Spigolature

Un Novarese a Vezzolano

di Luigi Simonetta

L'abbazia di Vezzolano in una vecchia stampa

L’affascinante abbazia di Vezzolano, isolata sulla colline presso Torino, non è, proprio per il suo isolamento, una delle mete più ricercate del turismo anche se la bellezza del complesso, ancora sostanzialmente integro, e l’arredo pittorico e scultoreo superstite meritano veramente la visita.
Attestata a partire del 1095, l’abbazia ebbe il suo momento di massimo splendore nel XII e XIII secolo; a partire dal 1405 fu affidata in gestione ad abati commendatari, in genere non residenti che la portarono a un lento declinio.

Affresco della leggenda dei 3 vivi e dei 3 morti

Nei primi anni del XIX secolo i beni abbaziali furono espropriati dal governo napoleonico e ceduti a privati che utilizzarono il chiostro come deposito agricolo, mentre la chiesa fu data in gestione alla parrocchia di Albugnano, fino al 1937 quando il complesso fu ceduto allo Stato che ne iniziò il restauro.
Gli elementi che attirano maggiormente l’attenzione sono: la decorazione della facciata, le sculture gotiche policrome sul pontile divisorio (jubè) della chiesa, una struttura molto rara nelle nostre zone e il chiostro con i suoi capitelli scolpiti e gli affreschi trecenteschi.

Iscrizione funeraria relativa ad Ottaviano della Porta

Le guide non parlano mai delle residue decorazioni barocche, ma ad attirare la mia attenzione, durante una visita di questa primavera, fu proprio un affresco cinquecentesco su una parete della navata centrale con due stemmi e un’iscrizione in mezzo alla quale colsi la parola “NOVARIE”.
Era un’iscrizione funeraria che ricorda la sepoltura di due ecclesiastici uno dei quali era un esponente della potentissima famiglia novarese dei Della Porta.
Ho inviato una foto della scritta a don Mario Crenna che, dopo pochi minuti, mi ha rimandato la trascrizione del testo e la sua traduzione, come segue:
OCTAVIANUS DE LA PORTA VIR INTEGERRIMUS VENERANDI COLLEGII ECCLE(S)IE MAGIORIS NOVARIE P(RE)P(OSI)T(US) AC CANONICUS BENE MERITUS SEXEGENARIUS [sexagenarius] MO(N)DI [mundi] HUIUS MISERI(I)S SOLUTUS HIC PRO TEMPORE QUIESSIT [quievit] M(ILLESIM)O QUINGENTESSIMO VIGESIMO QU(I)NTO CALENDAS APRILLIS
[Ottaviano Della Porta, uomo integerrimo, preposito e canonico benemerito del venerando collegio della chiesa maggiore di Novara, a sessant’anni liberato dalle miserie di questo mondo, qui provvisoriamente riposò il 1° aprile 1525.]
L’iscrizione ricorda dunque la sepoltura (provvisoria, forse perchè il corpo fu poi traslato a Novara) del canonico e prevosto del duomo Ottaviano della Porta.

Stemma dei Della Porta

I Della Porta, abitanti a Suno, furono una delle più importanti famiglie novaresi, strettamente imparentata con i Visconti di Milano per le nozze di Ardicino I con Gioacchina Visconti e di suo figlio Pietro con un’altra esponente della casa ducale milanese, sorella di Elisabetta Visconti, moglie del potente cancelliere ducale, Cicco Simonetta.
Ardicino I, conte palatino dal 1418, rimasto vedovo prese gli ordini sacri giungendo con rapidità ad ottenere il cappello cardinalizio col titolo dei santi Cosma e Damiano raggiungendo una posizione di grande prestigio e potenza.
L’Ottaviano, prevosto del duomo, di cui troviamo la sepoltura a Vezzolano è identificabile, io penso, con il rev. Ottavio o Ottaviano, documentato in Novara nel 1511, come fratello del magnifico Ardicino e figlio del magnifico cavaliere, conte e giureconsulto Jane (ovvero Giovanni) Della Porta podestà di Pontremoli e Parma, decurione di Novara nel 1480, figlio del suddetto cadinal Ardicino e fratello di quel Corrado che costruì la bella Casa della Porta ancora esistente vicino alla Prefettura di Novara.
Escludendo l’ipotesi che Ottaviano avesse ricevuto il titolo di abate commendatario di Vezzolano (la carica sarebbe certamente stata citata nell’epigrafe funeraria) resta misterioso il motivo della sua sepoltura nell’abbazia, così lontana da Novara; forse vi trascorreva un periodo di ritiro spirituale o forse vi si era rifugiato, durante un viaggio, colto da una malattia che lo aveva condotto a morte.
Qualunque sia stata la causa prima, le pareti dell’antica chiesa hanno conservato un segno che, a distanza di mezzo millennio, ancora ci tramanda il nome del nostro antico concittadino.