Note e documenti

Il restauro della facciata sud del Palazzo Vescovile *

di Anna Rossaro **

Il Palazzo Vescovile di Novara fa parte di un complesso di edifici monumentali e sacri collegati tra di loro ed è posto in aderenza a sud della Cattedrale di Santa Maria.
L'area sulla quale insiste l’«insula episcopalis» era già edificata in epoca romana. Durante i lavori di scavo negli anni 1968-’69 sono infatti venuti alla luce importanti resti di due domus romane, risalenti ai secoli II e III d.C., nel lato Nord dell’area attualmente occupata dal quadriportico della Canonica.
Si tratta quindi in un luogo carico di storia, importante fin dall’antichità e che ha subito continue trasformazioni, adattandosi alle esigenze ed ai modi di vivere che si sono susseguiti nei secoli.

Se le trasformazioni edilizie ed architettoniche del Palazzo Vescovile sono state oggetto di approfonditi studi, dell'attiguo edificio ospitante la Curia e l’Archivio Storico Diocesano, non si ha documentazione antecedente il 1740, anno in cui un anonimo cronista ha redatto l'inventario descrittivo di tutto il complesso edilizio (1).

La prima notizia certa ed indiscutibile di una dimora episcopale presso la cattedrale risale ad un importante atto ecclesiastico ed economico, realizzato da Pietro III il 17 marzo 1013, in cui il presule donava ai canonici di Santa Maria «teloneum et districtum in loco et fundo Neminiogno», in precedenza appartenuti al conte Riccardo.
La canonica di Santa Maria acquisiva per la prima volta il dominatus loci su di un territorio e pertanto il il documento fu redatto con grande solennità e ciò spiega l’inconsueta formula di intitolatio indicante il destinatario: «Ecclesie Sancte Dei Genitrice Marie mater ecclesie sita intra ac civitatem Novaria que estat iuxta dommum epispopii».
La residenza del presule è dunque definita dommum e tale espressione, deformazione del termine domus, ci aiuta a rintracciare e chiarire nelle carte novaresi altre precedenti testimonianze, non sempre evidenti come nel documento del 1013.
Così può essere prova dell’esistenza della dimora episcopale nell’881 l’espressione «in civitate Novaria in dommo feliciter», con cui si chiude un atto economico del Vescovo Ernusto.
… In ogni caso rimane a nostro avviso dimostrata la presenza di una residenza episcopale vicino alla chiesa matrice della diocesi almeno a partire dalla tarda età carolingia.
Questa domus , più volte ristrutturata, si conservò sino al 16 agosto 1147, quando una sentenza del Vescovo Litifredo relativa a Cameri fu pronunciata «in civitate novarie in domo episcopi».
In essa vi erano nell’XI secolo almeno due locali importanti, la cammara domui e la caminata, che costituisce la prima attestazione per Novara di una sala con camino.
Le due aule dovevano essere molto vaste, visto il numero delle persone presenti in esse per la stesura di alcuni documenti, e si aprivano su di un terreno prativo recintato e forse alberato, il brolio episcopi, di cui esiste una prima menzione il 9 luglio 1141.

… Ma nell’agosto 1148 una sentenza, pronunciata per difendere il «dominatus loci» dei canonici di Santa Maria su Lumellogno, fu sottoscritta dal Vescovo Litifredo «intra civitatem Novarie in palacio novo episcopi de subtus», espressione topica che ricorrerà spesso con la variante «in palatio novo novariensis episcopi». La costruzione del «palacium» episcopale si inseriva in un ampio e profondo rinnovamento costruttivo vissuto dalla città nel XII secolo, di cui la ristrutturazione della cattedrale e l’innalzamento del campanile furono solo due momenti, anche se significativi. La nuova residenza, costantemente definita con il termine palacium che un tempo aveva indicato gli edifici di Stato,
… era centro di numerose attività amministrative, economiche e giuridiche: la «curia novariensis episcopi». Il palazzo episcopale era a due piani fuori terra; il terreno, formato da almeno due sale con volte costolonate, ed uno sovrastante, o «solarium», luogo di abitazione del vescovo, a cui si accedeva per mezzo di una scala esterna, testimoniata per la prima volta nel 1180.
Poiché la «curia episcopi», cioè il luogo ove si dibattevano i processi e si deliberavano le decisioni per l’amministrazione della diocesi, era al piano terreno presso la scala, riteniamo che l’attuale sacrestia del duomo fosse fin dalla seconda metà del XII secolo sede dell’attività giurisdizionale, sia spirituale che temporale, del vescovo. E proprio in diretta contiguità con questa sala, in cui nel 1180 fu pronunciata una sentenza del Vescovo Bonifacio, si apriva verso levante la cappella, forse costruita dal medesimo presule, che la dedicò a San Siro, il primo vescovo di Pavia.
… La stupenda decorazione pittorica, da porsi tra ottavo e nono decennio del XII secolo e pertanto voluta dal presule per ricoprire tutte le superfici murarie della cappella, fu probabilmente la prima ad essere eseguita nel palazzo.
… L’imponenza della decorazione pittorica finì per legarsi all’edificio e non solo il 23 gennaio 1236 un notaio scrisse una pergamena sub palacio picto episcopatus Novarie, ma ancora il 18 novembre 1253 il vescovo Sigebaldo Cavallazzi stabilì di accettare il contenuto di una lettera papale in favore delle Clarisse di Novara, sedendo come giudice in sala «inferiori palacii picti episcopatus».
… Le nuove esigenze di comodità e di riscaldamento imposero, durante l’episcopato di Sigebaldo Cavallazzi (1249-1269), la costruzione di un nuovo camino, testimoniato il 17 aprile 1263 con l’espressione «in caminata nova epicopii Novarie». Alcuni decenni più tardi i documenti menzionano un’altra stanza con camino in cui si erano radunate numerose persone: infatti il 28 agosto 1290 «in caminata nova episcopiscopatus novariensis» tredici canonici si riunirono a capitolo
.

… La presenza episcopale a Novara di Papiniano della Rovere (1296-1300) e l’ampia disponibilità di capitali liquidi che il vescovo reperiva tramite prestiti o come collettore delle decime papali nelle province ecclesiastiche di Milano e di Genova, favorirono probabilmente la realizzazione di ampi lavori di ristrutturazione del palazzo episcopale.
… Si ritiene che la costruzione del palacium novum episcopi, testimoniato dal giugno 1303 sia da riportarsi a questi anni di intensa circolazione monetaria.
… Pertanto la costruzione della nuova cappella di Santa Maria Maddalena è da riferirsi a questi anni sullo scorcio del Duecento. Nella medesima camera superiore del nuovo palazzo fu pure realizzata il 20 ottobre 1303 un’investitura feudale.
… Alla presenza della maggiore feudalità italiana nella grande sala superiore del palazzo si svolse il 20 dicembre 1310 la pacificazione tra Brusati e Tornielli dinnanzi all’imperatore Enrico VII e alla sua corte. Essa è ancora ricordata il 6 giugno 1343 con l’espressione: «salam superiorem palatii episcopalis Novarie».
… Come si può vedere anche da altre pergamene del XV secolo, in cui si fa sempre più riferimento ad atti vescovili rogati in camera cubiculari in episcopali palatio o in saleta parva, la residenza episcopale si fissò ai piani superiori, mentre nelle sale terrene trovava posto la episcopalis audentia e la curia del Vicario generale, luoghi adatti per l’espletamento dei processi. La cappella inferiore era sempre più abbandonata dai vescovi, il cui palazzo continuava ad essere la dimora più suntuosa, più spaziosa e più accogliente di tutta la città, capace di rendere onore ai potenti di transito. L’intervento edilizio di Speciano (1584-1591), mutò la facies esterna, ma numerosi ambienti interni rivelano ad una attenta analisi architettonica le divese fasi costruttive
(2).

Il Vescovo Speciano concepì il progetto prima dell’ottobre 1585, probabilmente in concomitanza con i lavori di rifacimento dell’abside della cattedrale, iniziati nel 1580 sotto l’episcopato di Francesco Bossi.
Infatti il 20 ottobre 1585 la Speciano ricevette dal Pontefice Sisto V una bolla riguardante complessi problemi di tassazione ecclesiastica e sacramentale, con la quale il papa favoriva il reperimento di capitali utili per il «restauro della cattedrale e per la ricostruzione del palazzo episcopale, che non solo era angusto, ma aveva soprattutto bisogno di riparazioni, poiché minacciava di crollare».
Siamo certi che i lavori proseguivano nel marzo e nel maggio 1586, mentre nel 1594 era in costruzione la scala esterna, posta lungo il fianco della cattedrale presso la cappella di San Benedetto.
Questa scala portava direttamente al loggiato superiore del palazzo, ove si apriva la porta sormontata dalle armi del Vescovo Speciano, attraverso la quale si accedeva al salone antistante la cappella della Maddalena.

All’epoca del Vescovo Bescapè (1593-1615), a seguito dei notevoli interventi eseguiti dallo Speciano, il Palazzo Vescovile comprendeva un corpo di fabbrica a tre piani fuori terra e si estendeva planimetricamente come si presenta attualmente.
Una scala coperta esterna conduceva dal cortile al piano nobile sito a quota + 7,00 metri rispetto al piano cortile.
Detto piano nobile comprendeva la residenza vescovile oltre alla sala di rappresentanza e alla foresteria affacciatesi a est sul quadriportico della Canonica.
Sono tutt’ora presenti sul lato sud verso il giardino le volte rinascimentali originali.
Mediante scale interne, denominate «scale segrete» si accedeva al terzo piano fuori terra ove erano presenti locali con paramento murario affrescato di notevole interesse (sec. XIV-XV), a testimonianza della ricorrente citazione di «palacium pictum».

Il terzo piano, sito a quota + 12,00 metri dal piano cortile, è stato successivamente abbandonato e inutilizzato per l’evidente scomodità d’accesso ed adibito in parte a granaio; prova ne sia che nel già citato inventario del 1740 viene così definito:
solaro morto con suolo di tavelle buono e sei finestre [l’ultima finestra a nord è stata demolita dall’Antonelli, attualmente le cinque superstiti finestre fanno parte dell’alloggio delle suore a servizio personale del Vescovo, che dal 1980, a seguito dell’intervento del terzo piano, riutilizza il suddetto terzo piano quale residenza personale] aperte immediatamente superiori alli rispettivi archi descritti, dal qual solaro si comunica con quattro uschi nei granai che restano superiori alle due sale principali del nobile appartamento, caduno dei quali ha il suolo di pietre cotte in piano, concato soffitto d’asse et travotti sostenuti da travi, alcuni de quali fasciati di ferro, con una finestra per cadun solaro riguardante et una mezza finestra superiore con cappello di vivo et ferrata de tondo con suoi serramenti al bisogno.
Superiormente ad essi granai vi resta solaro morto sotto tetto, a cui s’accede con scaletta d’asse, esistente in detto solaro superiore al portico, con un gradino mancante
.

Nel secolo XVII, stante la difficile situazione politico-economica del Ducato di Milano, cui la città di Novara apparteneva, non ci sono stati interventi costruttivi significativi, infatti nel sopraccitato inventario del 1740 la descrizione generale dei locali denuncia un grave stato di degrado dovuto a carenza di manutenzione, pur in presenza di notevoli apparati decorativi interni.
Nell’inventario descrittivo compare in forma dettagliata per la prima volta il corpo di fabbrica ospitante gli uffici della Curia novarese.
Si tratta dell’edificio, di forma rettangolare, di larghezza pari a 12,00 metri circa, in esatta prosecuzione, a ponente, della testata del Palazzo Vescovile.
L’edificio della curia si elevava a tre piani fuori terra con interpiano di modesta altezza in modo che la quota del terzo piano fuori terra coincideva con il secondo piano fuori terra (piano nobile) del Palazzo Vescovile, ossia a quota + 7,10 metri da quota cortile.
Unica traccia storicamente rilevata e inerente a questo corpo di fabbrica è costituita dalla citazione negli atti dell’Inquisizione, Vescovo Bescapè (1593-1615), della presenza di sotterranei con funzione di celle per i detenuti.

L’edificio della Curia è una struttura edilizia molto semplice con murature perimetrali e muro di spina che sostenevano solai in legno.
Interessante notare che dalla descrizione della cronaca è più volte citata e da una pianta esistente del 1791 reperita nell’Archivio Diocesano, il sistema distributivo interno imperniato su un corridoio longitudinale centrale e la posizione delle finestre sono rimaste esattamente identiche all’attuale.

A seguito del trattato di Worms del 1743, il territorio di Novara è stato definitivamente annesso al Regno di Sardegna e di conseguenza i vescovi succedutisi sono tutti provenienti da ambito Piemontese, dovendo ottenere beneplacito per l’investitura dal Re di Sardegna.
In particolare il Vescovo Balbis Bertone (1757-1789), oltre ad intervenire con opere di manutenzione straordinaria, fa erigere sul lato sud del Palazzo Vescovile il loggiato al piano nobile, sovrastante il pre-esistente porticato a piano terra e prospettante sul giardino a mezzodì del complesso edilizio.

Nella seconda metà del 1800 l’intervento dell’Antonelli di ricostruzione della Cattedrale, comporta la demolizione della scala esterna che dal cortile del vescovado conduceva al loggiato del piano nobile, nonché l’abbattimento della parte estrema di nord del loggiato stesso e della sovrastante porzione edificata.

In seguito il Marietti, all’epoca del Vescovo Riccardi (1886-1891), erige la cosiddetta «Quinta Marietti» a chiusura del lato di ponente del cortile vescovile, demolendo, per tutti i tre piani, circa 3 metri della testata ovest dell’edificio della Curia.

Nel 1907 il Palazzo Vescovile è stato oggetto di importanti interventi, sia per quanto riguarda gli schemi distributivi interni sia per quanto attiene il consolidamento statico: su progetto dell’ing. Luigi Zorzone si costruisce l’ampio scalone d’onore che dal cortile conduce al piano nobile nella zona antistante il «Salone della Maddalena».
Vengono inoltre eliminati tutti i solai lignei, sostituiti con travi e solette in cemento armato.

Ulteriori opere di consolidamento statico vengono eseguite negli anni 1935-1937 dall’Ing. Ceresa; in particolare tutti i solai dell’edificio della Curia sono sostituiti con orizzontamenti in calcestruzzo armato e viene realizzata una nuova scala.

Dal 1978 al 1982, essendo Vescovo Aldo Del Monte (1972-1990), tutto il complesso è soggetto a notevoli interventi, progettati dall’arch. Carlo Ravarelli.
Nel Palazzo Vescovile viene recuperato il terzo piano fuori terra, già anticamente abitato, inglobando il sottotetto e formando, verso sud, un terrazzo, superiormente alla «loggia Balbis Bertone», al quale si accede grazie all'apertura di porte finestre nella pre-esistente muratura di sottotetto. Contestualmente sono state sostituite le antiche capriate di copertura realizzando strutture metalliche con controsoffittatura a cassettoni in legno.

Oltre agli interventi sul Palazzo Vescovile nel 1982 è stata portata a termine la sopraelevazione dell’edificio della Curia utilizzando il sottotetto già esistente e per la cui corretta illuminazione sono state ampliate le piccole aperture pre-esistenti, trasformandole in porte-finestre sia sul fronte sud, sia sul fronte nord.

Questo sottotetto nell’inventario del 1740 era definito solaro morto sottotetto e tale era rimasto per 240 anni.
Dai testi sopracitati è importante constatare la ricorrente citazione di «palacium pictum» a testimonianza dei paramenti murari affrescati.

I lavori di restauro, cominciati nel luglio 2010 e terminati nel dicembre 2012, resi necessaro dall’ammaloramento dei materiali di facciata, imputabile ad agenti atmosferici ed inquinanti, a volatili, all’incuria e a precedenti rimaneggiamenti non idonei, hanno confermato la presenza di numerose decorazioni pittoriche sulla facciata sud di Palazzo Vescovile.
Ad una prima fase diagnostica, volta all’individuazione delle tipologie di degrado grazie all’esecuzione di una importante campagna di analisi stratigrafica che ha permesso di identificare tutti i materiali ha fatto seguito la campagna di intervento conservativo.
Già l'iniziale analisi visiva suggeriva la suddivisione della superficie della facciata di Palazzo Vescovile in tre parti, ciò che ha avuto conferma dalle indagini diagnostiche: l’ala degli uffici diocesani a sinistra, la porzione centrale di accesso a Palazzo e l’ala abitativa e di rappresentanza a destra.

In accordo con la Soprintendenza si è quindi operato in tre modi diversi, in funzione delle differenze affiorate.
La sorpresa più interessante è stata la scoperta, in corrispondenza della porzione centrale di accesso a Palazzo, di una finestrella affrescata.
In questa porzione di fabbricato si è intervenuti con la scrostatura, fino al vivo del mattone, con conseguente rilievo analitico e schedatura dei mattoni.
In occasione di una delle varie ispezioni visive è emersa la traccia di un intonaco tinteggiato di colore bianco.
Il successivo intervento in profondità ha portato alla luce una piccola monofora posizionata in corrispondenza della zona angolare confinante con l’attuale salone vescovile denominato «Sala Verde».
La finestrella è stata quindi riaperta nella sua totalità evidenziando immediatamente il suo splendore per la vivacità dei disegni floreali dai colori ancora vividi e perfettamente conservati.
Si tratta di una monofora, con voltino ad archetto, della larghezza di 34 centimetri e di altezza all’imposta di 89 centimetri e di 98 centimetri al centro, la cui realizzazione è stata ipotizzata tra il XIII ed il XIV secolo.
Verso l’esterno presenta una bordatura a strisce orizzontali bianche e azzurre, con filettature rosse; tale bordatura prosegue all’esterno formando probabilmente una cornice.
La strombatura interna, verso la «sala verde», è invece affrescata a motivi floreali, su fondo bianco. Parrebbero calendule rosa vivo con pistilli rossi e gambi verde smeraldo con foglie allungate formanti una ghirlanda rampicante lungo tutta la strombatura, estesa alla piccola volta.
All’interno della strombatura il motivo floreale è interrotto da una stilettatura rossa mentre prosegue la bordatura a righe bianche e azzurre.

Saggi di studio non troppo invasivi hanno permesso di appurare che la bordatura prosegue anche all’interno della «sala verde» formando, probabilmente, una cornice.
Sorprendente è stato ritrovare, quasi intatto, anche il controdavanzale in legno .
Sono stati inoltre ritrovati i resti di parte della ferramenta del piccolo serramento in cui si inserivano presumibilmente due antine di legno o vetro verso l’interno del locale ed un’unica anta verso l’esterno.
Sulla bordatura esterna in alto verso l’imposta si possono vedere due piccoli fori, si può ipotizzare che ci fosse una bacchetta di legno per una tendina, Probabilmente per ripararsi dal sole o dal caldo visto che la facciata è esposta a sud.
In questo caso non è stato eseguito un restauro nel termine della parola, ma in accordo con la Soprintendenza si è optato per una semplice ed accurata operazione di pulitura .
È stata eseguita la semplice pulitura, con spazzole morbide, delle superfici dipinte, azione meccanica necessaria per eliminare residui di polveri ed argilla; successivamente si è proseguita la pulitura con impacchi di cotone di acqua demineralizzata.

In accordo con la Soprintendenza e con l’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Novara, al fine di preservare il più possibile il manufatto, si è deciso di chiudere la monofora con una semplicissima tamponatura in vetro opaco .
Non è possibile, in base ai risultati delle analisi fin qui eseguite, sapere quale fosse il locale servito dalla finestrella; a tal scopo occorrerebbero ulteriori indagini sulle murature dall’interno della «sala verde» ciò che comporterebbe il sacrificio di un paramento murario settecentesco altrettanto importante e significativo.

* L'intervento è stato eseguito a cura dello studio Brustia-Rossaro.
** Anna Rossaro, laureata in Architettura con indirizzo in restauro presso il Politecnico di Milano nel 1991, diventa libero professionista nel 1996. Da allora si è occupata di edilizia, progettazione e arredamento e di restauro e ristrutturazione di edifici storici.

(1) Il documento, peraltro già noto, è stato pubblicato con note interpretative da Carlo Maria Scaciga: «In margine al restauro del palazzo vescovile di Novara» in Bollettino Storico per la Provincia di Novara, LXXXII [1991] n. 1, pp. 265-305.
(2) GianCarlo Andenna, «Un palazzo, una cappella, un affresco» in L’oratorio di San Siro in Novara, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1988.