Conversazioni d'archivio

La parrocchia di S. Michele presso l’Ospedale Maggiore della Carità di Novara

Dorino Tuniz - 18 febbraio 2014

Pochi presenti, probabilmente causa maltempo e influenze varie, mercoledì 18 febbraio, per la conversazione d’archivio di Dorino Tuniz sulla parrocchia dell’Ospedale Maggiore di Novara; peccato, perchè l’incontro avrebbe meritato maggiore pubblico, sia per la nota gradevolezza di esposizione dello storico novarese sia per l’argomento, assai interessante, che egli, assieme ad altri studiosi novaresi, ha recentemente affrontato in un agile libretto: “Predicando il vangelo e curando ogni malattia – La parrocchia dell’ospedale fra storia, fede e carità.”

Ospedale di s. Michele nel borgo di s. Agabio [ASCBT fondo Belgioioso c. 243 n. 148]

L’ospedale, anticamente eretto nel sobborgo di Sant'Agabio, già nel 1206 vedeva presente un sacerdote che nell’annessa chiesa di san Michele assicurava stabile assistenza spirituale ai malati e ai bambini “esposti” che, già in quei tempi lontani, venivano abbandonati dalle madri alla pubblica carità e all’assistenza dell’ordine religioso degli Umiliati che assicurò per secoli l’assistenza all’ospedale.
Nel 1317 il testamento del canonico Eleuterio Cattaneo assicurò cospicue rendite all’Ospedale e impose la presenza fissa di due sacerdoti che celebrassero quotidianamente messa.
Nel 1482, una bolla di papa Sisto IV, concesse all’Ospedale di san Michele di incorporare altri sette piccoli ospedali cittadini che formarono così un’unica e più grande struttura che fu ristrutturata e regolamentata all’inizio del Cinquecento da Ardicino Cattaneo (la famiglia Cattaneo di Sillavengo mantenne per lungo tempo una sorta di protettorato sull’Ospedale).
Nella seconda metà del Cinquecento però la cura delle anime e dell’edificio religioso, probabilmente a causa degli scontri fra francesi e spagnoli che interessarono anche Novara, fu trascurata dai cappellani addetti che furono più volte richiamati ai loro doveri.
Proprio per assicurare un’assistenza religiosa continua il vescovo Carlo Bascapè, il 9 gennaio 1603, eresse l’ospedale in parrocchia autonoma sotto il titolo dei SS Michele arcangelo e Antonio abate, ordinando ai canonici di Sillavengo di provvedere una rendita per la nuova parrocchia

Vista del cortile d'onore progettato dal Soliva

Nel 1625, nell’ambito della costruzione dei bastioni cittadini, fu quasi interamente distrutto il sobborgo di Sant'Agabio e anche l’Ospedale, ormai denominato Ospedale Maggiore della Carità, fu trasferito all’interno delle mura cittadine, nell’area attualmente occupata, dove, nel 1628, fu posata la prima pietra della nuova chiesa che sorgeva sul lato verso via Solaroli, vicino all’attuale farmacia.
La distruzione del sobborgo e la parallela costruzione del nuovo ospedale andarono a rilento e solo nel 1643 furono trasferiti i diritti parrocchiali alla nuova chiesa e fu completato il nosocomio progettato dall’architetto novarese Gian Francesco Soliva di cui possiamo ancora ammirare lo splendido cortile d’onore.

L'ospedale in una incisione dell'Ottocento

L’ospedale del Soliva aveva una lunga corsia per i ricoverati al centro della quale vi era un altare per consentire ai malati di sentir messa dai loro giacigli.
Quando l’ospedale fu ampliato nel 1789 su progetto dell’architetto Francesco Martinez, nipote del celebre Juvarra (1), che dal 1765 stava realizzando il campanile di san Gaudenzio progettato da Benedetto Alfieri si decise anche di erigere una nuova chiesa, consacrata nel 1793, su progetto di Stefano Melchioni, noto architetto novarese di origine svizzera.

Ingresso della vecchia chiesa progettata dal Melchioni

La bella chiesa del Melchioni è tuttora esistente anche se non più visibile perchè adibita a deposito; l’ingresso si apre sul porticato del cortile d’onore, sul lato sinistro entrando nell’ospedale da via Mazzini ed è riconoscibile per avere la sommità della porta decorata da un affresco raffigurante san Michele.
Questa chiesa aveva la particolarità di essere, come le chiese di clausura, una chiesa doppia; dopo l’altare, invece del coro, vi era una seconda navata che serviva da chiesa per le fanciulle esposte e per le suore orsoline che ne avevano cura.

L'altare maggiore con la grata divisoria

L’altare è tuttora visibile perchè trasportato integralmente nella chiesa attuale ed è molto interessante perchè è l’unico esemplare di questo tipo rimasto in Novara.
La grata è ben visibile, posta fra il tabernacolo e l’ancona dipinta, era messa in modo che le fanciulle e le suore non vedessero la gente della chiesa interna e nemmeno il celebrante; esse potevano unicamente vedere l’ostia e il calice che venivano alzati dal sacerdote al momento della consacrazione.
L’ancona dell’altare è una bella deposizione del pittore Giuseppe Mazzola, dono del conte Giuseppe Basilico parente del Melchioni (2).
L’assistenza ai ricoverati fu assicurata per secoli dai cappuccini del vicino convento di San Lorenzo; anche al momento della soppressione dell’ordine, in epoca napoleonica, i due frati presenti chiesero la secolarizzazione e continuarono, come sacerdoti, l’assistenza nell’ospedale.
La parocchia fu ricostituita nel 1834 sempre con la presenza dei cappuccini che ressero la parrocchia fino al 1886 quando furono sostituiti dal clero diocesano.
Dal 1832 entrarono nell’Ospedale le “suore bigie” o suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret.

La chiesa progettata dal Greppi

L’ospedale fu oggetto, a fine Ottocento, di un intervento di Alessandro Antonelli poi rimasto incompleto; sul corpo antonelliano l’architetto Greppi nel 1937 eresse la chiesa attuale in cui furono trasportati quadri e arredi della chiesa settecentesca.
Ancora attualmente l’Ospedale Maggiore della Carità di Novara è uno dei pochi nosocomi che possiedono una propria parrocchia interna, la cui giurisdizione ecclesiastica si estende agli infermi ricoverati, ma anche al personale (operatori sanitari, volontari, ecc.) che lavora all’interno dell’ente.
Ovviamente in questa struttura un poco anomala la vita parrocchiale è sempre stata relativamente limitata e legata soprattutto alle funzioni rivolte ai ricoverati. Nei registri parrocchiali sono ovviamente presenti moltissime registrazioni di decessi; i battesimi amministrati sono essenzialmente quelli dei bambini esposti o quelli amministrati d’urgenza in pericolo di morte; rarissimi i matrimoni, un tempo vi erano quelli delle ragazze esposte a cui l’ospedale assicurava una discreta dote per favorirne le nozze.
La chiesa è ricca di opere d’arte che meriterebbero anche una migliore visibilità e possiede notevoli paramenti e arredi.
La cura parrocchiale è attualmente affidata a don Michele Valsesia.

Relazione di Luigi Simonetta


(1) - Francesco Martinez (1718-1777) era figlio di Antonio (figlio di Francesco e di Natalizia Juvarra, sorella del celebre architetto messinese) conosciuto soprattutto per la sua parentela con lo Juvarra, crebbe professionalmente come assistente di Benedetto Alfieri che gli affidò la realizzazione di molti suoi progetti.
(2) - Tuniz rileva la parentela fra il Basilico e il Melchioni che ne aveva sposato la sorella e questo ci dà lo spunto per approfondire le relazioni tra i personaggi citati che sono interessanti in quanto ci illustrano come, in ambiente sociale ristretto, come era quello novarese del Sette-Ottocento, i legami famigliari e di reciproca conoscenza fossero assai importanti.
Francesco Basilico (solo nel 1832 ricevette il titolo) apparteneva alla stessa classe sociale del Melchioni, quella della ricca borghesia in ascesa (anche il Melchioni ricevette da Carlo Alberto il titolo di Barone); era un ricco proprietario che aveva ottenuto il titolo comitale pagando una grossa somma al fine di costituire una Commenda dell’ordine Mauriziano.
Il Basilico, aveva donato la pala del Mazzola alla chiesa in memoria del padre, Giuseppe Antonio Basilico, che era stato Economo dell’Ospedale e che era morto nel 1792.
E’ assai probabile che e l’affidamento dell’incarico a Melchioni sia stato influenzato dalla posizione del suocero all’interno dell’ospedale; ma bisogna anche ricordare che il padre del Melchioni, Giovanni, nato a Meride Luganese e morto a Novara nel 1791, era un maestro da muro che aveva collaborato con l’architetto Martinez nella costruzione del campanile di san Gaudenzio ed era quindi ben introdotto nell’ente ospedaliero sia tramite la sua famiglia che tramite quella della moglie.


 
 


 
 

Torna all'inizio