Spigolature

Santa Maria delle Grazie

di Luigi Simonetta

Ricostruzione ipotetica del chiostro di Santa Maria delle Grazie, disegno di Giulio Cesare MussiRicostruzione ipotetica del chiostro di Santa Maria delle Grazie, disegno di Giulio Cesare Mussi conservato in archivio parrocchiale di San Martino. (foto Vanni Vallino)

Tutti i novaresi conoscono la chiesa di San Martino, in quello che è sempre stato uno dei rioni più popolosi della città, ma la maggior parte di essi non ha mai spinto la conoscenza dell’edificio oltre la vista della facciata, tanto che, quando si parla degli edifici religiosi artisticamente pregevoli della città, ci si sofferma principalmente sulle chiese del centro cittadino, dimenticando quest'unico esempio dell'architettura religiosa rinascimentale in Novara.
L'incontro di lunedì 19 novembre, presso la Barriera Albertina, dedicato a “L’affresco ritrovato”, è stato l'occasione per una una riuscita e partecipata serata dedicata alla presentazione del numero monografico della rivista “NOVARA è”, dedicato al complesso architettonico di Santa Maria delle Grazie.
Dorino Tuniz ha introdotto la serata, riepilogando le vicende dell’edificio, nato come convento dei Canonici regolari lateranensi, che ne iniziarono la costruzione nel 1473, usufruendo delle notevoli rendite assicurate dall’incameramento dei beni dei Canonici mortariensi, ordine da essi assorbito; beni che comprendevano tra gli altri le ricche tenute della cascina Argine verso Cameri e della cascina Santa Marta presso l’Agogna.
Accanto al convento fu ben presto iniziata la costruzione della grande chiesa a navata unica, dedicata alla Madonna delle Grazie, destinata ad essere la chiesa più grande della città dopo il Duomo e la Basilica gaudenziana.
Nel 1484, in seguito a un voto cittadino, per la liberazione di Novara da una pestilenza dilagante; il comune decise di celebrare ogni anno, l’otto settembre, festa della Natività di Maria, recandosi in processione al convento per offrire dei ceri alla Vergine; la chiesa divenne così anche un importante centro di culto mariano della città.
L’abbazia, dotata di cospicue rendite, fu ben presto presa sotto controllo dalle maggiori famiglie di Novara, che vi indirizzarono i propri figli; l’istituzione era retta da un abate mitrato, di rango quindi di poco inferiore al vescovo di Novara.
Le Grazie erano anche un centro culturale importante in cui vissero illustri predicatori e studiosi di valore; pare che la biblioteca dei padri lateranensi contasse ben 12.000 volumi; anche da un punto di vista artistico la chiesa era assai ricca, decorata con marmi pregiati, interamente affrescata e con quadri di autori di gran nome (Giovenone, Vermiglio e Crespi).
La ricchezza, che aveva fatto crescere l’istituzione, fu anche causa della sua fine. Nel 1782, trovandosi il Regno di Sardegna a corto di fondi, per la costruzione delle navi necessarie a contrastare i pirati barbareschi, richiese alla Santa Sede di poter incamerare, a tal fine, i beni dei Lateranensi e dei Girolamini (ordine religioso presente a Novara e Biella).
Il permesso fu concesso, l’ordine fu sciolto, i beni incamerati dai Savoia e l’edificio destinato ai monaci olivetani, la cui permanenza fu però assai breve in quanto, pochi anni dopo, anche il loro ordine fu sciolto dal governo napoleonico. L’edificio fu incamerato dal demanio e trasformato in caserma.

Piazza De Pagave con la chiesa e abbazia delle Grazie il giorno della festa patronalePiazza De Pagave con la chiesa e abbazia delle Grazie il giorno della festa patronale.

Con la caduta di Napoleone il complesso abbaziale fu donato dallo Stato Sardo al vescovo di Novara, che lo vendette per ristrutturare, col ricavato, il seminario di Arona.
Una clausola della vendita consentiva però agli abitanti di Borgo San Martino, la cui parrocchiale era divenuta insufficiente alle esigenze di culto, di riscattare la chiesa, cosa che avvenne nel 1831, facendo così di Santa Maria delle Grazie la chiesa parrocchiale di San Martino.
Il complesso abbaziale fu acquisito qualche anno dopo, grazie al cospicuo lascito di Gaudenzio De Pagave, dal Comune di Novara, per ospitarvi un ricovero per anziani e indigenti.

Madonna delle GrazieMadonna delle Grazie

Susanna Borlandelli ha quindi parlato della decorazione pittorica della chiesa, soffermandosi in particolare sull’affresco della Madonna delle Grazie che, per la sua posizione all’interno del convento, è ben poco conosciuto.
Questo dipinto, occupa quasi interamente la parete di fondo di quella che era l’originaria cappella conventuale, trasformata, presumibilmente, in seguito in cappella interna o in locale di riunione dei canonici.
Dopo la ristrutturazione necessaria per l'adattamento a ricovero degli anziani, si pensò di trasferire il venerato affresco all’interno della cappella dell’Istituto De Pagave; il pittore e restauratore modenese Venceslao Bigoni fu incaricato nel 1904 dalla Soprintendenza di eseguire l’operazione di rimozione che non ebbe però gli esiti sperati e solo una parte della pellicola pittorica fu trasferita, lasciando ampiamente incompleti l’affresco sul muro e quello riportato su tela.

Madonna delle GrazieMadonna delle Grazie con Santi; affresco riportato su tela con integrazioni di Venceslao Bigoni

La parte strappata fu a questo punto “completata” arbitrariamente dal Bigoni, realizzando comunque un dipinto che andò ad adornare la cappella dell’Istituto e che viene ora custodito nella nuova sede del De Pagave.
L’affresco, come gran parte della decorazione pittorica della chiesa, viene attribuito alla bottega del novarese Daniele de Bosis, che lo avrebbe eseguito verso la fine del XV secolo.

Madonna delle GrazieMadonna delle Grazie con Santi; affresco

Il dipinto è ambientato su una terrazza delimitata da un muretto marmoreo dietro a cui si vede un giardino con roseto, al centro della terrazza un colonnato inquadra i personaggi simulando un’ancona d’altare con la Madonna nell’arcata centrale e quattro santi nelle arcate laterali.
A destra della Vergine, seduta in trono e con Gesù Bambino sulle ginocchia, stanno San Gerolamo e San Giovanni Battista mentre a sinistra sono raffigurati due santi proprii dell’ordine agostiniano: Sant’Agostino e la madre, Santa Monica.
Inginocchiati, in preghiera davanti alla sacra conversazione, vediamo due canonici lateranensi che (da scritte riportate seppur inesattamente sulla copia del Bigoni) sappiamo essere: Fulgenzio Ponziani da Cremona, illustre predicatore lateranense morto nel 1473, e Paolo Maffei da Verona (1380-1452), colto e raffinato umanista.
I due canonici vennero probabilmente raffigurati, in questo spazio di privata devozione dei religiosi, per proporli a loro come modelli di perfezione; è possibile che i primi canonici arrivati a Novara abbiano avuto contatti diretti con questi personaggi e non possiamo neppure escludere che essi stessi abbiano soggiornato in Novara.

La sala capitolareLa sala capitolare

L’intervento conclusivo di Ivan Rognoni, presidente della Associazione Amici di Santa Maria delle Grazie, ha illustrato l’attività dell’associazione, mirata a valorizzare il patrimonio storico artistico di questo importantissimo edificio, promuovendo il restauro dell’affresco con la speranza di poterlo restituire ad una visibilità pubblica, possibilmente collegando la cappella alla chiesa delle Grazie e ripristinando la devozione a questa immagine mariana.
E’ seguito un vivace e interessante dibattito sulle effettive possibilità di intervento, durante il quale l’assessore Paola Turchelli ha dichiarato di apprezzare l’iniziativa e di condividerne gli obbiettivi ma aggiungendo esplicitamente che il Comune - proprietario dell’immobile - non è in questo momento in grado di intervenire per totale mancanza di fondi.
Fondi di cui, d’altra parte, non dispone neppure la parrocchia, eventuale fruitrice della cappella.
Turchelli ha quindi auspicato che il recupero sia reso possibile in futuro da interventi di beneficenza privata; l’associazione, per parte sua, intende continuare l’opera di sensibilizzazione predisponendo uno studio di fattibilità che individui almeno le azioni da compiere e, soprattutto, i costi reali dell’operazione.
Anche la Società Storica Novarese esprime il proprio sostegno a questa, come ad altre simili iniziative, il cui obiettivo è quello di tutelare e valorizzare il patrimonio storico-artistico del nostro territorio.
Siamo certamente consapevoli delle difficoltà economiche in cui si dibatte l'amministrazione comunale - impegnata nel completamento dei lavori del castello, sul cui futuro utilizzo come sede del museo archeologico si pongono molti punti interrogativi - ma ricordiamo ai nostri amministratori che le arti, la storia e la natura sono l’unico vero patrimonio della nostra Nazione e che, come ha anche recentemente affermato Aurelie Filippetti, ministro della cultura della repubblica francese «La politica culturale non è un lusso intempo di crisi. Al contrario, penso che se c’è una risorsa preziosa in Europa è la cultura e sarebbe una follia non cercare di svilupparla e sostenerla».

I Lateranensi di Novara

di Luigi Simonetta

Santo martire lateranense, probabilmente Pietro d'ArbuesSanto martire lateranense, probabilmente Pietro d'Arbues inquisitore spagnolo, affresco nella chiesa delle Grazie (foto archivio parrocchiale di San Martino)

I canonici regolari agostiniani presero il nome di lateranensi a partire dal 1439 quando fu loro affidata, dal Pontefice, la basilica romana di San Giovanni in Laterano per riorganizzare la vita religiosa del clero che gravitava intorno alla basilica madre della cristianità.
I Lateranensi giunsero a Novara nel 1470, rispondendo alla chiamata del vescovo Giovanni Arcimboldi, che desiderava avere in diocesi quest’ordine religioso, che costituiva un esempio assai edificante di vita religiosa comunitaria e che disponeva di colti e preparati predicatori.
La prima comunità era costituita da monaci venuti da altre città ma ben presto le famiglie novaresi, attratte dal prestigio che circondava i canonici e dalla ricchezza del monastero, cominciarono a inserirvi i loro rampolli. Il capitolo dell’abbazia fu quindi occupato da canonici che, per la maggior parte, appartenevano all’aristocrazia novarese.
Santa Maria delle Grazie era retta da un abate mitrato, carica che donava la preminenza di grado sugli altri ecclesiastici della Diocesi.
Nel 1565 risultavano presenti nel convento cinque canonici novaresi, fra i quali era il priore; altri cinque venivano da Cremona, Lucca, Brescia, Piacenza e Conegliano; nel 1606 solo un padre veniva da Piacenza e un altro da Milano.
Scorrendo i cognomi degli abati e dei padri di Santa Maria delle Grazie troviamo: Alberganti, Asinio, Baliotti, Barbavara, Caccia, Calciati, Cattaneo, Della Porta, Durio, Ferrari, Gallarati, Graziosi, Leonardi, Nazari, Parpaglioni, Pernati, Salicini, Vespolati, ovvero gran parte dei nomi più illustri del patriziato.

Marco Antonio Caccia di RomentinoAbate mitrato lateranense Marco Antonio Caccia di Romentino, ritratto nella quadreria del collegio Caccia (foto M. Finotti)

L’amico Sergio Monferrini ha segnalato la presenza, nella quadreria del Collegio Caccia, del ritratto di uno degli ultimi abati.
Si tratta del ritratto dell’abate Marcantonio Caccia di Romentino (al secolo Signorino Caccia) morto nel 1755 a 89 anni; era figlio del conte Marcantonio e di Rosanna Grazia Pernati, una sorella era badessa di sant’Agnese e tre fratelli erano canonici del duomo e di San Gaudenzio.
L’abito che indossa è quello solito dei lateranensi ovvero una semplice tunica bianca coperta da un rocchetto (erano infatti detti anche rocchettini) con una cappa nera con cappuccio ed una calottina nera in testa; la sua dignità di abate è indicata dal crocifisso che porta al collo.

Il Nobile Collegio Caccia - quattro secoli di vita di una prestigiosa istituzione novarese al servizio della cultura, testi di Emiliana Mongiat, immagini di Mario Finotti - Consorzio Mutue, Novara 2006.