Spigolature

Restauro a Varzo

di Sandro Callerio

L'edificio - al centro nella foto - nel contesto del borgo

L'importanza della comunità di Varzo non è legata, come molti potrebbero credere, al tunnel ferroviario del Sempione ma risale, come attestato da molte testimonianze, all'epoca romana.
Già l'antica via dei Leponti permetteva il passaggio dall’Ossola alla valle del Rodano nel I-II secolo d.C.. Riattata nei secoli, e nota come via Francisca, consentì lo sviluppo dei fiorenti commerci fra il Ducato di Milano e il Vescovato di Sion nel Vallese, come testimoniato dagli statuti del 1321, atti a regolare soprattutto i trasporti delle merci, e dalla torre di segnalazione, realizzata nel XIV secolo, a protezione degli stessi.
Gaspard Jodock Stockalper, mercante svizzero, fece in seguito costruire una strada mulattiera attraverso il Sempione. Nel 1634 ottenne la concessione esclusiva del servizio postale tra Milano ed i Paesi Bassi.
Nel 1801 Napoleone incaricò Nicolas Céard di realizzare la strada carrabile sull'attuale tracciato.

Facciata prima dell'intervento

I lavori i ristruttrazione di un edificio posto in prossimità della chiesa parrocchiale, hanno portato in luce le tracce di una decorazione di facciata, in affresco, risalente al XV secolo.
Come indica la relazione della restauratrice Maria Grazia Seccia, i suddetti frammenti, posti rispettivamente ai lati della porta a finestra, raffigurano a sinistra le sembianze di un personaggio maschile e a destra una figura di donna, posta di profilo.
Sempre al di sopra della medesima, vi sono altri frammenti che rappresentano uno stemma araldico, un motivo vegetale, una semi lunetta con motivi decorativi ed uno stemma con la mitria vescovile ed il pastorale.
Tali affreschi, in origine, erano delimitati da una cornice rossa, di cui ancora oggi abbiamo testimonianza sia nella parte superiore che in quella inferiore della parete e su entrambi i lati che delimitano sia il personaggio maschile che la donna."
Luigi Simonetta osserva che la foggia degli abiti dell'uomo e della donna effigiati ai lati della porta-finestra riportano certamente al periodo quattrocentesco, come anche il tipo di decorazione pittorica.
Ci è, ovviamente, ben nota la debolezza intrinseca ad ogni ricostruzione basata su criteri stilistici generali ma, in mancanza di precisi riferimenti documentali, è quanto permette di individuare almeno una direzione per la ricerca e per le azioni di conservazione da intraprendere.
Un ulteriore aiuto in tal senso ci viene dall'analisi degli stemmi riportati in luce nel corso del restauro.

Stemma sul lato destro dell'affresco
Stemma Visconti, poi Sforza-Visconti

Simonetta individua in quello sulla destra una insegna, che inquarta alternati la biscia viscontea e l'aquila imperiale, usata dai Visconti dopo la nomina imperiale, nel 1395, a Duchi di Milano. Tale stemma fu poi usato, inalterato, dai successori Sforza-Visconti. Lo stemma riporta in effetti la successione dei quarti in modo errato: l'aquila imperiale avrebbe dovuto occupare il primo e l'ultimo quarto e non, come nell'affresco il 2' e il 3'; il pittore evidentemente ha interpretato la blasonatura che gli era stata indicata come esempio.
Errori e varianti sono comunque frequentissime nelle raffigurazioni pittoriche. L'araldica in Italia, diversamente da altre nazioni come l'Inghilterra e la Spagna, non è mai stata considerata una "scienza esatta" in assenza di una autorità unica che la disciplinasse.

Stemma Pallavicini
Stemma sul lato sinistro dell'affresco

Lo stemma sulla sinistra è quello che ci consente di ipotizzare una datazione: si tratta di una insegna vescovile, la mitria frontale col pastorale a sinistra indica infatti questa dignità, laddove la rappresentazione di profilo della mitria stessa avrebbe indicato un abate mitrato. Lo scudo appare ad una prima lettura rosso con croce bianca al centro e con capo ornato da aquila imperiale. Osservando con attenzione si nota però un frammento di riga scura che ci permette di ipotizzare si tratti di uno stemma a scacchi bianchi e rossi.
Lo stemma "scaccato bianco e rosso con il capo dell'impero" apparteneva alla famiglia dei Pallavicini - famiglia milanese che aveva anche una diramazione a Novara - il che ci porta a supporre che l'insegna possa essere riferita a Gerolamo Pallavicini, vescovo di Novara e signore di Orta e dell'Ossola dal 1485 al 1503, che morì a Buccione il 18 agosto 1503.
La contemporanea raffigurazione dello stemma Sforza-Visconti potrebbe essere riferito alla Signoria esercitata da questa famiglia sull'Ossola o, più probabilmente, ad Ascanio Sforza-Visconti, che amministrò la Diocesi di Novara nel 1484, nel periodo intercorso fra la morte del vescovo Arcimboldi e la nomina del Pallavicini.
Come sottolinea Luigi Simonetta, al termine della sua precisa analisi iconologica, sarebbe interessante ricostruire la storia dell'edificio che possiamo supporre essere "appartenuto ad un alto funzionario vescovile, ad ulteriore testimonianza dell'importanza della comunità di Varzo.

Un particolare ringraziamento è rivolto a Roberto Fava Beda per la segnalazione ed a Maria Grazia Seccia per la cortese disponibilità del risultato del proprio lavoro di restauro.
Referenze forografiche originali di Roberto Fava Beda, Maria Grazia Seccia e Mario Zacchetti


La chiarezza di lettura è il risultato conseguito grazie all'attento lavoro di restauro.

Facciata dopo l'intervento di restauro

Come indica la restauratrice Maria Grazia Seccia i frammenti di affresco, dalle dimensioni di m 3,30 x m 3,00 presenti sulla facciata dell’ abitazione privata situata nel centro storico di Varzo, risalgono al XV° sec. e sono ritornati alla luce durante i lavori di ristrutturazione della casa.
I suddetti frammenti posti rispettivamente ai lati della porta a finestra, raffigurano a sinistra le sembianze di un personaggio maschile e a destra una figura di donna posta di profilo. Sempre al di sopra della medesima, vi sono altri frammenti che rappresentano uno stemma araldico, un motivo vegetale, una semi lunetta con motivi decorativi ed uno stemma con la mitria vescovile ed il pastorale.
Tali affreschi in origine, erano delimitati da una cornice rossa di cui ancora oggi abbiamo testimonianza sia nella parte superiore che in quella inferiore della parete e sia su entrambi i lati che delimitano sia il personaggio maschile che la donna.
Prima di procedere all’intervento di restauro è stata effettuata una sigillatura preventiva con dello stucco lungo i bordi degli affreschi, al fine di consolidarli e preservarli durante la rimozione meccanica degli intonaci inidonei.
Lo stato conservativo delle pitture, era abbastanza discreto, nonostante tutta la superficie pittorica risultasse poco leggibile, perchè ricoperta da uno spesso strato di calce, che celava quasi completamente la cromia originale degli affreschi.
Prima di procedere alla pulitura, sono state consolidate mediante micro iniezioni di resina acrilica in soluzione acquosa molto diluita le parti d’intonaco decoese. Quindi dopo un’attenta analisi della superficie pittorica, sono stati effettuati dei tasselli di pulitura, che hanno restituito la tonalità originaria dei colori e la leggibilità dei particolari.
Il primo intervento di pulitura è consistito nel rimuovere lo strato di scialbo che ricopriva tutta la superficie pittorica mediante mezzi meccanici come bisturi e microscalpelli, quindi successivamente sono stati effettuati ripetuti impacchi di polpa di cellulosa e carbonato di ammonio, alternati a lavaggi mediante nebulizzazione di acqua demineralizzata, tamponata con spugna. Nei punti in cui la superficie pittorica risultava più sporca è stato necessario applicare impacchi mirati di AB57.
Terminata la fase di pulitura, sui frammenti sono state eseguite delle stuccature a livello delle lacune di piccola e media grandezza, utilizzando una malta di calce e polvere di marmo simile per granulometria all’intonaco originale del dipinto.
La superficie lacunosa della parete, dalla quale sono stati eliminati ampi rappezzi d’intonaci inidonei è stata uniformata con una tinta neutra a sotto livello con malta di calce, al fine di evidenziare al meglio i frammenti.

Dettaglio della parete affrescata

In ultimo, tutte le lacune stuccate, sono state reintegrate ad acquarello in leggero sottotono con un segno puntinato.
Se, da un lato, non possiamo che esprimere il nostro plauso per un accurato intervento di recupero di un documento della cultura materiale, il cui valore simbolico potrà meglio essere chiarito da futuri studi, ci duole sottolineare la superficiale ingenuità delle modalità dell'intervento edilizio nell'immediato intorno dell'area affrescata, così come al piano inferiore.
Come sottolineato anche nella relazione della restauratrice, risulta evidente, anche dalla semplice osservazione della foto relativa allo stato preliminare della facciata, come nel corso dei tempi numerosi siano stati gli interventi di rifacimento degli intonaci.
È anzi probabile che proprio nel corso di un ultimo intervento di semplice manutenzione straordinaria della facciata si sia "riscoperta" l'esistenza della preesistente decorazione. Decorazione che, presumibilmente, doveva ricoprire l'intera facciata, secondo consuetudini tutt'altro che occasionali, sottintendendo la presenza della finitura ad intonaco.
Stona quindi, tanto dal punto di vista puramente visivo, quanto, e soprattutto, dal punto di vista "culturale" la decisione di lasciare "a vista" alcune parti di quella muratura in pietra che mai, tanto nelle intenzioni dei costruttori che nella tradizione degli abitanti hanno avuto quella destinazione. Decisione che, al di là di ogni considerazione di natura estetica e culturale, non coglie neppure il senso più banale ed utilitaristico della finitura ad intonaco, da sempre concepita come "superficie di sacrificio", di semplice manutenzione, atta a proteggere la struttura muraria dai deleteri effetti del dilavamento atmosferico.