Conservare la memoria

Una vertenza genealogica a Novara nel 1759:
la nobile famiglia Caccia di Varallo Pombia.

Contributo per una genealogia di tutti i Caccia di Novara

Stemma della Famiglia Caccia
[Fasciato di rosso e d'argento]

La nobile famiglia Caccia era fra le più cospicue e influenti famiglie della Città di Novara, seconda solo a quella dei Tornielli per possedimenti in città e nel contado, insignita di diversi feudi e titoli comitali.
La casata era assai antica (il Tettoni individua come capostipite un Ardito vissuto intorno al 1100) e prolifica e aveva dato origine a una quantità impressionante di rami famigliari, legittimi e naturali, con dimora a Novara, Arona, Borgovercelli, Briona, Camiano, Castellazzo, Cavagliano, Cerano, Cureggio, Galliate, Ghemme, Landiona, Mandello, Monticello, Ponzana, Proh, Romentino, Sillavengo, Sozzago, Trecate e Varallo Pombia con diramazioni a Milano, Roma, Piacenza ed in altre città italiane ed estere.

Tanta prolificità non valse ai Caccia, di sfuggire all’estinzione, sorte comune a molte altre casate nobiliari che, per preservare integro il patrimonio, tenevano in vita solo la linea primogenita, indirizzando i figli cadetti alla carriera ecclesiastica o tuttalpiù a quella militare, col risultato di creare una fragilità dinastica che interrompeva con facilità la trasmissione del cognome nel caso di matrimoni sterili o da cui uscisse solo prole femminile.
Oggi sopravvive fiorente solo il ramo dei Caccia Dominioni di Milano ed il cognome è perpetuato nel novarese solo da rami imborghesiti, staccatisi in tempi lontani dal ceppo principale.

Giovanni Francesco Caccia - Nacque a Novara nel 1540 e vi morì nel 1625. Fu il fondatore del Nobile Collegio Caccia.

Fra le casate Caccia estinte in tempi recenti troviamo anche quella dei Caccia di Varallo Pombia, estintasi nel XX secolo con le tre sorelle Anna, Ercolina ed Amalia figlie dell’avv. Odoardo, ultimo maschio del casato e ultimo Caccia ad essere rappresentato nel Consiglio d’amministrazione del Collegio Caccia.
Amalia non ebbe discendenza perchè (così sussurra una leggenda di famiglia) innamoratasi di un “plebeo” era stata segregata dalla famiglia per scongiurare lo sciagurato connubio, Ercolina; sposata al patrizio veneto Federico Priuli, diede origine al ramo dei Priuli-Caccia; Anna infine sposò l’avv. Benedetto Prinetti di Voghera.

Benedetto e Gian Paolo Prinetti

Gian Paolo e Benedetto Prinetti-Caccia ereditarono, dalla nonna Anna Caccia, molte carte di famiglia che suscitarono il loro interesse anche per il legame con la dimora avita di Varallo Pombia, legata ai loro ricordi di fanciullezza e che li indussero a ricercare, negli archivi di Varallo Pombia, Novara, Milano e Torino, la documentazione relativa alla famiglia Caccia. Lo scorso 21 giugno hanno presentato, nella sala di studio dell’Archivio di Stato di Novara, agli amici dell’Associazione Scrinium, il risultato delle loro ricerche.

A suscitare in particolare l’interesse dei due ricercatori è stato un documento dell’archivio di famiglia, datato 30 gennaio1759, copia della richiesta avanzata dai fratelli Caccia di Varallo Pombia, al consiglio comunale di Novara, affinchè fosse riconosciuto lo status nobiliare della loro famiglia.
I fratelli allegarono una corposa documentazione a sostegno della loro istanza, comprendente un albero genealogico e le copie dei documenti che comprovavano la veridicità dei collegamenti fra i vari personaggi elencati nell’albero.
Simili richieste di riconoscimento della qualità nobiliare non erano infrequenti (su un apposito registro comunale sono indicate tredici consimili richieste precedenti a quella dei Caccia) perchè l’appartenenza alla classe nobile dava automaticamente uno “status” assai elevato nella società d’allora; cosa ancora più importante era poi l’appartenenza al patriziato cittadino, circolo ancora più esclusivo, in quanto l’accesso alla nobiltà poteva anche avvenire comprando un titolo (come fecero, ad esempio il ricco mercante Carlo Allevi che acquistò il titolo di marchese sul feudo di Premengo o il notaio Pietro Antonio Manzoni, bisnonno di Alessando, che acquistò il feudo di Moncucco presso Garbagna) ma al patriziato cittadino si apparteneva solo per nascita e questo “status” era “conditio sine qua non” per entrare nel ristretto giro delle magistrature civiche dei sessanta Decurioni e Consoli di Giustizia a cui si dava l’appellativo di Magnifici e che detenevano il potere nella città.

Federico Caccia - Cardinale, Arcivescovo di Milano, 1698 (Laurentius Peracinus pinxit – 1762)

L’esame della documentazione fu affidato a due esperti che relazionarono ai decurioni sulle loro risultanze concludendo a favore del riconoscimento di nobiltà. I decurioni presenti alla seduta accettarono la relazione e dichiararono, in data 15 maggio 1759 la nobiltà della famiglia, prendendo per buono l’albero genealogico presentato dai “supplicanti fratelli Caccia”.
I Caccia, ottenuto l’ambito riconoscimento, si affrettarono a far stampare e diffondere, fra la nobiltà cittadina, l’albero genealogico approvato dal consiglio decurionale comprovante l’illustre prosapia della loro casata, collegata all’estinto ceppo dei feudatari di Varallo Pombia da cui era uscito il celeberrimo cardinal Federico Caccia, arcivescovo di Milano.

Tanto “spantegare” per la città suscitò però, fra la nobiltà di antico riconoscimento, pettegolezzi ed antipatie verso questi nobili di provincia, di ascendenze un po’ dubbie (1), tanto che qualcuno, nei salotti buoni di Novara, cominciò a far le pulci alla documentazione presentata, rilevando che lo schema genealogico approvato non era conforme a quello presentato, a suo tempo, dal cardinal Federico, per l’ingresso nel Collegio dei Giureconsulti milanesi.
Le rimostranze presentate al consiglio comunale da diversi nobili novaresi - fra i quali era il conte Antonio Maria Caccia di Romentino che, pur avendo approvato in prima istanza la dichiarazione di nobiltà, non apprezzava certo l’ingresso nel patriziato del nuovo ramo del casato, che avrebbe potuto concorrere, in futuro, all’assegnazione delle “voci” decurionali, tre delle quali erano di pertinenza della famiglia Caccia - furono tali da indurre il Consiglio ad emettere, in data 1 marzo 1760, un’ordinanza con cui si revocava il riconoscimento e si ordinava un riesame della pratica alla luce delle critiche avanzate.
A chiarire le cose intervenne un Ferreri di Milano, discendente per parte femminile di Ottavio Caccia, fratello del cardinale,, ed erede del feudo e dell’archivio di famiglia, che presentò inoppugnabili documentazioni con cui chiarì che entrambi gli alberi genealogici erano sbagliati, avendo sia il cardinale che i fratelli Caccia indicato (dolosamente o inconsapevolmente) una errata ascendenza.
Purtuttavia le carte indicavano un diverso punto di contatto fra le due genealogie, individuando un comune antenato dei due rami in Giacomo Caccia di Varallo Pombia vissuto nel XVI secolo.

Malgrado le cose apparissero ormai chiare passarono a sorpresa ben undici mesi senza che dal Comune arrivasse risposta sul secondo esame. Che cosa era mai successo?
Era successo che il conte Caccia di Romentino, con la sua protesta, avesse "segnato un autogol" in quanto le nuove prove presentate dal Ferreri oltre ad aver sostanzialmente confermato, anche se per vie diverse, l’appartenenza dei fratelli Caccia al medesimo ceppo del cardinal Federico, avevano anche evidenziato che, dallo stesso ceppo, erano anche derivati i Caccia di Romentino ai quali la scoperta di questa inaspettata parentela con quelli di Varallo Pombia non andava proprio a genio (2) e stavano mettendo in opera tutta la loro influenza per bloccare la pratica.
Alla fine però l’istanza dei fratelli Caccia dovette essere inserita nell’ordine del giorno del riunione del Consiglio Generale del 9 febbraio 1761. In tal modo, dopo undici mesi, i Caccia, si prepararono a ricevere l’atteso riconoscimento di “nobiltà e antichità della Famiglia”; a sorpresa, però, dopo la presentazione in consiglio del testo preparato dai relatori, la discussione fu rinviata al giorno seguente.
Nella seduta del 10 febbraio a prendere la parola fu il sindaco, TeodoroTornielli, che trovandosi fra l’incudine dei Caccia di Varallo Pombia ed il martello dei Caccia di Romentino, trovò il sistema di cavarsi d’impaccio dichiarando, prima della discussione della vertenza, che, una volta accertata la nobiltà dei fratelli Caccia, non spettasse al consiglio andare ad indagare sull’esatta collocazione genealogica della famiglia in quanto “trattasi di svolgere antiche cose da più secoli, ne quali non è facile l’accertarne la precisa verità” e che, per il futuro, non si sarebbero più discusse cause similari.
In tal modo quindi i fratelli Pietro Ambrogio, Nicolò Basilio, rev. Federico Aquilino, fra Everardo Vittore, canonico Gianangelo e canonico Giuseppe Caccia di Varallo Pombia si videro riconoscere l’indiscussa qualifica di nobile; l’ingresso nel consiglio decurionale avvenne nella generazione successiva (3), con il figlio di Pietro Ambrogio, conte Francesco Carlo Giuseppe Angelo Ercole Luigi Caccia di Varallo Pombia, alto funzionario e senatore sabaudo, che ricoprì anche la carica di Sindaco di Prima classe della Città di Novara.

I fratelli Prinetti hanno poi concluso la loro "Conversazione d’archivio" presentando una tabella, da loro realizzata, in cui hanno tentato di condensare i dati delle tavole realizzate dal genealogista Leone Tettoni per il Collegio Caccia, i dati frutto delle loro ricerche ed altri riportati dall’Andenna e da altri ricercatori con l’obbiettivo di creare una base per l’inquadramento sistematico di tutti i rami della famiglia Caccia.

Note

(1) – Ai ricorrenti fratelli Caccia era stata anche imputata, come “macchia” sullo status nobiliare la presenza, fra i loro antenati di un esattore delle imposte, attività vietata ai nobili

(2) – Nel 1594 il ramo romentinese aveva ottenuto la voce decurionale già di pertinenza dell’estinto ramo di Varallo Pombia.

(3) – A favorire l’ingresso dei Caccia di Varallo Pombia nel consiglio decurionale fu anche la progressiva estinzione delle famiglie nobili novaresi che, nell’Ottocento, andavano man mano rarefacendosi; a inizio secolo si estinsero sia i Caccia di Camiano che quelli di Mandello, due fra i rami più importanti del casato.

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