sono cento anni nella regione del Piazzo: ceppo vigoroso dal quale trassero nascimento uomini valenti che seppero affermare e rendere noto il nome di questo casato nel campo della grande industria cotoniera. Ma Cesare Poma, biellese, non aveva attitudine di sorta per l'industria che i suoi avi esercitarono: il suo ingegno vivo e precoce aspirava a ben altra carriera e lo sospingeva, giovanetto, ad avviarsi agli studi classici.

Nipote materno del vercellese Cesare Bona De Fabianis che, appassionatissimo per le indagini storielle e genealogiche, lasciò, morendo a soli 21 anni, un materiale immenso che la morte gli impedì di utilizzare, dallo zio trasse il grande amore agli studi. Percorse gli studi classici nel Collegio di Moncalieri dove, a testimonianza del suo alacre ingegno, rimane il dipinto col quale, secondo un'antica consuetudine, vengono ricordati gli allievi più meritevoli, designati col titolo di principe.

Laureatosi in leggi nell'Università di Torino nel 1885, si avviò alla carriera consolare amantissimo com'era di conoscere nuovi usi e nuove costumanze e specialmente per studiare sul luogo i vari idiomi per i quali già da giovane nutriva grande predilezione. Fu console a Smirne, in Inghilterra, al Messico colla funzione di incaricato di affari, a Tien-tsin dove il Governo del Re prima lo nominò a reggervi il nuovo consolato ivi istituito, quindi nell'Africa del Sud a Johannesburg.

Lasciò la carriera consolare nel 1911 per dedicarsi interamente agli studi storici, alle scienze linguistiche, onomatologiche e toponomastiche. Ma ancora in carriera, in mezzo alle cure del suo ufficio, aveva dato saggi notevoli in queste ultime dando alle stampe, mentre si trovava a Johannesburg, il lavoro sugli Antichi Cognomi Biellesi, e mentre era nel Messico uno studio sulle Lingue degli Indii, e negli studi storici pubblicando il lavoro sull'Antico Convento di S. Domenico di Biella, al quale apportò in seguito, con una nuova pubblicazione, un più ampio contributo ed una nuova messe di notizie.

Nessuno più di Lui aveva una conoscenza vasta e profonda della storia della sua terra, ed il problema delle origini di Biella e quello concernente l'antico pago dei Vittumuli costituivano il suo tormento di studioso, giustamente non persuaso di certe teorie sulla origine dei comuni che in un tempo non lontano facevano scuola. Ancora pochi giorni prima di lasciarci definitivamente riportava la sua mente indagatrice sul documento del 10 luglio 826 dell'Archivio di Stato di Parma, che primo ci ricorda il nome di Biella (che tanto insistette perche venisse consegnato e conservato nel locale museo) e di esso scriveva a società storiche estere per ottenere particolari delucidazioni sui punti oscuri del precitato diploma imperiale.

Della sua operosità, della sua erudizione e cultura rimangono i segni nei libri e negli articoli di ricerche storiche sul Biellese che Egli scrisse, molti dei quali comparsi in questo Bollettino al quale era grandemente affezionato. Lavori di non grande mole, che la storia biellese è povera e non si presta a glandi trattazioni, ma tutti pregevoli per la serietà dell'indagine, per la profondità della dottrina, e per la larga preparazione coadiuvata da una non comune conoscenza della paleografia.

Ma dove l'opera di Lui si allargò più ampiamente fu nelle scienze linguistiche, nella onomatologia e nella toponomastica. Da oltre mezzo secolo attendeva ad un lavoro di grande mole sulla onomastica italiana, sicuramente il più completo del genere, e tanta era la fama che godeva in queste scienze che veniva citato come «autorevole più di ogni altro studioso in Italia» da alcuni, e come «il padre della onomatologia italiana» da altri.

Fu pure valente numismatico e non esisteva moneta la quale non sapesse con esattezza decifrare. La sua raccolta di monete, in specie quella delle genti biellesi di Masserano e di Crevacuore è veramente preziosa. Notevole poi è la sua raccolta di carte, stampe e libri biellesi, e di sommo pregio una collezione di giornali in tutte le lingue.

Conosceva i principali idiomi europei, e non solo di Europa, essendogli familiare la lingua araba. E nelle lingue classiche poi era profondo e dottissimo, come era un estruscologo ed un celtista di non comune valore. Si dilettava pure di botanica, e di Lui si conosce un lavoro sulla varietà delle orchidee.

Stava ora attendendo alla silloge delle iscrizioni biellesi (romane), a somiglianzà del pregevole lavoro del prof. Scarzello pubblicato in questo Bollettino, e al dizionario toponomastico biellese, per il quale aveva già esaminato e spogliato i catasti di molti comuni dell'antica provincia di Biella, ma la morte lo colse e gli impedì di portare a compimento queste nobilissime fatiche meditate e in parte già scritte.

Completamente assorto negli studi presentava una qualche originalità e stranezza, ma con tutto ciò agì sempre in perfetta buona fede, con integra coscienza e con grande dirittura e fermezza di carattere.

Da questa vita se ne andò quasi inavvertito e non volle nemmeno che la sua dipartita fosse annunciata agli amici ed ai conoscenti.

Il nostro pensiero lo ricorda con affetto, gli studiosi lo ricordano con gratitudine, e alla sua memoria ci inchiniamo reverenti.

Dr. Luigi Borello.


Ci inchiniamo noi pure, reverenti, alla tomba troppo presto schiusasi per accogliere la salma del compianto mostro Amico, fedele fin dai primi anni a questa Rivista a cui collaborò efficacemente. Il nostro pensiero si rivolge pure alla veneranda Madre del cav. Poma, superstite al Figlio amatissimo, rimasta a piangerne l'angosciosa dipartita. Nelle commoisse parole del nostro Dr. Borello sono perfettamente espressi la nostra ammirazione e il nostro compianto. Confidiamo di poter dedicare alla memoria del defunto Amico qualche altra pagina che riassuma l'attività scientifica di Lui.

A[lessandro] V[iglio].

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Prof. Don Francesco Jamone

Del Cav. Prof. D. Francesco Jamone, Canonico di S. Gaudenzio, facciamo qui menzione con vivo rincrescimento per l'immatura ed improvvisa morte incontrata nel pio esercizio del ministero a Cerano, sua patria, il 18 febbraio u. s.

Studioso attento e indefesso, docente apprezzato di filosofia ai chierici del Seminario, nella larghezza comprensiva del suo duttile ingegno incoraggiò tutte le iniziative culturali, comprese le storiche. Questa attitudine ottimista, inquadrata nella rigida e consaputa professione della fede, gli aveva procurato un rispettabile corredo di nozioni ohe infondevano un fascino di serena bellezza alla sua conversazione, alla sua scuola e ai parecchi cicli di conferenze che tenne in città.

Nel ceto scolastico novarese era assai stimato, nonostante il suo carattere sinceramente umile che trovava diletto nei silenzi meditativi, nella vita ritirata, e nelle opere della carità sacerdotale. Ceranese nel midollo godeva che alle vicine feste straordinarie di quest'anno pel Beato Pacifico si accompagnassero assaggi di ricerche metodiche sull'apostolato e sulla Summula del celebre Francescano, suo conterraneo. Le molte e svariate occupazioni e il temperamento schivo gli impedirono di lasciare frutti a stampa dei suoi studi filosofici che al neo-tomismo avrebbero portato contributi di una competenza a lui riconosciuta anche iuori di Novara. Ma nel pensiero memore e grato dei molti discepoli e nelle tradizioni del Seminario rimarrà a lungo rimpianto e benedetto.

G. Cavigioli.

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On. Dott. Luigi Giulietti

Luigi Giulietti nato a Casteggio il 23 gennaio 1852, appena laureato in Medicina a Pavia, dopo un fortunoso viaggio di mare che amava ricordare e in cui fece le prime pratiche nella cura degli ammalati, vinto il concorso di Assistente presso l'Ospedale Maggiore di Novara, vi si era stabilito dal 1879, diventando nostro concittadino, e prendendo parte alla vita della nostra Città sino a questi ultimi anni.

Di Lui, chirurgo sagace e prudente, non è il caso di dire. La sua abilità è troppo nota e vivono ancora molti e molti suoi operati, che a Lui devono la esistenza, che testimoniano la sua valentia, ricordandone la bontà di animo associata al più umano disinteresse.

Suo fratello, Giuseppe Giulietti, era stato uno dei primi esploratori dell'Africa nella zona che più tardi doveva venire sotto la nostra influenza. Egli era stato con Bottego, Chiarini, Gessi, uno dei primi pionieri, uno dei primi martiri votati al concetto della nostra espansione nelle terre Africane. A questo ideale egli aveva consacrato tutte le sue forze, e diede in olocausto la vita.

La salma di Giuseppe Giulietti dopo molti anni fu riportata in Patria, e le sue ossa riposano nel Famedio che Casteggio ha elevato per i suoi Caduti nella Guerra, per i suoi insigni cittadini. Il dott. Luigi Giulietti sempre volto ad ideali di bellezza e di elevazione spirituale, conservava vivo ricordo del Suo eroico fratello e volle che suo figlio ne portasse il nome come buon auspicio, come incitamento nella vita.

Dopo pochi anni di matrimonio, realmente felice, era rimasto vedovo e si era votato alla unica sua gioia, a suo figlio di cui fu a suo tempo affettuoso allevatore, mentore e consigliere in ogni ora della sua prima gioventù, divenendone poi confidente e amico ed avendone in compenso un affetto inesausto dal Figlio riconoscente.

Il Dott. Giulietti fu uno dei primi in Italia ad iscriversi al Partito Socialista di cui fu gregario fedele. Come tale fu volta a volta Consigliere Comunale e Provinciale. Sindaco di Novara, Deputato al Parlamento, sino alla Rivoluzione Fascista. Per quanto uomo di partito, fu sempre in ogni sua manifestazione, modello di correttezza e di probità, come lo fu sempre nella Sua vita professionale.

Egli ha lavorato molto nella Sua lunga esistenza operosa e si può dire che esercitò sino agli ultimi giorn; di Sua vita, allo scoccare degli 80 anni.

Durante la guerra diresse con energia un riparto di Chirurgia nel nostro Ospedale Militare, e mi soleva dire che si augurava che se Suo figlio, allora al fronte, fosse per disgrazia ferito, potesse trovare il medico che lo assistesse con l'eguale amore con cui egli curava i suoi cari feriti. Questo pensiero definisce l'uomo.

Dopo oltre 50 anni di esercizio, egli è morto povero; non volle o non seppe raccogliere utili dal suo diuturno lavoro.

Con la serenità del giusto ha compito la Sua opera terrena, a prò dei sofferenti, ricordando sempre ogni giorno che metteva piede in Ospedale che sul frontone di questo sta scritto: Ospedale Maggiore della Carità di Novara.

Questo è il Suo migliore elogio, e il Suo ricordo sia per tutti di ammonimento e di esempio.

D. Bocci.

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Notiziario   [BSPN XXVI [1932] fasc. I - pp. 236-246]

Il nostro Presidente

On. Gr. Uff. E. M. Gray, è stato chiamato dalla fiducia e dalla stima del Capo del Governo alla Vice-Presidenza della Società Nazionale Dante Alighieri. Siamo certi che fra le molte cariche, d'ogni specie importanti, affidate all'On. Gray, questa sia la più diletta al suo nobile intelletto e alla sua fervida passione patriottica. Il Consiglio Direttivo della nostra Società e tutti i Soci della stessa sono orgogliosi e lieti di felicitarsi con il loro bene amato Presidente per il giusto e grande onore che gli è stato fatto.

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R. Ispettore bibliografico onorario per Novara

è stato riconfermato per il triennio 1931-1933, mons. prof. teol. cav. don Lino Cassani che già assolse con piena soddisfazione delle Superiori Autorità tale delicato ufficio anche per il triennio scorso

R. D. 15 gennaio 1931, anno IX.

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RR. Ispettori onorarii

Per i mandamenti di Arona, Borgomanero e Novara sono stati eletti rispettivamente i signori:
• Cassani prof. cav. mons. teol. don Lino per le Antichità;
• Caccia conte avv. Marco per l'arte medioevale e moderna.
Per i mandamenti di Intra, Omegna, e Pallanza col comune di Lesa è stato eletto R. Ispettore onorario l'ing. Piero Lavatelli

D. M. 15 gennaio 1932, in Boll. Uff. della Ed. Naz. 3 marzo 1932

Per il mandamento di Orta Novarese è stato riconfermato fino al 31 dic. 1934 l'ing. cav. Giulio Decio

D. M. 7 marzo 1932, in Boll. Uff. 14 apr. 1932.

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Nella Commissione Conservatrice dei Monumenti

degli scavi e oggetti di antichità e d'arte della Provincia di Novara sono stati riconfermati con D. M. 25 gennaio 1932, (Boll. Uff. dell'Ed. Naz. 3 marzo 1932) i signori:
• Viglio dott. prof. Alessandro,
• Decio ing. Giulio,
• Cassani sac. teol. prof. cav. don Lino.

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Sistemazione del Museo Lapidario della Canonica.

Per iniziativa della nostra Società e con il valido concorso finanziario del Comune di Novara, della Banca Popolare di Novara, del Ven. Capitolo dei Canonici, della Società Storica e di altri Enti, di cui daremo a suo tempo notizia, sono stati iniziati i lavori di sistemazione del Museo Lapidario della Canonica nei quali si continuerà sino ad esaurimento dei fondi raccolti. Dei lavori eseguiti si farà poi una particolareggiata relazione.

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Per la raccolta del materiale folkloristico della Provincia.

La commissione costituita dall'on. gr. uff. E. M. Gray, dal prof. dott. cav. G. Lampugnani, dalla prof. R. Cesare: dalla dott. prof. B. Treves, dal cav. A. Rolando, Direttore Gener. delle Scuole Element. di Novara, dal dott. prof. A. Viglio, si è posta al lavoro per organizzare la ricerca del materiale folkloristico superstite della nostra Provincia.

Deliberato di procedere per zone nella esplorazione e fissati i criterii precisi con cui il lavoro di raccolta deve cominciare e continuare, la Commissione ha discusso e approvato un questionario della prof. R. Cesare, che è stato spedito ai Maestri dei varii Comuni della zona piana del Novarese e ad altre persone capaci di collaborare alla ricerca, accompagnato da lettera di raccomandazione del R. Provveditore agli Studii e del Segretario Federale di Novara.

Pubblichiamo i documenti perché se qualcuno dei nostri Soci volesse aiutarci, gliene saremmo veramente grati in nome degli studii e della nostra Regione.

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Novara, 10 aprile 1932 - A. X.
Egregio Signore,
Nell'intendimento di salvare e di ordinare quanto rimane ancora del già ricco materiale folkloristico della Provincia di Novara, la Società Storica Novarese - secondo il deliberato nell'Assemblea dei 29 novembre p. p. - si rivolge a tutti coloro che per lunga consuetudine o per la natura dell'ufficio e della professione, sono in grado di conoscere intimamente l'animo e le usanze delle nostre popolazioni del contado, o possono rintracciarne avanzi e memorie.

Una tale opera, per quanto apparentemente modesta, è di grande importanza storica ed etnica, ed è squisitamente intonata alla più generale e grandiosa azione di rinascita nazionale vagheggiata e condotta innanzi dal Governo Fascista; in vista appunto di ciò, l'iniziativa ha ottenuto il valido patrocinio del Segretario Federale e del B. Provveditore agli Studi.

Si confida che la S. V. vorrà accordare la sua preziosa collaborazione, rispondendo in tutto o in parte all'unito questionario, e rimandandolo non più tardi dei 30 giugno 1932 al Professore A. Viglio, Segretario della Società Storica Novarese, Via del Contado, N. 12, Novara.

Si avverte che nella raccolta, edita in uno o più volumi, ogni relazione figurerà col nome dell'Autore.

Con osservanza e con anticipati ringraziamenti.

La Commissione
On. E[zio] M[aria] Gray - Prof. G[iuseppe] Lampugnani - Prof. [Natalia] R[osa] Cesare - Prof. B[envenuta] Treves - A. Rolando, Dirett. Gen. Scuole Elem. di Novara - Prof. A[lessandro] Viglio.

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Questionarlo per ricerche di folklore nella Provincia di Novara

1. Si porta ancora nel paese un abito o costume per le donne e per gli uomini? O almeno, ne resta una traccia sulla quale tentare una ricostruzione? Se sì, inviare descrizione, e possibilmente, fotografia o disegno.

2. Esistono in paese costumanze tipiche per feste religiose o profane, per ricorrenze particolari (p. e. processione del giovedì o del venerdì Santo, rappresentazioni sacre, adunate, carri carnevaleschi, imbandigione di particolari cibi o distribuzioni ai poveri?) Sopravvivono antiche danze? e in costume? Si desidererebbe un cenno rapido, chiaro e preciso, e anche qualche fotografia.

3. Esistono cerimonie e usanze speciali in occasione di nozze, battesimi, funerali? (p. e. rapimento simulato della sposa, veglie notturne, distribuzione di noci, di confetti, di sale; accompagnamento alla nuova casa, accoglienze simboliche della suocera, ecc). Sono in uso forme varie di dileggi ai pretendenti respinti o ai vedovi che passano a seconde nozze, o agli sposi non di primo pelo?

4. Vi sono consuetudini particolari agrarie, o cerimonie propiziatrici?

5. Quali sono i principali pregiudizii del paese in fatto di malattie degli uomini, delle donne, dei bambini, degli animali domestici, e in fatto di cure e di guarigioni? Quali i timori superstiziosi?

6. Si cantano ancora particolari canzoni d'amore o ninne-nanne o filastrocche? Se si, trascriverle fedelmente. Si narrano leggende intorno a guerrieri medioevali o alle Crociate? O i vecchi ricordano d'averne udite? Ripeterle in uno scritto che conservi, quanto più possibile, il tono e il linguaggio paesano.

7. Si narrano ancora leggende che si riferiscano a qualche fatto o a qualche luogo o a qualche edificio o rudere del paese? (p. e. antichi signori, eremiti, banditi, favolose costruzioni di ponti, trafugamenti di tesori, miracoli, apparizioni, ecc). Trascrivere il racconto come sopra.

8. Son tuttora in uso proverbi tipici, in rima o no, dai quali risulti una certa conoscenza del cuore o giudizii morali o interpretazioni di leggi naturali? Farne una breve nota, e ove occorra, con qualche dilucidazione.

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R. Provveditorato agli studi del Piemonte - TorinoN. 1786 Torino, 15 febbraio 1932-X.

Ai RR. Ispettori Scolastici - Ai Direttori Didattici Centrali e Comunali Governativi ed Incaricati della Provincia di Novara.

La Società Storica Novarese, in accordo con l'Opera N. Dopolavoro, intende di iniziare una serie di ricerche ordinate e metodiche intorno a quanto sopravvive di folklore nella Provincia di Novara, per farne, a suo tempo, oggetto di raccolta e di pubblicazione.

Contando a questo riguardo sul valido contributo che possono dare gli insegnanti elementari sparsi per tutti i Comuni, il Presidente si è rivolto a questo Ufficio per il consenso che avvalori la richiesta che la Società Storica Novarese intende rivolgere loro.

Sarò particolarmente grato se pel tramite delle SS. VV. gli insegnanti dipendenti saranno invitati a dare la loro opera di collaborazione alla nobile ed importante iniziativa.

Il R. Provveditore Gasperoni.
(Copia conforme all'originale).

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P. N. F. - Federazione Provinciale Novarese

Novara, 17 aprile 1932 - Anno X.

Ai Signori Direttori Didattici e Maestri Elementari della Provincia. - Novara.

La Società Storica Novarese, in collaborazione con l'Opera Nazionale Dopolavoro, sta svolgendo un'importante opera di ricerca di quanto sopravvive di folklore nella nostra Provincia per formarne - a raccolta ultimata - oggetto di istruttiva e interessante pubblicazione.

Confido che i Membri della suddetta Società, in questa lor benemerita attività, troveranno la fervida collaborazione di tutti gli Insegnanti della Provincia, come quelli che per cultura e cognizioni locali meglio si prestano a dare un valido ausilio alla utile iniziativa.

Il Segretario Federale [Gaudenzio] Andreoletti
(Copia conforme all'originale).

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Assegnazione del 3° Premio Morandi.
Verbale della Commissione giudicatrice.

L'anno millenovecentotrentadue, addì 3 marzo alle ore 20,30 nella casa di abitazione dell'on. E. M. Gray, in Novara, si è riunita la Commissione giudicatrice del terzo Premio «Morandi», composta dei sigg.: On. grand'uff. E. M. Gray, Presidente della Società Storica Novarese, prof. dott. cav. Giuseppe Lampugnani, Presidente d'Amministrazione delle Biblioteche Negroni-Civica quale delegato del Comune di Novara, Mons. Teol. cav. Don Lino Cassani, rappresentante, coll'on. Gray, della Società Storica Novarese.

La Commissione, presa visione del Regolamento e del Bando di Concorso relativi al terzo Premio Morandi, considerato che nessun concorrente ha presentato lavori alla Commissione, decide di esaminare la possibilità di giungere egualmente alla scelta di uno dei lavori storici pubblicati nell'ultimo triennio per la designazione del 3° premio.

Consta alla Commissione che il dott. Scarzello Oreste, ex Segretario della Società Storica, ora trasferitosi a Cuneo, per un sentimento altamente apprezzabile di delicatezza, non ha voluto presentare al Concorso il suo lavoro sul Museo Lapidario Novarese, intrappreso e compiuto precisamente in questo ultimo triennio e che risponde a tutti i requisiti voluti dal Regolamento e dal Bando suddetto.

Ma la Commissione non può ignorare che la pubblicazione dello Scarzello, per la sua mole e per la sua importanza eccezionale nella storiografia novarese, supera di gran lunga tutti gli studi di carattere storico novarese editi nello stesso ambito di tempo.

Essa è, infatti, una dotta illustrazione di tutto il materiale archeologico preromano, romano e medioevale raccolto nel Quadriportioo della Canonica del Duomo di Novara. Da decenni si attendeva che qualche studioso si dedicasse all'opera egregia: ma le speranze furono sempre deluse. Troppo arduo era il compito, troppo vasta la fatica da ini rapprendere, troppo specifica la competenza che si richiedeva a un lavoro di tal genere. Lo Scarzello, con un triennio di pazienti studi, di attentissimo esame, di ricerche difficili e faticose ha compiuto la veramente egregia fatica di darci una guida preziosa oltreché dal punto di vista scientifico, anche da quello pratico, perché la sua monografia, oltre alla succosa prefazione che ci da la storia eziologica dell'imponente racoollta archeologica, si offre come guida sicura amene alle persone di non speciale coltura per la conoscenza dei monumenti dell Lapidario.

Le lodi con cui gli studiosi di competenza particolare e la critica erudita in genere hanno accolto la pubblicazione dello Scarzello fanno onore a lui e alla città che conserva quei cimelii d'importanza capitale per la storia locale.

I membri della Commissione, di comune accordo, hanno stabilito pertanto di attribuire all'opera del dott. Oreste Scarzello: Il Museo Lapidario della Canonica e gli antichi Monumenti Epigrafici di Novara (con 43 illustrazioni), Edit. Cattaneo, Novara, 1931, il terzo Premio Morandi.

La Commissione stessa, per ciò che riguarda la assegnazione spontanea ad un'opera non presentata al Concorso, ai richiama al precedente della assegnazione del 1° Premio Morandi fatta nel 1925 alla monografia del Morandi stesso, già defunto nel 1915, intitolata: Contributo alla storia del vestire nel Medio Evo.

La Commissione è ben sicura di corrispondere con la sua proposta a un sentimento di ammirazione diffuso tra gli studiosi non soltanto novaresi per l'opera egregia del valente studioso e propone agli Enti che contribuiscono alla formazione del Premio di assegnarne l'importo al suddetto prof. dott. O. Scarzello per la monografia, di cui sopra.

I Commissari.
E[zio] M[aria] Gray - L[ino] Cassani - G[iuseppe] Lampugnani.

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Avviso di Concorso al 4° Premio Morandi.

In osservanza alle disposizioni statutarie per l'assegnazione del premio intitolato al nome dello storico G. B. Morandi, la Società Storica Novarese bandisce un premio di Lire Mille, da assegnarsi, il 31 dicembre 1933, alla migliore pubblicazione illustrativa della Storia di Novara e delle regioni la cui storia si connetta intimamente con quella di Novara.

I lavori concorrenti devono essere presentati o inviati alla Presidenza della Società Storica Novarese, presso il Museo Archivio Storico di Novara, non più tardi del 31 ottobre 1933.

I manoscritti dovranno essere presentati in doppio esemplare, chiaramente scritti e ordinati: le pubblicazioni dovranno essere di data non anteriore al 1 gennaio 1931.

Le norme e lo statuto del Premio Morandi sono visibili presso la Segreteria della Società Storica Novarese (Museo Civico).

1 gennaio 1931.
Il Presidente: E[zio] M[aria] Gray.
Il Segretario: A[lessandro] Viglio.

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Premio scolastico " Lina Viglio „.

Alcuni amici del Direttore della nostra Rivista, nell'annuale della dolorosissima perdita della sua Figliuola ventitreenne Lina, hanno voluto dare all'amico e alla sua famiglia così crudelmente colpiti una durevole attestazione di affetto e consacrare alla memoria della soave Fanciulla un ricordo che fosse significativo e praticamente benefico. Vinte le riluttanze del prof. Viglio, restio ad accondiscendere per ragioni di presunta inopportunità, possiamo finalmente dare notizia della cosa andhe su questa Rivista che, pur dedicata alle questioni e alle ragioni della storia e dell'arte, non può mantenersi del tutto indifferente alla vita stessa dei soci e dei collaboratori che costituiscono più che un sodalizio una famiglia, come più volte s'è visto.

Lo scopo del gruppo di amici fu quello di creare un fondo i cui interessi annui costituissero un premio da assegnare alla migliore delle alunne dell'Istituto scolastico in cui insegna attualmente il Prof. Viglio. Lo scopo è in qualche modo raggiunto. Il Cassiere della Società Storica, Mons. Cassani, ha consegnato col sottoscritto, al Preside dell'Istituto Tecnico di Novara, cav. uff. ing. U. Ferrari, le seguenti somme già raccolte: Mons. cav. Teol. D. Lino Gassanì, L. 500; prof. dott. P. Landini, L. 500; prof. dott. O. Scarzello, L. 200; Famiglia ing. comm. E. Gatti, L. 30; gr. uff. ing. E. Ajmone, L. 500; comm. A. Giannoni, L. 200.

Le quote che venissero raccolte in seguito saranno aggiunte al fondo già formato e costituirebbero un nuovo incremento del premio.

Roma, Pasqua del 1932.
Prof. P[iero] Landini.

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Biblioteca Negroni - Civica
STATISTICHE


I. Opere date in lettura nel 1932.

Enciclopedia353
Agricoltura254
Argomento novarese529
Belle Arti517
Filologia510
Filosofia209
Geografia769
Letteratura 4456
Letteratura amena650
Pedagogia e didattica183
Scienze giuridiche e politiche633
Scienze fisiche, naturali, tecnologiche728
Scienze mediche253
Scienze matematiche350
Storia1002
Teologia195
Giornali e Periodici664
Opere pervenute da altre biblioteche12
Mandate ad altre biblioteche11
Totale delle opere richieste in lettura12.255


Totale lettori10732
di cui maschi9825
femmine907


II. Opere acquistate, avute in dono, ricevute per diritto di stampa.

AcquistateOpereVolumi
Bibl. Negroni563667
Bibl. Civica126200
Totale689867

Per donoOpereVolumi
Bibl. Negroni3441
Bibl. Civica4941377
Totale528~1418

 OpereVolumi
Per Diritto di Stampa190223
   
Totali14072508

III. Consistenza delle opere delle Biblioteche al 31 dicembre 1931: Totale N. 117.077.

Pinacoteca moderna Adele e Paolo Giannoni e Museo Civico

Gli ingressi alla Pinacoteca Giannoni nel 1931 furono:

Ingressi gratuiti7183
ingressi a pagamento1027
  
Totali8210

Gli ingressi al Museo Civico furono:

 2559

Il Museo Civico è stato chiuso sino a nuovo avviso; in una parte dei locali da esso occupati verrà prossimamente sistemata la Corte d'Assise con gli annessi uffici. Intanto si sta provvedendo dalla On. Podesteria all'adattamento dei locali disponibili nel Broletto per accogliervi le raccolte del Museo. Così si giungerà a quella unificazione di tutte le raccolte d'arte comunali in un unico centro, decoroso e comodo, che era nei voti.

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ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA NOVARESE   [BSPN XXVI [1932] fasc. IV - pp. 479-514]

Assemblea del 18 dicembre 1932.

Il giorno 18 dicembre 1932, alle ore 14, nelle sale delle Biblioteche Negroni e Civica, ha luogo l'Assemblea annuale della S. S. N., convocata per trattare del seguente Ordine del Giorno:
1.) Inaugurazione del busto a C. Negroni e della lapide ai Donatori (Prof. Dott. G. Lampugnani, Presid. delle Biblioteche).
2.) Commemorazione dei Soci On. Dott. L. Giulietti, Mons. G. Pellagatta e Sac. Prof. Don F. Jamone.
3.) Relazione morale della Società per l'anno 1932 (Segretario Prof. A. Viglio).
4.) Relazione finanziaria della Società Storica Novarese per il 1931, del terzo Premio Morandi, dei restauri della Canonica, delle onoranze a G. Ravizza e ad Ugo Ferrandi (Cassiere Teol. Mons. L. Cassani).
5.) Un importante e sconosciuto monumento romano di Novara e altri ritrovamenti archeologici (Mons. Teol. Lino Cassani, R. Ispett. On. dei Monumenti).
6.) Ritrovamento di monete medioevali nella Riviera d'Orta (Ing. G. Decio, R. Ispett. Onor. dei Monumenti per la Riviera).
7.) Ricerche di folklore regionale (Professoressa Rosa Cesare).
8.) I restauri della Canonica (Mons. Lino Gassani R. Ispett. Onor. dei Monumenti).

Sono presenti: il Segretario Federale on. avv. Filandro De Collibus, l'on. cav. di Gran Croce E. M. Gray, Pres. de!la S. S. N., l'ing. cav. A. Falcone, il dott. prof. G. Lam-pugnani, Presid. del Consiglio d'Amministrazione delle Bibliotedhe, i soci: Cesare prof. Rosa, Montani comm. avv. Pacifico, Giardini gr. uff. rag. Ernesto, Dirett. Gen. della Banca Popol. di Novara, Milanesi comm. avv. Agostino, Canti avv. Gino, Cavigioli teol. can. mons. Giovanni, Curti avv. comm. Alberico, Frego cav. Gaudenzio, Rossi comm Giuseppe, Rasario prof. cav. Achille, Lazanio cav. architetto Giovanni, GibeMini Tornielli Boniperti conte avv. cav. Francesco, Ravizzotti signor Beniamino, De Angeli rag. Onorato, Canetta Rossi Palermo avv. Luigi, Bossi avv. cav. Ettore, Cassani mons. cav. teol. don Lino, Rizzotti architetto Umberto, Tandardini cav. uff. scultore Edoardo, Marucco mons. cav. sac. don Vincenzo, Finazzi avv. cav. Marco, Mainardi sac. can. don Secondo, Bertola signor Camillo, Comune di S. Pietro nella persona del suo Segretario, geom. D. Accomazzi, Riva prof. Amalia; sono presenti, come invitati, i signori: Jona dott. E., della R. Sopra Intendenza per il Piemonte e la Liguria; Treves dott. prof. Benvenuta, Bonollo cav. uff. dott. prof. Luigi, Viglio signora Luisa, Viglio prof. sig.na Maria. Hanno scusato l'assenza e aderito i signori Barocelli dott. cav. Piero, R. Sopra Intendente alle Antichità per il Piem. e la Liguria che si è fatto rappresentare da Mons. Cassani, Morengo dott. prof. preside, comm. Mario e altri.
Segretario il prof. A. Viglio.
Presiede l'on. E. M. Gray.

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Ha la parola il Presidente delle Biblioteche, dott. G. Lampugnani.

Inaugurazione del busto a C. Negroni e della lapide ai Donatori.

Il saluto del presidente del Consiglio d'Amministrazione delle Biblioteche è di brevi parole come quelle d'una prefazione. Egli si compiace di ritrovare l'assemblea gradita ospite nella casa offerta con la più viva cordialità e vede con compiacimento più alto la vita della Società Storica concatenarsi con quella delle Negroni-Civica in solidarietà di comuni intenti ed in fraternità di lavoro. E si augura che i locali delle biblioteche diventino della Società Storica la duratura sede.
Ringrazia l'on. E. M. Gray pel suo assiduo pensiero alla istituzione e ne addita la generosità continua che presto lo farà segnalato sulla lapide dei donatori più cospicui adhuc vivens, ad multos annos!
Di pochi giorni prima è il suo gesto che arricchì il patrimonio librario d'oltre 72 opere importanti per valore letterario ed attualità.
Continua facendo rilevare l'abbellimento del grande scalone che i convenuti hanno visto ornato di due nuove opere che vogliono essere una espressione di gratitudine ai benemeriti maggiori del luogo e della coltura novarese: il busto a Carlo Negroni e la lapide ai donatori.

Il busto non è un duplicato inutile. Vuoi essere un duplice omaggio: al Numen loci ed al chiaro scultore Antonio Carestia. L'opera egregia in cui questi aveva trasfuso tutta l'ispirazione della sua nobilissima arte doveva avere l'onore della fusione nella perennità del bronzo come postumo riconoscimento di un ulto valore. Un qualsiasi veramente grande Signore del Rinascimento non avrebbe mai dubitato di far figurare accanto ad un egregio pezzo poniamo di Baccio Bandinelli un capolavoro di Michelangelo anche se fossero stati d'uguale soggetto. Così il sogno da tanto tempo accarezzato si realizza ora togliendo dallo scalone la fragile meschinità d'un gesso e sostituendovi un bronzo prezioso che è ricchezza e signorilità e decoro dell'ambiente.

E ricordando i benemeriti il cui nome è inciso sulla lapide torna col pensiero al chiaro vibrante discorso del comm. avv. G. P. Montani quando s'inaugurò la sede ed il ricordo a Carlo Negroni il 17 dicembre 1906. Nel memore accenno rammenta la benemerenza dell'egregio uomo che pose i fondamenti della vita delle Biblioteche riunite. Rivolgendosi quindi all'on. Segretario Federale che con la sua presenza porta il consenso vitale del Regime Fascista a tutte le istituzioni culturali della Nazione, lo assicura che nelle sale delle Biblioteche, dove Egli in una sua visita aveva potuto notare fervore di studi specialmente nei giovani, aleggia sempre uno spirito alacre ed un incoraggiamento continuo col monito del Duce di vivere pericolosamente. Gli uomini che reggono l'Ente come si dilettano di cimelii, di incunaboli, di rare edizioni e sono custodi severi delle memorie del passato, hanno l'animo aperto alle audacie degli «oltre i quattromila metri» e godono così fortemente le gioie dello studio come quella che Keats chiamava la gioia di respirare più vicino al cielo. Essi vogliono che la gioventù fascista raggiunga la perfezione nel connubio «libro e moschetto». E le parole si concludono appunto auspicando prossima l'inaugurazione nella sala di lettura d'un trofeo in cui un moschetto s'appoggi ad un libro: pensiero ed azione. Finisce ripetendo un ringraziamento ai Gerarchi presenti, Segretario Federale e vice Podestà, col Presidente della Società Storica per estenderlo a tutti i convenuti.

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Il Presidente della Società, ringrazia vivamente l'oratore per aver voluto rendere più solenne questa adunata annuale della S. S. con l'inaugurazione di due opere importanti e significative che aggiungono nuovo decoro all'Istituto ospitale delle Biblioteche; si rallegra per il nuovo impulso dato dalla Amministrazione attuale alla gloriosa istituzione culturale cittadina i cui tesori bibliografici vennero degnamente illustrati in una recente pubblicazione che è promessa e certezza di altre future.

*   *   *

Indi rivolge un augurio all'avv. E. Silva, Vice Presidente della Società Storica, attualmente infermo, perché possa presto e completamente ristabilirsi in salute.


Commemorazioni.
Donna Licinia Gray Santini.


La prof. Rosa Cesare, del Consiglio Direttivo della Società Storica, domanda la parola per ricordare brevemente la venerata figura della Madre del Presidente, nel doloroso trigesimo della morte.

*   *   *

Vi sono figure che quando scompaiono, lasciano rimpianto e desiderio di se, non solo nella casa che illuminarono assidue con l'affetto e con l'opera, ma ancora in quanti ebbero con loro rapporti, e si avvezzarono per lunga consuetudine di giudizi unanimi, a considerarle con simpatia e riverenza.

Chiedendo all'Assemblea pochissimi minuti di sosta al suo proficuo lavoro per ricordare qui la figura di Donna Licinia Gray Santini, Madre venerata al nostro illustre Presidente, io credo senza presunzione di averne consentaneo il cuore tutto.

Ella era una di quelle donne, rare forse in ogni tempo, ma certo rare al nostro, che al dovere ed ai nobili affetti pospongono ogni cura di se, e non valutano le più preziose doti dello spirito, se non in quanto le mettono in più intimo contatto col pensiero e col cuore dei loro cari, ne sostengono la fatica quotidiana, ne indovinano le lotte più ascose, ne addolciscono la vita anche nei giorni delle prove più aspre. Il lucido intelletto, la varia cultura che una sete sempre viva di conoscere e di intendere le aveva consentito di formarsi lungo tutto il cammino della esistenza, il fermo e diritto volere temperato da una larga vena di bontà, non furono mai per lei motivo alcuno di compiacimento personale: uscendo in un giorno remoto dall'antica casa dei Santini - gente di schivo decoro patrizio e di civica saggezza - per entrare nella casa maritale, Sposa e Madre, Ella non ebbe altro orgoglio, non conobbe altre gioie che quelle che le potevano venire dai meriti e dall'opera dei Marito e dei Figli. E poiché le toccò la sorte invidiata, ma grave, di vivere accanto a gente di alto ingegno e nata alla battaglia, come altri nasce al pacifico lavoro, Ella conobbe prove e ansie lunghe e ripetute, insieme con molti trionfi; ma se la tenerezza la rese più d'una volta trepida dentro di sé, non le suggerì mai le parole che valessero a raffrenare l'ardimento, o nell'arringo dove le idee lampeggiano e cozzano quanto le armi, o sui campi insanguinati dove la Patria, conquistando i vietati confini, conquistava insieme il dritto a un più grande avvenire. Ne la giustificata compiacenza materna si scompagnò mai in Lei da un riserbo delicato che era virtù prima ancora che signorile compostezza.

Credette nella parola di Cristo, e amandola, ne fece norma di vita senza ostentazione e senza intolleranza; perdonò nel nome dì Cristo, e predilesse il gesto della carità che muove sollecito e silenzioso incontro al bisogno, come attesta qualcuno degli umili che rimangono a piangerla.Schiva come fu di ogni atteggiamento che adombrasse un qualsiasi desiderio di notorietà per se, Ella sarebbe bene stupita di sentire dire di Lei in una adunanza come la nostra: stupita, oso credere, e non sdegnata, perche queste parole non sono suggerite ne da fredda consuetudine ufficiale, ne da servilismo alcuno verso l'Uomo egregio che presiede così degnamente al nostro Sodalizio.

Accolta e chiusa nel cuore la nostra parola di reverente compianto, insieme con i ricordi e col dolore che è amore, Egli ritorni intero alla battaglia nel duro tempo che vuole così disperato impeto di energie da ciascuno di noi, anche nella più modesta delle esistenze. Vi ritorni animatore ed artefice, quale ci apparve ancora recentemente nella relazione poderosa e quadrata che la «Dante» - che si onora di averlo Vice Presidente - adunata in congresso a Roma, ascoltava ammirata da lui e coronava di scroscianti applausi per la fervida e pur contenuta passione la quale, oltre i doveri e l'assistenza ai fratelli nostri viventi in terra straniera, mira alla dignità, alla grandezza, alla forza possente dell'Italia futura.

[Natalia] R[osa] Cesare.

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On. Dott Luigi Giulietti

L'on. Gray, in assenza del dott. D. Bocci, che avrebbe dovuto commemorare davanti all'Assemblea, come già fece degnamente nel Bollettino Storico (fasc. I-II, 1932), l'on. dott. L. Giulietti, pronunzia brevi parole per ricordare la nobile figura dello scomparso Socio del nostro Sodalizio.
Ne rievoca le belle qualità di professionista coscienzioso e benefico, di padre esemplare tutto dedito agli affetti familiari, di amico dei poveri in tutto il più nobile significato umano, d'uomo politico integro, nonostante che militasse in un campo tanto lontano da quello dell'oratore.

Sac. Prof. Canonico Don Francesco Jamone.
Sac. Mons. Don Gioranni Pellagatta.


Ha la parola il Rev. teol. prof. don Giovanni Cavigioli per ricordare due altri degni Soci defunti del nostro Sodalizio.
Del prof. Jamone il Cavigioli aveva già nobilmente scritto nel Bollettino Storico (Fasc. I-II, 1932), ma giustamente egli ne richiama la serena e buona immagine all'Assemblea.

Ho accettato con reverenza commossa l'ufficio di ricordare in questa tornata due miei colleghi che nella dignità della vita resero la migliore testimonianza al carattere di cui erano insigniti e che furono due studiosi: il canonico Jamone e Monsignor Pellagatta.

L'improvvisa dipartita del primo nel febbraio scorso ebbe il timbro di un rintocco d'agonia alla straziata sofferenza del secondo che contava in serenità francescana i passi della sorella monte liberatrice. L'uno e l'altro ebbero per gli studi storici quella simpatia attenta che è propria delle persone colte, alle quali, per dirla con Alessandro Manzoni, non è una piccola parte di miseria il conoscere così poco di ciò che è stato il loro piccolo mondo.

Diverse furono le due fisionomie spirituali.
Appartato nei silenzii meditativi il Jamone, non tanto però che non discendesse tratto tratto sulla via rumorosa par tradurre la sapienza contemplata in bontà operatrice, vissuto invece nel ministero e in quale ministero nel crocivio, voglio dire, dei dolori, Mons. Pellagatta, furono entrambi non indifferenti alle voci del tempo e alle riposte ed elevate soddisfazioni della cultura.
E se il Jamone, schivo di temperamento, non pubblicò nulla, fu però maestro di molta efficacia al clero diocesano che da lui apprese le supreme direttive della critica documentaria.
Il Pellagaitta all'opposto fu portato ad occuparsi di storia locale dalla sua stessa dinamica, attività di parroco dell'Ospedale e di fiduciario della Curia, dove aveva avuta una rispettabile influenza prima ancora di salire a capo della magistratura diocesana.
Pari al profondo senso della responsabilità del suo ufficio di parroco ebbe il tenace desiderio di inquadrarlo e di consolidarlo in una perfetta attrezzatura giuridica.
Onde ricercò le ragioni del presente scrutando nel passato per impostare l'assetto dell'avvenire.
Frugando e rifrugando archivii, assumendo gli studii altrui non come limite ma come punto di partenza e luce di guida ai suoi, diede prova di possedere quell'intuito critico che se non è sempre il succedaneo è però sempre il presupposto del metodo d'indagine.

Non fu questa invero la faccia più in vista del suo poliedrico spirito. Ma lo storico futuro della beneficenza cittadina dovrà calcolare come contributo di prima importanza la breve e succosa monografia del Pellagatta, pubblicata sul Bollettino Storico del 1925 [1] , sulla originaria figura, della Casa di carità di S. Michele, destinata a diventare colla bolla sistina il nucleo d'attrazione e di alimento delle esangui cellule ospitaliere di Novara medioevale. Egli avverte di aver contro l'autorità del Garone e del Negroni, e, soggiungo io, del Morandi: ma io ritengo che il compianto iniziatore di questo cenacolo avrebbe certamente preso buona nota del materiale documentario, scrupolosamente scelto e levigato dal Pellagatta, per apprafondire una questione che egli aveva piuttosto sfiorata di striscio che sviscerata nella sua impareggiabile Storia dell'Ospedale.

Anzi, se mi è lecito tesoreggiare a rincalzo della tasi del Pellagatta una trouvaille d'archivio, venutami tra mani l'altra settimana in un assaggio al dovizioso fondo della Cattedrale, potrei rilevare che anche il card. Taverna in uno sguardo panoramico allo stato della diocesi dal 1615 ali 1619 ribadisce l'asserzione del suo immediato antecessore Bascapè notando che la Casa della Carità provvedeva all'assistenza degli infermi in grazia degli ospedali assorbiti mei primitivo brefotrofio.
Si tratta di un'opinione, ma l'opinione di due vescovi, tutori nati delle opere pie nel diritto pubblico di quel tempo, dice qualcosa.
Altro il Pellagatta aveva preparato per la storia della sua parrocchia, il cui curioso destino pare sia quello di fornire a getto continuo l'elemento stimolatore di controversie a sfondo giuridico: elemento benefico, soggiungo subito a scanso di equivoci, perché se la vita è moto, è pur necessario che le spinte si susseguano. Il controversista acuto, il bibliofilo autodidatta col fiuto di tutte le novità librarie delle materie a lui care, si è doublé in Mons. Pellagatta nel ricercatore che aveva l'argento vivo della curiosità. So però che un grande vescovo francese, il Dupanloup, in una sua circolare ai parroci, intesa appunto a favorire gli studi di storia regionale, osservava testualmente che della dotta curiosità non conviene mai dir male. Giustissima osservazione che io vorrei restasse nei miei colleghi del clero novarese infusa nell'aroma delle ricordanze personali di Mons. Pellagatta: perché quando la curiosità va di pari passo, come in lui avvenne, col'agile rifusione dei risultati in saggi utili a consultare, allora l'arco dell'orizzonte storico ci si disegna sempre più vasto. Cosicché nelle stesse allargate prospettive sentiremo più vivo il rimpianto di coloro la cui fatica è ammonitrice a noi superstiti nell'eloquenza dell'esempio.

G. Cavigioli.

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(1) – vedi «La casa della Carità di San Michele e gli esposti di Novara», Bollettino Storico per la Provincia di Novara, XIX [1925] n.1, pagg. 4-17.



Relazione morale della Società Storica per l'anno 1932.

Prima di dare la parola al Segretario della Società, prof. A. Viglio, per la lettura della Relazione morale, l'on. Gray gli rivolge cortesi parole di elogio per la sua opera animatrice in seno al nostro Sodalizio.

*   *   *

L'attività del nostro Sodalizio nel 1932 si riassume in poche parole: molta ed eccellente volontà di dare esecuzionie al programma tracciato nell'Assemblea dello scorso anno; ma la volontà e lo slancio sono stati in parte ritardati o frustrati da cause che saranno messe in luce dai singoli Relatori.
In sostanza però la Società può rivendicare a sé il vanto d'aver fatto convergere gli sguardi su uno dei monumenti più importanti di Novara, e cioè sulle raccolte lapidarie della Canonica e sull'edificio monumentale della Canonica stessa prima con la severa e degna illustrazione dello Scarzello e ora con l'inizio delle opere di restauro.

Era facilmente prevedibile che la somma raccolta lo scordo anno non avrebbe potuto bastare per un ampio restauro e cioè per l'esecuzione del programma massimo; ma il programma minimo, quello cioè della sistemazione dei monumenti romani e medioevali costituenti il Lapidario fu adempiuto completamente; si può aggiungere che anche il restauro del porticato e l'esplorazione dei muri del porticato furono iniziati con ottimi risultati: cessata la possibilità finanziaria, sono stati sospesi i lavori.
Ma già, come si dirà più innanzi,.sorgono all'orizzonte aiuti e speranze di nuovi contributi che ci permetteranno certo di riprendere i lavori interrotti nella prossima primavera.

Intorno ai risultati negativi delle ricerche di Folklore avviate con tutta la buona volontà, dirà uno dei membri della Commissione e l'Assemblea giudicherà sul da farsi.

Alle lapidi al General Perrone e a Silvio Pellico non si potè ancora provvedere per mancanza di fondi; ma si troverà modo di provvedere entro l'anno 1933.

Una forma notevole dell'attività della Società è anche costituita dalla pubblicazione della Rivista il Bollettino Storico al quale si rivolgono Sempre l'interesse cordiale e le benemerenze di collaboratori e di generosi amici.
L'ultimo fascicolo dell'anno corrente, che uscirà nel gennaio prossimo, completerà il volume, non inferiore per solidità di studi, per numero di pagine e di illustrazioni, a quello del 1931.
Per il prossimo anno le offerte di articoli sono così abbondanti e interessanti da far prevedere un eccellente, singolare, nuovo contributo agli studi di storia novarese.

Sarebbe desiderabile che Novara si facesse promotrice di uno dei Congressi della Società Storica Subalpina, così proficui agli studi regionali, stimolatori d'interessi culturali, valorizzatori della città stessa dove hanno luogo; naturalmente questa non è iniziativa che possa prendere la Società, ma soltanto il Comune, al quale noi ci permettiamo soltanto di esprimere il voto di modesti collaboratori.

*   *   *

La nostra Società non può ignorare che nell'ambito del Broletto, dopo i lavori di restauro compiuti negli sporsi anni, continua, fervida l'opera del Comune e della Sopra Intendenza per il completamento dell'impresa che resterà documento imperituro della nostra passata grandezza comunale e della presente vitalità politica e spirituale al cui clima soltanto si deve la rinascita di tanti monumenti, il coraggio di affrontare e risolvere tanti problemi d'arte e di storia, la volontà tenace di superare difficoltà che in altri tempi sarebbero state dichiarate insuperabili. Con questa convinzione, nata dalla esperienza che si rinnova ogni giorno, ogni ora, da ogni parte d'Italia, e che ha dato cospicui frutti anche nella nostra Novara, la Società Storica Novarese osa formulare l'augurio che molti altri importanti problemi artistici cittadini trovino nella intelligenza, nella volontà, nel fervido entusiasmo dei nostri Reggitori forze pronte e disposte ad affrontarli e a risolverli. Novara ha bisogno e diritto di essere fatta sempre più bella.

*   *   *

Sulla Relazione, applaudita dall'Assemblea, l'on. Presidente apre la discussione.
E comincia egli stesso esprimendo il desiderio di conoscere dai Rappresentanti presenti del Comune e del Ven. Capitolo dei Canonici del Duomo quali siano le intenzioni degli Enti che essi rappresentano in merito al problema della disciplina di transito nella Canonica. Bisogna che il problema posto dalla Società Storica già da qualche anno veda la sua soluzione indipendentemente da ritardi di cui altri possa essere incolpato. Il monumento è troppo importante e troppo spesso oggetto di critiche malevoli da parte di forestieri perché se ne ritardi ancora la sistemazione. È veramente inopportuno che ancora oggi carri e carretti abbiano libero transito sotto il quadriportico con evidente pericolo e danno non solo al selciato ma ai monumenti stessi ivi raccolti.

Il can. Cavigioli domanda la parola per dichiarare che il Capitolo è unanime nella volontà della soluzione del problema e che ormai i Canonici interessati, l'oratore compreso, hanno disdetto gli affitti dei locali della Canonica a negozianti, eliminando così ogni occasione di passaggio di veicoli sotto il porticato.
L'ing. Falcone, Vice Podestà, assicura da parte sua che affretterà la conclusione degli accordi col Ven. Capitolo per stabilire le norme di transito e di nettezza nell'ambiente della Canonica da far osservare con mezzi adeguati.

Il Presidente chiede ancora se non sia possibile pensare a un restauro di quella parte della Canonica che si usa chiamare la loggia del Petrarca perché da quella appunto il Petrarca parlò al popolo novarese alla presenza del Magnifico Galeazzo Visconti il 18 giugno 1366 per celebrare la pacificazione tra il signore e la città ribelle.
Il teol. Cavigioli non può rispondere in argomento trattandosi di problema da studiare e da risolvere in concordia di intenti tra Sopra Intendenza e Capitolo e con mezzi adeguati; ma crede di poter affermare che da parte del Ven. Capitolo vi siano le migliori disposizioni per accedere a una iniziativa del genere.

L'on. Gray, richiamato alla memoria dell'Assemblea il progetto già accarezzato dal Morandi, dal Rizzotti e da una Amministrazione Comunale di restaurare il Castello per farne la sede municipale, chiede al Rappresentante del Comune quanto vi sia di vero nelle voci recenti di una prossima ripresa dell'idea sia pure su altre basi e con altri intenti.
Risponde il Vice Podestà ing. Falcone che realmente è nelle intenzioni del Comune di risolveire l'annosa questione che è sempre assai difficile e grave per l'ingente spesa che richiede e per la soluzione indispensabile di tutti i problemi connessi.

Da ultimo l'on. Gray chiede se non sia giunta l'ora di mantenere la promessa fatta da tanti anni di formare ai piedi della Collinetta di S. Nazzaro della Costa il Parco della Rimembranza, che oramai tutte le città d'Italia hanno condotto a compimento.
Il Vice Podestà risponde che il progetto è allo studio; che si tratta di colmare lo squarcio fatto nella collina con nuovo terreno riportato per restituire la naturale inclinazione del pendio in modo che la collinetta non dia più, come ora, l'impressione esagerata di altezza rispetto al piano sottostante. Poi si provvederà alla piantagione degli alberi sempreverdi secondo un progetto armonico già predisposto.

Il Presidente ringrazia il teol. Cavigioli e l'ing. Falcone per le loro assicurazioni e per le promesse di appoggio alla soluzione di tutti i problemi proposti e discussi e che naturalmente stanno a cuore a tutti i soci del Sodalizio.

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Agli Amici e Protettori della Società Storica Novarese.

L'on. Gray rivolge anche un vivissimo ringraziamento a nome della Società Storica all'on. Rettorato della Provincia di Novara, al Comune di Novara e per esso agli Ill.mi Signori Podestà e Vice Podestà, alla Presidenza del Consiglio Provinciale della Economia, e alla Presidenza della Banca Popolare tanto degnamente rappresentata dal Grande Uff. Rag. Giardini presente, per la generosa sollecitudine con cui da essi nobili Enti e dalle illustri persone che li reggono si risponde a ogni invito e iniziativa della Società Storica per la salvezza e la redenzione delle memorie storiche e artistiche di Novara. Essi si rendono degni di perpetua riconoscenza e di alta stima verso le generazioni presenti e verso quelle che si succederanno nella nostra Novara.

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Il cassiere della Società, Mons. L. Cassani, presenta e legge le relazioni finanziarie relative alla gestione della Società per il 1931 e del Premio Morandi, ai Restauri del Lapidario, alle Onoranze a Giuseppe Ravizza e ad Ugo Ferrandi.


Società Storica Novarese.
Rendiconto finanziario 1931.

 Attivo Passivo
Avanzo dagli anni precedenti 4.767,00 
Quota annuale dei Soci 1931 (L. 5 x 218) 1.090,00 
Spese varie per la monografia sul Lapidario, come da specifica e ricevute  185,00
Alla collettrice delle quote sociali  80,00
All'inserviente per l'Assemblea annuale  10,00
Contributo della Società per le Onoranze Ravizza e Ferrandi  238,50
Necrologio Tadini:   
   Corriere Sera  219,45
   Gazzetta del Popolo  161,90
   Stampa  223,30
   Popolo d'Italia  170,50
   Italia Giovane  32,70
   Gazzetta di Novara  57,30
  868,70
Concorso per i restauri della Canonica  1.000,00
   
 5.847,002.349,20


  Lire
Attivo 5.847,00
Passivo 2.349,20
Avanzo 3.497,80



Premio Morandi.
Bilancio per il triennio 1928 -1930.

 Attivo Passivo
Rimanenza Cassa anno 1930 462,00 
Interessi del capitale Consolid. 5% (3000) 150,00 
Concorso del Comune (anni 28-29-30) 300,00 
Dal libretto Legato Carnaghi 200,00 
 1.112,00 
   
Al prof. Oreste Scarzello, vincitore del 3° Premio Morandi  1.000,00
  1.000,00


  Lire
Attivo 1.112,00
Passivo 1.000,00
Avanzo 112,00

Restauri del Lapidario (Canonica del Duomo).
Rendiconto finanziario 1932.

 Attivo Passivo
Ricevuto dalla Società Storica Novarese 1.000,00 
Ricevuto dalla Banca Popolare di Novara 2.000,00 
Ricevuto dal Comune di Novara 4.000,00 
Ricevuto dal R.do Capitolo Cattedrale 1.000,00 
Ricevuto dal R. Governo (Sopraintemdenza) 300,00 
Totale8.300,00 
   
Pagato al capomastro Cesare Ferrario  4.630,00
Pagato al pittore restauratore Mainini  2.420,00
Pagato alla Ditta Quirino Ferrario per colori, spazzole, colle ed impasti speciali  690,00
Pagato al ferraio Raverta per inferiata, ecc  190,00
  7.930,00


  Lire
Entrata 8.300,00
Uscita 7.930
Avanzo 370,00



Per le onoranze a Giuseppe Ravizza e ad Ugo Ferrandi.

 Attivo Passivo
Raccolte per le onoranze a G. Ravizza 4.358,60 
Raccolte per le onoranze a U. Ferrandi 650,00 
Raccolte globali per Ravizza, Ferrandi, Perrone   
   Comune di Novara 1.500,00 
   Rettorato della Provincia 500,00 
   Consiglio Prov. della Econ. 500,00 
   Banca Popol. Coop. di Novara 500,00 
 3.000,00 
Spese per la lapide a Ravizza  3.200,00
Spese per la memoria pubblicata, per l'oratore, per diversi  1.819,10
Spese per la lapide a U. Ferrandi  3.225,00
 8.008,608.244,10


  Lire
Entrate 8.005,60
Spese 8.244,10
Res. passivo238,60

coperto dalla Società Storica come suo contributo alle onoranze.

 

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Dopo la relazione sui diversi bilanci, cordialmente approvata dai presenti, Mons. Cassani legge la sua Relazione sopra

Un importante e sconosciuto monumento romano a Novara ed altri ritrovamenti archeologici.

Ogni anno gli scavi ridanno in luce qualche testimonianza del passato. In questo campo anche i frammenti non sono trascurabili per la futura ricostruzione storica.

Quest'anno i pozzi per le fondamenta del futuro palazzo delle Paste ci restituirono alcuni fittili, nella maggior parte firammentari, comuni e utili solo per confermarci quello che già scrisse il Bescapè, che questa zona è terreno archeologico.

Anche la escavazioni sotto l'ex-casa Cazzaniga per l'ampliamento della Pinacoteca Giannoni, rimisero in luce un tratto di grosso muraglione romano, impostato da nord a sud. E nelle fondamenta della nuova casa per il custode del Broletto, in vicinanza della camera curriculi e della casa ex-Sacchi, ove si rinvenne la lapide greca di Cisone e Scita, fu trovato altro lungo tratto di muro romano. Nessuna meraviglia se si pensa che, ai piedi dello scalone esterno del salone dell'Arengo, rimane ancora coperto un piccolo tratto di pavimentazione mosaica, antica.

A Novara, ovunque si scavi, si trova. Così in casa Scendrate un'avanzo di pavimentazione marmorea alla profondità di m. 1,30. In casa notaio Ferri, ora Duglio, un avanzo di muro romano ed un cunicolo, orientato da nord a sud, a perfetta volta tutta in ciotali e qualche tavellone. Ivi anche alcuni rocchi di serizzo, tagliati a prisma nella parte inferiore, segno di pavimentazione stradale.

Buona parte di questi sassi, avanzi della pavimentazione stradale del periodo romano, ci è pure stata donata dalla escavazione recente fatta in Corso Regina Margherita per il cambio della tubazione del Gaz. Furono raccolti, in un magazzeno civico, nella speranza di rifare con essi almeno un tratto di strada veramente romana, preferibilmente nel cortile del Broletto, sede dei futuri musei.

Ma il rinvenimento di maggior rilievo, quest'anno, ce lo hanno dato non gli scavi, bensì i muri ed i tetti; muri e tetti romani nel centro di Novara. Non intendo di dire una assoluta novità, voglio solo chiarire se il nostro Battistero è romano o romanico.

All'ingresso del tempio, dietro la valva destra del portone, un usciolino rasamuro, sfuggente agli occhi di quasi tutti, immette in un locale che è tutta oscurità. Una candela potrà farci vedere un ammasso di muri rotti, tagliati, malmenati, e appunto perché così scalpellati e rotti sono la vera chiave del problema.

Ecco lì a destra, un affresco della fine del quattrocento con Madonna e Bambino che si baciano sulla bocca tra S. Antonio ed un santo guerriero. Sotto a questo si intravede dagli orli che slabbrano fuori un altro affresco, probabilmente bizantino. Più sotto ancora un muro romanico non difficile a riconoscere, principalmente da chi può dire di conoscere un poco la canna del campanile del nostro duomo, anteriore, com'è storicamente provato, all'ann. 890 dell'e. v.

Questo muro romanico potrebbe essere la fede di nascita del nostro battistero, se fosse conosciuto da quanti lo vogliono romanico, dal can. Racca al prof. Gius. Lampugnani e da questi al recentissimo Luigi Dami. Scrittori più remoti però con li nostro Frasconi, non per ragioni d'arte o di storia, ma solo per ragioni liturgiche o tradizionali, lo vorrebbero costruito da S. Gaudenzio e quindi di quell'epoca detta paleocristiana. Così il Toesca. Solo il Bianchini, lo storico di Novara lo dice romano dell'impero; ed il Rusconi romano nell'interno, romanico nell'esterno. Nessuno di tutti questi scrittori ebbe la fortuna di curiosare in quell'usciolino, che, immettendo in un locale tanto scuro, dà tanta luce; perché in materia muraria la ragione definitiva spetta al martello ed allo scalpello.

Ma torniamo al muro romanico sottastante agli affreschi. Esso è come incastonato in un altro muro, evidentemente assai più antico, e chiude una porta arcuata di 2 metri di diametro. Questo muro, più antico del romanico, fatto con calce abbondante e bianchissima, con ben noti mattoni per chi vide muri romani, con qualche raro corso in ciotoli di fiume, con qualche corso di tavel'loni di centim. 20 x 44 x 7 per legamento, si da subito un'aria di romano vero, che fluisce col persuadere quando si scorge un avanzo del tetto che lo copriva; una fila di grossi embrici, formato 40 x 59, i quali, accavallandosi, salgono verso la porta del battistero formandone uno spiovente. Su questo tetto, che dirò romano, riappare poi ancora la muratura romanica come nell'affresco. Vi sono dunque qui due tecniche edili che mi dicono chiaramente di due tempi di questo edificio, e che potrebbero far ritenere vera la teoria, citata dal Rusconi. Ma non è così. Il romanico qui serve isolo come rabberciamento.

Perché osservando attentamente si trova che la porta del muro chiusa dal romanico, altro non era che la parte terminale di un breve portico, a volta di botte, congiungentesi e facente corpo fin dall'origine col primo nicchione destro del battistero, bucandola anzi con altra bella porta arcuata per immettere nel tempio: era dunque un fornice, il fornice destro dell'attuale ingresso. Ecco il perché di quegli embrici romani, essi salivano a formare un atrio a tre fornici, un atrio romano tanto elegante quanto raro. Tutto ciò è visibile, palpabile, innegabile. Ed è sorprendente che un atrio simile, a tre fornici, il quale buchi le due esedre laterali per fare una triplice entrata nell'ambiente, non trovi il suo riscontro se non nei secoli migliori di Roma. Dirò più chiaro; nei trattati, io ne ho trovato uno solo e questo sul Palatino nella casa che fu già d'Augusto.

Io stesso trovo il riscontro un po' troppo ardito; ma contro l'esistenza del fatto non datur argumentum.

Ad ogni modo cominciamo a constatare la presenza di un atrio romano «finora sfuggito a tutti, e notiamo specialmente che questo atrio si congiunge, anzi fa corpo con il resto dell'edificio: lo dimostrano ed il fornice d'ingresso e quello minore di sinistra, in cui ci troviamo per questa descrizione. Perché il muro del primo nicchione di destra, resicato a metà, scalpellato e malmenato com'è, si rivela non solo romano, ma sorto, mattone per mattone, corso per corso, insieme col fornice dell'atrio. E com'è questo primo nicchione sarà certamente anche il secondo e tutti gli altri. Infatti, se ci prendiamo il gusto di salire una scala a piuoli, che è lì pressa, avremo di piacere di vedere sopra il nostro capo il tetto moderno e di sentire (sentire prima e poi toccare con mano, indi vedere) il tetto romano fatto di grossi embrici, 40 x 59, cioè romani. Siamo sul tetto del 1° e 2° nicchione. Perciò anche i nicchioni sono di muro e tetto romano come l'atrio, ed a questo congiunti e facenti corpo fin dall'origine. Un rotto della cuffia del 1° nicchione, largo più di mezzo metro quadrato, lascia vedere una sottostante volta di fine eleganza, non nota ai romanici. Ed un grosso cippo di granito, messo per lungo tra il 1° ed il 2° fornice quale legamento, nascosto tra i anuri, mentre i romanici al contrario li mettevano ben bene in vista, e più per figura che per forza viva, mi incoraggia sempre più nel trovare romano l'edificio del nostro battistero.

L'Architetto cav. Lazanio, chiamato, vide, constatò e ritenne egli pure romani atrio e tetti e muratura di quanto si è detto finora.

C'è qualche cosa di ancora più rassicurante. Entriamo nel tempio. Tempio? Ninfeo? Sala termale?

Esso è a pianta ottagonale, ottacora, con asse verticale e cupola. I quattro cori rivolti ai punti cardinali hanno volta a botte e sfondo rettangolare; i quattro cori ottenuti negli altri quattro lati hanno volta a cuffia, o semicatino, e fondo curvilineo, a nicchia.

Sopra l'arco dei cori continua una zona ottagonale in cui s'aprivano finestroni arcuati, ora chiusi; e dall'arco di questi finestroni si inizia e sale sferoidale la cupola senza alcun triangolo di raccordo, o impeduccio, puntando verso l'occhio centrale di chiusura. Dirò, in seguito, che questa cupola potrebbe anche essere opera del V sec. in sostituzione di altra preesistente. Devo parlare così perché la cupola non è ancora stata da me esaminata.

Ad un occhio superficiale potrà forse parere che tutti i battisteri o chiese ottagonali con asse verticale siano eguali. La verità è ben diversa. Essi sono bensì della stessa discendenza, e vengono da uno stesso prototipo, ma, pur ritenendo il poligono e l'asse verticale, hanno coi secoli subito evotazioni e variazioni moltissime, pendendo molto dell'antica semplicità ed eleganza.

Il Rivoira nei suoi classici volumi sull'«Architettura Romana» e sulle «Origini dell'Architettura Lombarda», dice lombarda per longobarda o romanica, trova questo prototipo sul Palatino nella casa d'Augusto, riedificata nell'85 dell'e. v. per ordine di Domiziano dall'Architetto Rabirio. Il mondo antico non aveva ancora visto nulla, di simile egli dice. E da allora cominciano le imitazioni e relative variazioni. Apollodoro di Damasco per ordine di Adriano, quarant'anni dopo, l'imita nella celebre villa di Tivoli, ma comincia ad ometterne l'atrio. Vengono in seguito i ninfei, le sale termali, qualche sepolcro, ecc. e l'evoluzione modifica sempre più il primo tipo. Coll'imperatore Costantino sorgono i battisteri. Quello del Laterano altro non era che un ninfeo, che poi variò più e più volte ed ora dell'antico battistero di Costantino non conserva che le colonne. Sarebbe forse questa l'origine anche del nostro? Può darsi: e non saprei spiegarmelo diversamente. Il fatto è che dal V al X-XI secolo sono sorti numerosissimi battisteri, provenienti dallo stesso eapostipite, ma coi quali il nostro è parente ben ben lontano. Non provo neppure a metterlo di fronte ai battisteri romanici del IX-X-XI sec, dai quali si differisce troppo e per tecnica muraria e per forma.

Proviamoci invece a paragonarlo al celebre battistero degli ortodossi di Ravenna, che, mentre è il migliore esemplare dei tipo, disterebbe, in ordine di tempo, ben poco dal nostro perché il Vescovo Eone era quasi contemporaneo di S. Gaudenzio.

Spogliamo ipoteticamente il battistero di Ravenna dello sfolgorìo dei suoi mosaici e delle sapienti sue decorazioni, e lo troveremo ancora ottagonale, ma solo con quattro esedre; ancora ad asse verticale, ma già con archi troppo larghi in proporzione alla loro altezza; ancora con colonne, ma già sovrabbondanti con altro ordine di colonne al piano superiore; ancora con capitelli, ma non più classici, mentre non c'è più ricordo di atrio a portici. Questo dunque che dovrebbe essere, tra i battisteri paleocristiani, il più prossimo al nostro, sì, gli è ancora parente, ma d'una parentela tanto lontana.

Se invece paragoniamo il nostro battistero, spogliato di tutte le incrostazioni dei millenni che gli gravano addosso, coi disegni e fotografie dei ninfei veri, delle sale termali di Roma e dintorni, noi vediamo facilmente che la parentela si restringe a farli almeno cugini. E se lo mettiamo di fronte al rudero della predetta sala di Villa Adriana a Tivoli, non ci vorrà fatica a trovarli veri fratelli, se non badiamo all'atrio, che là manca. Quando poi si mettano, fianco a fianco, la sala di Domiziano del Palatino al nostro battistero, ecco là e qui il bell'atrio a tre fornici; ecco là e qui che i fornici minori bucano e penetrano nelle due prime esedre, caso rarissimo; ecco in entrambi l'ottagono, ma con altrettanti cori quanti sono i lati, otto; ecco là e qui, i cori rivolti ai puniti cardinali coperti con volta a botte, ma con fondo rettilimeo; e così pure sempre là come qui i cori, ottenuti negli angoli dei punti cardinali con volta a cuffia e sfondo curvilineo. Là e qui la cupola sferoidale che si stacca direttamente dall'ottagono senza bisogno di impeducci, sebbene su questa si debbano fare delle riserve a favore del sec. V. Unica differenza, la zona ottagonale coi finestroni ma che potrebbe benissimo essere dei primi secoli dell'impero, perché la troviamo anche nel ninfeo detto «Minerva Medica» in Roma.

L'imitazione dunque è d'una precisione sorprendente, in tutta la parte sottostante alla cupola, che è l'essenziale.

Anche la vasca battesimale posta sotto l'occhio centrale della cupola parla in nostro favore. Tutti l'ammettono dal I o II sec. dell'impero. Essa è qui e fu scolpita per questo luogo. Infatti, se è rotonda, perche poggia nel centro, sotto l'occhio centrale della cupola, nella sua ornamentazione a bassorilievo architettonico è ottagonale, le sue otto lesene divisorie corrispondono perfettamente alle otto colonne corinzie che dividono i muri o spicchi dei nicchioni. La parte rivolta all'entrata ha il suo bell'arco accogliente e concordante coll'arco del nicchiane fronteggiante. Già il nostro Morandi l'aveva sospettata una vera da pozzo: avrebbe forse detto meglio «una vasca da impluvio». E lo Scarzello fa ben notare che potrebbe essere stata una base (ora svuotata) di una qualche statua colossale. Quel che è certo è che essa in origine non fu una vasca battesimale, perché nel I-II sec. non esistevano vasche battesimali, né a Novara era ancora giunto il Cristianesimo; e tanto meno un'urna sepolcrale, perché in tutto l'impero non ne esiste esempio, come Sepolcro.

Essa dunque, o base di statua colossale, o vasca da impluvio, s'accorda architettonicamente nel suo ottagono e nelle sue finte lesene all'edificio, come una parte al suo tutto. Ma essa è, tutti l'ammettono, del I o II sec. dell'impero; prova quindi l'età del battistero.

Anche le otto marmoree colonne corinzie sono del I o II secolo dell'impero; e s'accordano cogli spicchi dei muri divisori dei nicchioni, perché la misura delle loro basi, come quella del cesto del loro capitello, è quella stessa dei detti spicchi. E non importa che esse abbiano ora una posizione che quasi certamente non avevano in origine. Importa sapere che la sala, a questa contemporanea, di Villa Adriana, le aveva come queste, la così impostate sotto la convergenza degli archi. Che se la sala di Domiziamo sul Palatino non ne ha più tracce, è perché essa fu spogliata di tutti i suoi marmi e non è se non un rudero, che renderebbe quindi sempre più prezioso il nostro monumento. Puerile mi parrebbe l'affermazione che esse potrebbero provenire da qualche altro monumento della città. Così sorelle, così intatte, così variate per la varietà dei cori, cosi tagliate su misura dello spessore dei muri divisori dei nicchioni, esse costituirebbero un miracolo di fortuite e ben fortunate combinazioni. Più naturale è dire che esse con la marmorea vasca son nate col monumento e pel monumento che costituisce ora il nostro battistero.

In ultimo, la località stessa dice qualche cosa di concludente. Qui d'intorno si scavarono lapidi romane, monete romane, are e cippi romani, anfore e muri romani, un dito di statua bronzea colossale. E qui presso, e sotto l'atrio del duomo e sotto i portici, così detti nuovi, c'è ancora molto di romano già visto, non ancora tolto, ma già notato ed elencato.

Non parrebbe quindi possibile trovare ardita l'affermazione che il nostro battistero sia un monumento dei primi secoli dell'impero Romano.

Tuttavia, chi guardi il battistero dal di fuori, vedendone il coronamento della cupola, deve dire: eppure questo é romanico. È vero. Se poi costui va a vedere la parte inferiore della cupola dal cortiletto del Cappellano di S. Giovanni, dovrà subito ricredersi, perché gli balzerà all'occhio un finestrone romano che ricorda quelli del ninfeo Li-ciniano in Roma, detto tempio di Minerva Medica. Cosa pensare?

La risposta ce la potrebbero dare il martello e lo scalpello, che sono saggiatori infallibili, ma ci potrebbe venire anche dal coronamento e dal tetto delle esedre esaminate in principio. Il raffronto di questo tetto elegantemente e possentemente romano non ci lascia dubbio sui due tempi diversi e ci fa qualificare per sopravvenuti sia gli archetti che il tetto attuale della cupola. Non altrettanto si potrebbe dire di quel finestrone romano e degli altri sette ora tutti o accecati o malmenati, che prima illeggiadrivano come corona di luce il tempio, tempio di rinascita al Dio della luce «ego sum lux mundi», e che pare ora un sepolcro per l'attuale sua oscurità.

Essi potrebbero essere tanto dei primi secoli dell'impero, come del V-VI secolo, che in arte erano ancora romani. Ed in questo fortunatissimo caso noi ci incontreremmo col grande nostro S. Gaudenzio, il quale, nato quand'era ancora vivo l'imp. Costantino Magno, e morto poco dopo il primo decennio del sec. V e quindi trent'anni prima che il Vescovo Eone innalzasse quel battistero di Ravenna, di cui ho detto sopra, sebbene ancora romano era già della decadenza molto avanzata. Ora S. Gaudenzio protovescovo di Novara, deve necessariamente aver avuto il suo battistero.

Perciò, o se l'era eretto ex novo, improntandolo al tipo dei battisteri del V secolo, secondo il gusto della decadenza; e ciò non corrisponde allo stato rigorosamente classico dei I o II sec. di questo di Novara, sempre facendo rispettabili dubbi sulla cupola. Oppure si sarà servito di un qualche edificio preesistente, ninfeo, sala termale, tempio pagano o simile, limitandosi a fargli sorridere intorno gli otto finestroni romani collo spingere un po' più in alto la cupola. Ed in questo caso S. Gaudenzio avrebbe imitato altri Vescovi del tempo e lo stesso Costantino Magno che cambiò in battistero il ninfeo del palazzo Latarano.

E questo edificio preesistente, sala termale, ninfeo, o tempio pagano in ruina, ma copia perfetta, ma fratello gemello di una sala della domus augustana del Palatino, lo riscontriamo senza esitazione nel nostro Battistero, sebbene ritoccato forse nella cupola da S. Gaudenzio nel V sec., sebbene incrostato allo interno e sepolto all'esterno dai detriti di due millenni.

Esso fu una gemma di quell'arte cantata da Orazio colla fremente invocazionie possa tu, o sole, vedere mai nulla più grande di Roma.

Esso è una fonte di quella fede e di quel soffio che porta il Vangelo di Gesù nostro Signore fino agli estremi confini della terra, ma sull'ali della classica lingua dell'impero romano.

Esso è uno dei cento, dei mille monumenti, sparsi nel mondo, quasi sentinelle salde, impassibili, indistruttibili di tempi romani che furono, che sono e che saranno meta infallibile d'Italia, se il fascio romano, innalzato dal Duce, più che sull'abito si porterà nel cuore.

La dotta relazione di Mons. Cassani è vivamente applaudita dalla Assemblea che ha seguito attentamente i risultati della fortunata scoperta dell'alacre R. Ispettore onorario dei Monumenti per Novara.

Vive parole di congratulazione gli rivolge a nome dell'Assemblea l'on. Gray.

Il prof. A. Viglio chiede di parlare sull'argomento.
Egli rileva anzitutto che il sospetto della romanità del monumento era già balenato a diversi studiosi nostrani e forastieri; ma le prove definitive non furono mai date; l'apparecchio architettonico dell'interno dell'edificio, mascherato in parte da rimaneggiamenti posteriori di tempi diversi, era per alcuni abbastanza probatorio della antichità della costruzione risalente ad epoca preromanica, ma altri aveva già spiegato questo aspetto come una sovrapposizione classica dell'epoca rinascimentale. L'Osten disegna e presenta il monumento come romanico.
Toccava a Mons. Cassani dire la parola definitiva al riguardo. La sua tenacia e il suo fiuto archeologico lo spinsero a varcare la porticina dei misteri e a trovare insieme con l'arch. Lazanio la struttura primitiva del monumento.

La scoperta ha una importanza valicante la stretta cerchia dell'interesse provinciale e tale da meritare la più ampia diffusione. Egli chiede intanto a Mons. Cassami di poter pubblicare nel Bollettino della Società Storica Novarese il risultato della sua scoperta e del suo studio preliminare. Ma fa voti vivissimi che a questo primo passo nella illustrazione del monumento ne seguano altri più efficaci alla valorizzazione del Battistero novarese. Prega Mons. Cassani a continuare la sua esplorazione e i suoi studii, a corredare il materiale critico con disegni e illustrazioni fotografiche e propone che la Società Storica assuma l'onere delle non gravissime spese. Chissà che un giorno o l'altro - e s'augura che sia presto - quel sogno dell'isolamento del Battistero di cui l'oratore stesso si fece paladino in un articolo illustrato da bei disegni del Lazanio, non possa diventare una bella realtà. Novara allora possiederà una zona monumentale di raro valore e di rara bellezza.

Mons. Cassani accoglie le proposte del prof. Viglio e promette di continuare i suoi studi secondo il piano tracciato.

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Ritrovamento di monete medioevali nella Riviera d'Orta.

Si dà in seguito notizia di un notevole ritrovamento di monete medioevali comunicato alla Società Storica dall'Ing. Giulio Decio, R. Ispettore onorario dei Monumenti per la regione del Cusio, socio benemerito del nostro Sodalizio.

Nello scorso maggio un muratore di Opaglio nel demolire un vecchio muro di un fabbricato in rovina esistente tra Pella e Lagna (nuovo Comune dei Castelli Cusiani - Riviera di Orta), ha rinvenuto in un vecchio astuccio tubolare di ferro, quasi del tutto corroso, sessantaquattro monete viscontee, in parte d'argento, quelle col diametro maggiore, e in parte, le più piccole, di lega povera dello stesso metallo. Venuto il fatto a cognizione del R. Ispettore onorario locale per l'Arte medioevale e moderna, questi provvide a ritirare le monete, allo scopo di farle esaminare dalla R. Sopraintendenza di Torino, assecondato volonterosamente dallo scopritore. Dette monete, ancora oggi in esame a Torino, non pare preisentino caratteri di rarità: sono quasi tutte ben conservate, e furono coniate parte nella zecca di Pavia e parte in quella di Milano. Dalla zecca di Pavia provengono ventidue grossi d'argento di Barnabò e Galeazzo Visconti, Consignori di Pavia (e Milano).Dalla zecca di Milano vengono altri ventidue grossi d'argento degli stessi Consignori di Milano (due tipi diversi), due grossi d'argento [1] (pegioni?) di Barnabò Visconti, dieci sesini di lega (tre tipi diversi) di Barnabò e Galeazzo Visconti, un sesino di lega di Barnabò Visconti, sette sesini di lega di Giovanni Galeazzo Visconti, Conte di Vertus. L'assenza di monete ducali di quest'ultimo Principe fa ritenere che il tesoretto sia stato nascosto verso la fine del XIV secolo e può il deposito connettersi con fatti storici di quella età, colla battaglia di Gavardo cioè vinta nel 1373 da Amedeo VI di Savoja, detto il Conte Vende, e dai suoi collegati sulle truppe di Galeazzo Visconti, comandate dal figlio Giovanni Galeazzo, Conte di Vertus: dopo questa vittoria il Conte di Savoja assediò Pavìa, ma dovette nel 1374 levare l'assedio, per lo sbandamento dei soldati. Era uno di questi il possessore delle monete, forse frutto di bottino di guerra? o era un rivierasco di Orta, emigrato, come è antico costume del luogo, per commercio o lavoro a Pavia e fuggito all'approssimarsi dell'esercito di Amedeo? o semplicemente una persona che aveva interesse più o meno onesto di nascondere di gruzzolo composto di monete, che erano allora quelle che avevano corso nel paese? [2].

Il nome del Conte di Vertus e quello di un Comune della Riviera d'Orta si collegano anche ad un altro fatto al quale accenna un documento pubblicato in questo Bollettino nel volume XXI (anno 1927) sotto il titolo «Le pergamene della Parrocchia di Ameno» (pergamena n. 7) [3]. È un atto di donazione stipulato nella platea militum di Novara nel 29 di marzo dell'anno 1384, essendo Signore della città Giovanni Galeazzo Visconti, Comes Virtulis, e ricorda la cessione di beni (boschi?) al Comune "ed agli uomini di Ameno fatta dai nobili militi fratelli Pepoli. Come questi nobili bolognesi possedessero quei terreni, che ora fanno ancora parte del patrimonio dello stesso Comune, si può spiegare con grande probabilità, quando si pensi che Giovanni Galeazzo aveva di recente acquistato dagli stessi Pepoli la Signoria di Bologna; si può supporre che parte del prezzo di detto acquisto consistesse in beni avuti del Visconte situati sui colli che uniscono il Vergante, d'onde ebbe origine la sua famiglia, alla Riviera d'Orta.

Non con pari facilità si può spiegane come la cessione sia stata fatta per donazione e non per vendita. Altri beni, ora boschi come quelli sopra citati, acquistarono poi in località vicina, il Comune e gli uomini d'Ameno dal Comune, e dagli uomini di Invorio Superiore, non che dai Signori di questi, Visconti di un ramo collaterale, nell'anno 1526.

G. Decio.


(1) Vedi Marco Strada: La zecca di Milano e le sue monete Editrice la Famiglia Meneghina. Milano, 1930.
(2) Non si conoscono monete del Vescovo di Novara, Signore della Riviera di S. Giulio.
(3) Giulio Decio, «Le pergamene della chiesa parrocchiale di Ameno», BSPN XXI [1927] n. 1, pp. 49-62.

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Ricerche di folklore regionale.

Ha la parola la prof. Rosa Cesare, per riferire intorno ai lavori di ricerche folkloristiche regionali iniziati nell'anno 1932.

La nostra relazione sarà brevissima per forza di cose; giacché a un anno dii distanza, per quanto si riferisce alla nostra iniziativa, noi ci presentiamo all'Assemblea, non dirò umiliati, ma poco soddisfatti. Abbiamo dunque sbagliata la via? o quello che ci pareva degno d'attenzione e denso di significato era tale soltanto per noi?

Intorno alla prima questione lasciamo giudice l'Assemblea, pronti ad accettarne il verdetto; ma per la seconda conserviamo intiera la presunzione di essere nel vero.

La Commissiome, riunita sotto la presidenza del chiarissimo prof. Viglio, credette in un primo tempo che fosse opportuno restringere le ricerche alla Bassa Novarese; e compilata una circolare sui punti che avevamo avuto l'onore di esporre qui, si volse a richiedere il patrocinio del R. Provveditore agli Studii per il Piemonte, e al Segretario Federale Fascista. Ottenuta da entrambi piena e sollecita adesione, indirizzò quella circolare ai Maestri per il tramite dei Direttori Didattici. Il risultato fu scarso al di là di ogni pessimistica previsione. Né vogliamo farne colpa ai Maestri, sapendo meglio di chiunque, di quante fatiche e di quanti obblighi sia ormai gravata la loro giornata laboriosa; ma può darsi che taluni abbiano interpretato male il nostro passo, dandogli il carattere, non dirò d'una inframmettenza, ma di una piccola o grande indiscrezione.

Noi sognavamo di farcene dei collaboratori bene informati e amorosi, disposti come eravamo a far risaltare nella pubblicazione - ahimè, purtroppo, di là da venire - il merito di ciascuno di essi! unicuique suum. Ma fummo forse fraintesi e male accetti.

Il fatto sta che al nostro invito largamente diffuso risposero cinque insegnanti e un podestà, due dei quali per dichiarare che nei rispettivi Commini non v'è nulla che sia degno di rilievo. Con una certa larghezza ci si fornirono notizie intorno al Comune di Borgolavezzaro; ma tra esse, le storiche o pseudo-storiche soverchiano le folkloriche. E di quanto sorrideva alla nostra immaginazione o al nostro sentimento, come sopravvivenza d'una letteratura popolare o di costumi pittoreschi o caratteristici, nulla.

Devo tuttavia alla cortesia e alla vigile attenzione della dottoressa Treves, la notizia che alla Mostra delle Scuole Elementari ordinata nello scorso giugno alla Casa del Balilla, figuravamo scritti interessanti di fanciulli intorno a tradizioni locali, scritti composti, s'intende, dietro la guida e il racconto degli insegnanti: il che risponde ad uno degli aspetti più originali e più vivaci della Riforma Gentile.

Non avevamo dunque sbagliato pensando che i Maestri potessero dar luce ed ausilio; ma evidentemente quelli che avevano fornito alla Mostra gli iscritti indicati, non appartengano alla Bassa Novarese. Tuttavia, poiché la signorina Treivas ebbe cura di trascrivere il titolo del racconto, il nome del Comune e quello dell'Insegnante, non sarà impossibile rintracciare e interessare a noi persone che hanno mostrato di saper dare al folklore la sua importanza.

Ricorderò ancora che il cav. Rolando, Direttore dielle Scuole Elementari di Novara, raccolse alcuni canti, musica e parol. Come si vede, la messe è scarsa, tanto scarsa anzi, da non meritare neppure un tal nome.

Pur se si pensa che la gente della campagna è conservatrice e tradizionalista per eccellenza, tanto che generazioni e generazioni perdurano in un medesimo lavoro (e lo provano certi soprannomi che in alcuni luoghi han finito col formare un'aggiunta al cognome): che, se non um vero e proprio costume, si conserva qua e là un taglio particolare d'abito e gioielli caratteristici; che l'errore e di pregiudizio - specie se pittoreschi- sono assai più tenaci di quanto non sia persuasiva la verità: che dovunque si canta, nel lavoro e nel riposo, e i sentimenti essenziali che ispirano quei canti, non mutano come non mutano le leggi di natura; che il cinematografo e la radio non hanno ancora tolto agli uomini il dono divino della fantasia, onde forse quelle stesse fiabe (cuntuli, ad es.) che dilettarono la nostra infanzia, dilettano ancora innumerevoli bimbi, e non è presumibile che ogni mamma culli il bambino con la musica dei maestri che van per la maggiore o non piuttosto con antiche cantilene; se tutto questo è, noi restiamo dell'avviso che anche il più piccolo e più sonnacchioso dei paesi possa offrire materiale alla ricerca, se pur non tutto originalissimo. E stimiamo inutile ripetere le ragioni espresse già qui ampiajnente l'anno scorso, per le quali diamo al folklore un valore di documento umano, etnico e artistico di grande importanza.

Basterebbe ricordare il partito che ne trasse, in più d'una delle sue opere, un poeta come Gabriele D'Annunzio a lumeggiare l'anima della gente d'Abruzzo; o un pittore come il Michetti o un musicisita come il Mascagni; o quello che ne trae oggi ancora l'artigianato, dove vive o risorge, a creare arredi, stoffe, merletti, ceramiche tipicamente italiiche e nostre.

Varremmo dunque chiedere all'Assemblea il consenso a ritentare la prova, inviando la stessa circolare - o se del caso, ritoccata - ai Maestri dell'Alto Novarese, senza dimenticare i RR. Parroci e i Medici condotti, come opportunamente suggeriva l'anno scorso il prof. Cipollino; e senza trascurare di interessarci personalmente alla raccolta, il che a taluno di noi fu vietato finora da rigore di particolari circostanze.

E facciano gli Dei che possiamo ricomparire dinnanzi all'Assemblea con poche parole e molti documenti.

La vivace relazione della Cesare, che ha molto interessato l'Assemblea, è coronata da vivi applausi.

Sull'argomento chiedono di parlare l'on. De Collibus, Segretario Federale e il prof. A. Viglio.
L'on. De Collibus dichiara che la ricerca deve essere ripresa con maggiore energia e con direttive più concludenti. Da parte sua egli assicura che darà disposizioni perché i Dopo Lavoro della Provincia prestino la loro opera fattiva e diano una collaborazione efficace e concreta.
Osservando il prof. Viglio che la Commissione appositamente costituita non aveva mancato di ottenere lettere commendatizie dal R. Provveditore agli Studii e dal precedente Segretario Federale, l'on. De Collibus ribatte che le lettere non sono sempre l'elemento decisivo in una iniziativa: bisogna far sentire l'importanza e la necessità di ciò die si vuol fare.
Egli si propone di riuscire a dare alla Società Storica in questa materia un appoggio efficace e conclusivo.

Di ciò molto vivamente lo ringraziano il Presidente e l'Assemblea; resta così deciso che si riprenderà con maggiori insistenze il lavoro di ricerca nell'anno veniente.

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I restauri del Lapidario nella Canonica della Cattedrale.

Sull'ultimo argomento all'ordine del giorno riferisce il R. Ispettore ai Monumenti, Mons. Cassani.
La somma raccolta di L. 8.300 (4.000 del Municipio, 2.000 della Banca Popolare, 1.000 del Capitolo Cattedrale, 1.000 della Società Storica e 300 del Governo) ci permise di fare al Lapidario della Canonica, non proprio tutto quanto si desiderava, ma almeno qualche cosa.

Venne posta l'enumerazione a tutti i monumenti seguendo l'ordine tenuto dal prof. Scarzello nel suo libro «il Museo lapidario ecc.», di modo che qualsiasi aggiunta di nuovi monumenti disturberà per nulla l'enumerazione precedente.

Furono fatte le basi a tutti i cippi ed are. Rinnovate o ripassate le inquadrature delle lastre e dei frammenti scritti.

Venne smurata, lavata, consolidata con un bagno siliceo la lapide etrusca di Tanatolo e riporta in urna nicchia, isolata dai muri che le comunicavano l'umidità, e protetta con una griglia metallica. Ripassata e resa evidente la dicitura del frammento mancante alla lapide di Terenzia Postumina. Uguale trattamento per quella di Tiliamo.

All'arcata N. 39 si dovettero smurare tutti i monumenti; rifare tutto il muro della parete cadente per fatisceniza e ricollocare il N. 5, lastra tombale di Mottia Verecondia, già rotta in tre pezzi e molto corrosa, con una camera d'aria per maggiore preservazione. All'arcata N. 34 si dovettero smovere tutti i monumenti e spostarli alquanto per riaprire nella parete una bella finestra quattrocentesca.

Ma più che i monumenti fu il monumento stesso del lapidario che ebbe bisogno delle nostre cure. Perciò fu tacciato il polso a tutti i muri del vasto quadriportico, mettendone in luce tratti di muratura del X e del XI secolo; finestrelle a feritoia lungo tutto il lato di levante; porte romaniche dal bellissimo arco; qualche finestra quattrocentseea; un bell'arco a sesto acuto presso l'antica sacrestia. Fu levato rintonaco a quattro pilastri del quadriportico. Riscoperto l'impeduccio dagli archi che avevano decorazioni in cotto. Ripristinate sette arcate nella loro decorazione originaria. Spazzolata, lavata e rimessa in luce, non rinfrescata, la Madonna con Bambino e quattro Santi, S. Gaudenzio, S. Agabio, S. Gervasio e S. Protasio affrescati ai piedi della scaletta, che immette in un corridoio della Cattedrale.

Questo lavoro di indagini ci ha messi in grado: 1° di trovare che alcuni pilastri del portico sono in pericolo di sfasciarsi per fatiscenza. Ed uno che segnava già lesioni nel muro soprastante fu sollecitamente quanto lodevolmene interatmente rifatto dal Ven. Capitolo Cattedrale a tutte sue spese. Qualche altro di questi pilastri fu già rinforzato con settori di granito. E che in origine erano tutti in pietra vista dipinta.

2° Di constatare che il lavoro dell'ing. prof. Fassò sulla Canonica di Novara, pubblicato nelle Monografie Novaresi, stampate dal Miglio nel 1877 tutto inteso a provare che il portico è romanico del X o XI secolo, nonostante qualche accenno di gotico, sebbene molto erudito, non ha potuto reggere alla realtà delle scoperte fatte dal martello. Perché le volte del porticato impostate coll'accecamento delle finestrelle a feritoia, certamente romaniche, e la stessa Madonnina della scaletta, già accennata, che eleva la sua affrescatura fin sotto l'impostazione dalla volta del porticato, ci danno la prova palmare che questo è tutt'altro che romanico, ma molto, molto posteriore; non prima della fine del trecento. Certamente un quadriportico vi era già, e fin dal principio, tale essendo la natura dei chiostri e principalmentee di quelli fatti sul modello di S. Gallo; ma di legno.

3° Di far vedere, attraverso alle porte romaniche rimesse in luce, che il livello del cortile della Canonica, si è elevato almeno di mezzo metro.

4° Di poter provare, non solo coi documenti scritti, ma anche con tratti di muratura del più fondo medioevo che la Canonica dev'essere stata fondata, com'io opino, da S. Adalgiso.

Questo si è fatto; ma molto più avremmo dovuto e voluto fare se la ristrettezza delle finanze non ce l'avesse impedito.
Avremmo dovuto innanzitutto salvare la bella lapide medioevale di Caravera madre di Aicardo, arcivescovo di Milaino. Ma per la natura friabile del marmo e più per l'opera deleteria della umidità toccarla sarebbe lo stesso che mandarla in cento frantumi. Dei tanti consigli cercati il migliore fu quello di lasciarla, almeno per ora, così come è.
Avremmo dovuto smontare quel falso rudere d'antichità che si erge pretenzioso al centro del cortile del quadriportico e dare diverso ordinamento al giardino ornandone le aiuole proprio con questi ruderi, sparsi sensatamente qua e là.
Avremmo dovuto ripristinare il pozzo, che del resto esiste ancora, e fiancheggiarlo con l'olmo, simbolo della giurisdizione feudale (Giacosa, i Castelli Valdostani), sotto le cui fronde il Signore, cioè il Capitolo, o suo rappresentante, rendeva giustizia ai sudditi, sparsi in una ventina circa di paesi del novarese; e sotto il quale avvenne il processo di Alberto di Lumellogno e di Bernardo de Vespolate, che nel 1195 appassionò tutta Novara, (processo, altamente politico, ricco di tante notizie sugli usi di quel tempo, cominciato coll'uccisione a tradimento di un porco in Lumellogno e finito in una seconda ripresa del 1208 con la sfida del pretendente alla Signoria di parte di Lumellogno (Alberto), al rappresentante dei Canonici, sfida al duello, come giudizio di Dio, che i Signori Canonici si guardarono bene dall'accettate. Ma i benemeriti dei presenti restauri del lapidario (primo ing. Bronzini, poi Archit. Lazzanio, pittore Mainini, animatore prof. Viglio) sono pronti ad accettare qualunque sfida, qualunque critica, qualunque osservazione, da chiunque, pur di riuscire a fare anche meglio, di quel che hanno fatto, in una ripresa dei restauri; ripresa che non potrà mancare.

Mons. Lino Cassani.

L'Assemblea tributa al Relatore e alla Commissione per i lavori della Canonica vivi applausi.

L'on. Presidente prende l'occasione per leggere alla Assemblea la seguente lettera inviatagli il 21 luglio 1932 dall'avv. Marco Finazzi, Delegato Provinciale di Novara della Associazione Fascista della Proprietà Edilizia:

Ill.mo Signor Presidente della Società Storica Novarese
Novara.

In risposta alla preg. lettera in data 9 maggio u. s. sono lieto di comunicare alla S. V. Ill. che la Federazione Nazionale Fascista della Proprietà Edilizia, accogliendo la proposta da me fatta mi ha autorizzato a versare L. 2000 (duemila) quale concorso di questa Delegazione per le spese di restauro del Museo Lapidario. Col migliore ossequio.

Il Delegato Provinciale Marco Finazzi.

Ringrazia vivamente l'avv. Finazzi presente, benemerito Consigliere della Società, per la generosa oblazione che servirà di base e di incitamento alla ripresa dei lavori di restauro nella prossima primavera. Si augura che il Comune e la Banca Popolare e altri Enti vogliano anche nel nuovo anno concorrere validamente alla ripresa e alla continuazione dei lavori che mirano a restituire a poco a poco il maggior decoro e splendore al vetusto glorioso monumento.

Mons. Cassani comunica all'Assemblea che il dott. cav. P. Barocelli, R. Sopra Intendente per le Antichità gli ha notificato che il Governo, in segno di approvazione per i restauri compiuti e come incoraggiamento a quelli futuri ha erogato la somma di L. 500.

Il Presidente ringrazia a nome dell'Assemblea il R. Sopra Intendente per il suo efficace interessamento a vantaggio di Novara e del Lapidario.

Esaurita così la trattazione dell'ordine del giorno, alle ore 16,30 l'Assemblea è sciolta.

Il Segretario della S[ocietà S[torica] N[ovarese]
A[lessandro] Viglio.

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COMUNE DI NOVARA   [BSPN XXVI [1932] fasc. IV - pp. 512-514]

Bando di Concorso del Piano Regolatore

Il Podestà
considerato il crescente sviluppo della Città e le nuove esigenze sorte in conseguenza;
in esecuzione della propria deliberazione in data 10-27 gennaio 1933
bandisce

un concorso fra gli ingegneri e gli architetti italiani, laureati nel Regno e iscritti ai rispettivi Sindacati ed agli Albi professionali, per un piano regolatore dell'intera Città, con particolare riguardo al centro compreso entro gli antichi bastioni.

Il progetto dovrà constare di:
1°) una planimetria generale della Città in pianta da 1/5000 con riferimento al piano di sviluppo che il Comune ha delineato nel 1909; lo studio dei collegamenti attraverso la cintura di ferrovie che abbraccia per 2/3 la Città; quello della creazione di alcune tramivie urbane di collegamento fra i sobborghi con attraversamento del nucleo centrale; e creazione di ampi spazi di verde nella, zona di ampliamento;
2°) una planimetria particolare dell'agglomerato centrale della Città, su scala di 1/750, in cui risultino le nuove arterie modificate o create, le zone di verde, le sedi di pubblici uffici e, in genere, le varie trasformazioni credute opportune;
3°) eventuali planimetrie su scala 1/100 per le sistemazioni particolari ed eventuali disegni prospettici schematici dei punti di vista rinnovati;
4°) uno studio particolare di sistemazione del Castello Visconteo che dovrà essere adibito a sede del Comune;
5°) una relazione esplicativa dei criteri secondo cui lo studio fu condotto.

L'ufficio tecnico dei Comune di Novara, su richiesta dei concorrenti e previo versamento di L. 100, fornirà:
a) una planimetria su scala 1/750 dell'agglomerato centrale entro i limiti diell'antico bastione: essa porta tratteggiata in rosso la rettificazione del Corso Cavour in massima prestabilita dall'angolo del Crocefisso al vicolo S. Giacomo; così pure sono segnati a tratteggio incrociato gli edifici monumentali intangibili ed a tratteggio semplice quelli che pur essendo inscritti in elenco, possono eventualmente essere demoliti: le zone panoramiche sono indicate dalle due linee tratteggiate delimitanti l'angolo di visuale;
b) una planimetria su scada 1/5000 della Città e dei sobborghi, con le vie di comunicazione regionali.

I progetti dovranno pervenire all'ufficio tecnico del Comune entro il 31 luglio 1933.

Sarà nominata dal Podestà di Novara una Commissione giudicatrice che egli stesso presiedieirà.

Il suo giudizio sarà inappellabile.

I progetti saranno presentati con nome, cognome ed ogni indicazione atta a riconoscere la personalità del concorrente.

L'esame sarà terminato entro due mesi dal giorno di chiusura del concorso, ed il risultato, debitamente motivato, con i singoli progetti, sarà pubblicamente esposto per una quindicina.

La votazione si svolgerà per maggioranza assoluta: ad essa dovranno partecipare tutti i Membri della Commissione.

I premi aggiudicati sono cinque:
1°) L. 50.000;
2°)L. 25.000;
3°)L. 5.000;
4°)L. 5.000;
5°)L. 5.000.

Il Comune intende riservarsi il diritto di procedere o non all'esecuzione dei progetti premiati, di cui diventerà l'assoluto proprietario per disporne in tutto od in parte, portandovi, in sede di esecuzione, quelle modificazioni che crederà più opportune.

Lo studio di sistemazione del centro dovrà mostrare di avere intimamente valutato il sapore ambientale, storico ed estetico della Città e di averne conservate le caratteristiche, in rapporto alle necessità pratiche di viabilità e di traffico. Sarà quindi opportuno di mantenere il più possibile intatta la vecchia Città, riducendo al minimo tagli e sventramenti, subordinandoli alle imprescindibili necessità del traffico e dell'igiene.

Così converrà adattare i tracciati stradali alle condizioni altimetriehe, con speciale considerazione ai punti panoramici naturali od artistici ed all'intenzione di valorizzare gli edifici monumentali.

Nel tendere a decongestionare alcuni punti della Città deviando il traffico dal centro, occorre considerare il nucleo centrale in allacciamento al piano generale e in considerazionie del rapporto reciproco in cui i vecchi quartieri reagiscano su di lui e viceversa.

Di conseguenza, le nuove arterie devono tendere a risvegliare i quartieri morti della Città in cui occorre incanalare proporzionalmente il traffico.

Le vie di comunicazione interna dovranno essere studiate organicamente e messe in rapporto con quelle di comunicazionie regionale ed avere un carattere ben diverso a seconda del tipo di traffico esterno o di movimento cittadino locale.

Una speciale attenzione sarà rivolta alla sistemazione degli edifìci pubblici, come del mercato coperto rionale e del Castello Visconteo. Per quest'ultimo, si tenga presente il problema dell'accordo tra l'inamovibilità dell'edificio monumentale con la moderna costruzione: ricordando la necessità di difendere la zona panoramica.

Tutti questi problemi occorre siano risalti con un sano criterio finanziario ed amministrativo; oltre che dal lato pratico, tecnico ed estetico.

Novara, 31 gennaio 1932-XI.
Il Podestà: Luigi Tornielli.