11 novembre 1956 - «Giornata mondiale dei Musei»

Era l'anno 1813 quando il sacerdote e valente paleografo Frasconi, del nostro duomo, dopo di aver raccolto un migliaio e più di pergamene antiche relative a Novara e suo territorio, pensò di adunare e disporre nel chiostro della Canonica Cattedrale, i marmi scritti romani, sparsi qua e là nel Novarese. In essi noi possiamo leggere, come nelle pagine di un libro, un centinaio circa di cognomi di famiglie e quasi il doppio di nomi di persone Novaresi: e quali fossero le dignità o cariche da loro coperte nel governo della città e dintorni.
Cito quelle di «eques romanus»; di «curator augustalis», di «patronus collegi invenum», di «tribunus cohortis», di «centurio», di «primopilarej», di «patronus civitatis», di «quaestor erarî», e «quatuor vir» e «quatuor vir edilicioe potestatis» e «quatuor vir iuredicundo», e «sevir», e «sevir decurionum», e «sevir augustalis», e «cultor domus divinoe», e anche «flaminoe» (cioè sacerdotesse di imperatrici, ecc. ecc).
Si sa che i Romani erano molto superstiziosi, o, se così volete, religiosi. E i nostri marmi scritti ci dicono che i Novaresi avevano erette ben 8 are a Giove, altrettante a Mercurio, 6 alle dee Matrone, 5 ad Ercole, 3 a Minerva, 3 a Diana, 2 a Marte, 1 a Mitra, 1 al Sole, 2 alla Vittoria. Sappiamo che a Novara c'era il tempio degli imperatori divinizzati coi relativi cultori, ossia sacerdoti e sacerdotesse. E per ben 4 volte questi marmi ci assicurano che Novara apparteneva alla tribù Claudia. C'è dunque quanto basti per sapere come la nostra città non fosse l'ultimo dei «Municipium» romani.

Se poi volessimo dilettarci di qualche notizia in particolare, ecco un cippo che ci ricorda come gli artigiani concorrevano a dare il voto per mandare il proprio presidente a sedere tra i reggitori di Novara.
Ecco un altro marmo (N. 1 dell'arc. 44) che occupa un piccolo posto nella poesia, piccolo ma prezioso perché unico di tal genere fra noi (Optatus Cassius, che inneggia a Bacco).
Veramente prezioso poi è quello greco, scritto e figurato, di due padri, coi relativi figli, che si stringono la destra. «Destrarium iunctio».
Un vero tesoro è poi la lapide celta-etrusca di S. Bernardino di Briona, oggetto di studio per numerosi e celebri dottori italiani e stranieri.
Recentemente due Professori dell'Università di Parigi vi scoprirono ai margini parole finora sfuggiteci.

Per Novara però interessano tanto da vicino le due lapidi riferentisi al bagno ed alle terme. >Ci tengo a notare che il bagno, che secondo il Bascapè, e quasi tutti gli altri storici, doveva essere nell'area ora occupata dal palazzo delle Poste, secondo il Frasconi invece era nell'area più ampia della Canonica Cattedrale (Concattedralità di S. Gaudenzio da pag. 165 a pag. 171). Cosa veramente grandiosa, il bagno; perché oltre al frigidarium, al tepidarium, al calidarium doveva contenere anche i luoghi di ritrovo le biblioteche latina e greca, le palestre, ecc.

Un monumento, la tomba di Atilia Sabatina, rinvenuta nel 1680 nella casa dei Conti Coroelli, ora casa Negretti, in via S. Eufemia, è per noi oggetto di grande, irreparabile, rimpianto.
In essa si conteneva la celeberrima coppa murrina finemente ricamata all'esterno a fili di cristallo rilevato e col motto «Bibe vivas multis annis». È una di quelle preziosissime coppe con cui l'«arbiter elegantiarum» del Quo Vadis brindò sarcasticamente a Nerone prima di svenarsi. Di quelle rarissime coppe ora, al mondo, non rimane che questa nostra. Ma i Novaresi se la lasciarono portare a Milano, ove si trova ben custodita nella cassaforte del Castello.

Non mi dilungo. Dico che si tratta di ben 160 monumenti scritti di cui 73 nostri di Novara città; 3 da Arona; 3 da Biandrate, 2; da Borgosesia; 6 da Cureggio; 14 da Suno; il resto da provenienza, incerta. Ma tutti per qualche lato interessanti.
E non sono tutti quelli della Provincia: altri ve ne sono.
E di tutti, e singoli, il chiarissimo Professor Oreste Scarzello fece uno studio profondo, pubblicato nel 1935 per cura del Bollettino Storico. Libro che per Novara ha un valore superiore a qualsiasi elogio, e porta il titolo «Museo lapidario della Canonica». Al caro indimenticabile amico fraterno Prof. Scarzello, che fu membro della Società Storica Novarese fin dal suo inizio, e docente valoroso nello Istituto Tecnico «Mossotti», deceduto due anni or sono al suo paese nativo vada in questo momento il nostro più grato pensiero.

Non tutti però i marmi romani di Novara si trovano nel sopradetto Museo lapidario.
Due sono rimasti fuori; quello di Tiliano, che i Novaresi murarono a fianco della porta del campanile di S. Guadenzio perché questo modello di amministratore pubblico, pur avendo occupato alte cariche nel Comune ed esserne stato ministro delle finanze, per molti anni, mai ardì appropriarsi indebitamente di cosa qualsiasi della repubblica.
L'altro, la tomba di Umbrena Polla, figlia di Aulio, eretta dalla sua schiava liberata, Doxca, è un classico lavoro del I sec. dell'impero, fatto a modo di tempietto con ricchi e ornati. Ha la sua gemella nel Museo Etrusco Vaticano, illustrata dal Giglioli. Questa nostra, la candida artistica tomba di Umbrena Polla, fu convertita dai Novaresi in vasca battesimale.
Anche la vasca battesimale di S. Pietro in Vaticano era stata la tomba di un imperatore. Il battesimo cristiano è considerato una rinascita; rinascita in quella fede cristiana di Roma, per cui Cristo è Romano. E perfettamente Romano è l'edificio stesso del Battistero, sebbene mascherato di romanico.

Se poi vogliamo tener presenti i numerosi avanzi di grandiosi edifici romani venuti in luce nelle aree ora occupate dai palazzi della Banca d'Italia, della Società Venezia d'Assicurazioni, dell'Est Sesia, del Broletto, dell'Istituto salesiano, che io stesso vidi, e notai nel Boll. Stor. Nov....
Se vogliamo tener conto degli avanzi del cardo e del Decumano principale, della strada che attraversa il giardino ed il palazzo dell'avv. Bossi, dei muri romani che occhieggiano qua e là lungo il baluardo Quintino Sella, come anche lungo la linea che va da S.ta Lucia per via Giulietti e via Dominioni, e le bellissime croste di marmi rari di casa Borsotti e casa Leonardi, potremmo compiacerci di leggere e veder comprovato nella Historia di Tacito (libr. I - c. III) che Novara nel l° secolo dell'impero era un «fortissimum municipium» come Milano ed Ivrea. E non solo fortissimo, ma anche ricco, come lo prova l'immensa quantità di monete romane che vediamo e qui nel nostro Museo e nelle numerose raccolte private.
A questi monumenti se ne aggiungono altri, meno appariscenti, ma non meno interessanti, anzi forse ancor più interessanti. Sono le piccole cose abbandonate che la madre terra accolse nel suo seno e che ora generosamente ci restituisce perché si possa considerarle: «Relicta Relégo».

* * *

Un altro novarese, il Ravizza, avvocato, storico, archeologo e inventore della macchina da scrivere, notò che in Novara mancava il museo archeologico. Vi costituì una Società, che denominò, precisamente, di Archeologia. Ne fecero parte l'avvocato e storiografo Rusconi, l'ing.re Prof. Fassò, il Sig. Carnaghi, il Caire, altri ed altri. Si scrisse, si pregarono i Sindaci, e Parroci del Novarese a tener d'occhio agli scavi casuali, ai ritrovamenti. Ed in breve affluirono a Novara a mille i segni preziosi, le orme delle genti antiche passate sul nostro suolo. Nel corso di una decina d'anni se ne raccolse una vera abbondanza nel salone del Palazzo del Mercato, pronta ad essere smistata e disposta in altre sale, per museo. Ma il Ravizza per la salute malferma, per strettezze finanziarie, dovette riparare a morire presso una sua figlia a Firenze. «Carmina non dant panem, sed aliquando famem».

La Società archeologica durò ancora qualche tempo; ne abbiamo le relazioni annuali ed il Registro doni. Poi nel 1890 si sciolse lasciando al Comune la preziosa raccolta.
Sfortunatamente in questi anni 1900 - 1901 - 1902 il Cav. Bianchetti scopriva la preziosa e ricca necropoli di Persona Ornavasso, studiata dal Castelfranco e dal Dechellette. E l'abbondante raccolta passò al Museo di Torino, pur essendo roba nostra.
Quindici anni dopo per buona sorte si incontrarono qui in Novara un giovane sacerdote ed uno studente di università, Giov. Batt. Morandi. Ne nacque una profonda amicizia con ... arditi progetti.

In quel giorno nacquero senza formalità il Museo e la Società Stor. in unità e sotto una direzione. Il Dott. Cipollino, di cara memoria, allora assessore alle Scuole del Comune, affida al Morandi l'incarico (senza stipendio) di elencare le monete e registare quanto c'era della disciolta Società archeologica. E, poco per volta, tutto quel prezioso materiale si distende e prende un ordine in numerose sale del Palazzo del Mercato.
Contemporaneamente, sempre per opera del Morandi si inizia la pubblicazione del Bollettino Storico per la Provincia di Novara.
Vengono stampati in due poderosi volumi, e poi in un terzo, le pergamene dell'archivio cattedrale che vanno dall'anno 729 all'anno 1205. Si può andare legittimamente orgogliosi.
Ma scoppia la guerra del 1914. Il Morandi, tenente degli Alpini, è richiamato e mandato ad Edolo. Il Museo viene chiuso. Il Bollettino tace. Morandi il 15 settembre 1915 muore combattendo sul Carso insanguinato.
Dopo qualche tempo l'amico sacerdote commemorandolo solennemente nella chiesa di S. Eufemia, ne passò la face ardente al Prof. Alessandro Viglio: che si buttò a capo fitto nell'ardua impresa di continuare l'opera rimasta interrotta.

Volle Iddio che proprio in quel tempo si scoprisse la vasta necropoli di S. Bernardino nel Comune di Briona. Il Prof. Barocelli, già celebre fin d'allora ne fece con metodo gli scavi; il prof. Bonfantini, allora Sindaco, ne pagò le spese; e molto del materiale venuto in luce toccò a Novara. Di più quasi contemporaneamente l'ing. Decio di Ameno scoperse la necropoli di Lortallo. Ed anche questo materiale affluì la Novara. L'avv. Guarlotti scavò in Galliate regione Novellina, a modo suo, alcune tombe romane.

Per colmo di fortuna il cav. Giannoni, che aveva nella sua casa dell'Angolo delle ore, ben 7 sale, piene zeppe di quadri, espresse un mezzo desiderio di offrire al Comune la sua quadreria, ma con la pretesa che gli si fabbricasse una apposita galleria.
Ci arrise allora un bel colpo di genio: adunare il Museo e la Galleria Giannoni nel Broletto. Si era al tempo del Fascio, quando valeva il proverbio «sic volo sic iubeo, sic pro ratione voluntas».

«Audaces fortuna iuvat».
Con tutti i riguardi voluti si ottiene il trasferimento del Tribunale al palazzo Orelli: e si elimina dal Broletto quanto altro vi era. Vi entrano gli ingegneri, il Soprintendente ai Monumenti Prof. Bertea, l'architetto Lazanio, ed in breve ecco pronta la signorile Galleria Giannoni per la sovrabbondante copia di dipinti dell'800. Ecco l'aula magna per le solenni adunanze del Municipio col cinquecentesco Crocifisso strappato dal muro del campanile di S. Andrea; gli affreschi di Barengo donati dal conte Gaudenzio Tornielli; l'affresco proveniente dalla casa antica di Amico Cannobio rappresentante il «iuredicundo» novarese Silo. Dico Silo e non Silone.
Ecco le sale per la quadreria dei dipinti moderni. Ed ecco al pian terreno l'amplissima sala per la raccolta archeologica. Allora qui viene trasferito quanto era stato raccolto al tempo del Ravizza, indi del Morandi, e poi del Viglio. Ed il Prof. Pietro Barocelli, la cui fama varca i confini non solo del Piemonte, ma anche dell'Italia e dell'Europa, lui, che nel Bollettino Storico Novarese, per lunghi anni aveva studiato minutamente il materiale archeologico venuto in luce dal sotto suolo della Provincia di Novara, dispone ed ordina tutto con signorilità e sapienza in 4 grandi vetrine centrali e 7 laterali lungo le pareti.

Viglio ed i suoi amici potevano cantare vittoria. Novara allietarsi, e diciamo pure gloriarsi, di possedere un non grande, ma prezioso Museo. Pur troppo però spesso «estrema gaudii luctum occupat». Viglio muore improvvisamente in un momento cruciale della Storia di Novara e della patria tutta. Il Museo vien chiuso. Il Boll. Stor. che aveva raggiunto l'apice del suo splendore, tace un'altra volta per la 2a grande guerra.

Tornata poi la pace, tutto risorge; ma come dopo una tempesta.
Rimettere ordine nel Museo, che in buona parte era stato sfollato a Lumellogno a Miasino, a S. Giulio ed altrove, «hic opus, hic labor». Furono giorni e mesi di oscurità e di poco ordine, che sono lieto di non ricordare con precisione. Dico solo che la Soprintendenza di Torino validamente coadiuvata dal Prof. Nino Bonola, cui va data la miglior lode, affrontò l'arduo lavoro. Essa si trovò innanzi a casse di oggetti di scavo, di libri, di quadri, di bandiere, tamburri, fucili reliquie preziose della battaglia del '49; e poi un vero tesoro di monete massiliote, ossia grecizzanti, romane della repubblica; e dell'impero; medioevali; medaglie commemorative disparatissime, ecc. ecc. A tutto si provvide con buon ordine. Lode a tutti quelli che vi diedero opera.

Ma il vanto di aver catalogato con cura intelligente e diligente il Museo archeologico spetta al Sig. Cav. Remo Fumagalli. È un magnifico lavoro, chiaro ed esauriente. Vi sono specificate le susseguentisi epoche o civiltà da quella paleolitica a quella del bronzo, del ferro, Villanova, Golasecca, Gallica, Romana, barbarica. Tutto vi è notato e specificato con precisione e con una minutezza sorprendente. In questo Museo noi troviamo oggetti di pietra scheggiata o levigata per usarne quale arme, bronzi vari, elmi, situle, spade, punte di lancia, coppe, pàtere, catini, olpi, anfore cinerarie, granarie, urne, piccoli Idoli di bronzo, vetri opalinizzati, anelli, catenelle, porta profumi, una balla d'oro rinvenuta ove ora sorge la scuola Ugo Ferrandi, al dito d'una statua imperiale, lucerne, fittili di svariate forme, monete e monete in grande quantità e varietà. Una grande quantità e varietà di segni del passaggio di uomini d'ogni tempo sul nostro suolo. E il Cav. Fumagalli tutto ha catalogato con metodo e perfezione. Sono un complesso, forse muto, per il semplice visitatore, ma non per lo erudito. Questi sente fra essi un sussurro di voci arcane che danno notizie profonde e preziose, le quali nel suo pensiero matureranno e faranno nutrimento per quella luce e quella forza, donde scaturiscono le civiltà.

I Musei non sono un luogo di morte, ma di rinascita e di progresso.

E se la madre terra ha conservato, indi ridonato alla luce le mille piccole cose di questo Museo archeologico per ricordarci che il progresso è lento e faticoso; gli Splendori della bellezza ci sollevano a considerare che non si vive di solo pane. Essi, i Musei o Gallerie, ci mettono innanzi capolavori che ci danno il senso della profondità del dolore, l'altezza delle più vive sensibilità dell'umana natura, la quale non è un enigma, ma l'esponente di una dignità, che se non è divina, di Dio è figlia. L'arte è amore, eroismo, poesia, sacrificio, preghiera, soprattutto preghiera.

* * *

Perciò al di sopra di quest'aula dell'Archeologia si aprono le sale per l'Arte Moderna. Qui ci accolgono i celeberrimi quattro Angeli adoranti di Gaudenzio Ferrari. Ecco attorno a loro l'artista Pietà di scuola Padovana, il volto corrucciato dell'Ecce homo di Antonello da Messina; gli affreschi quattrocenteschi del S. Michele di Suno, la Deposizione della croce del Crespi, la procace bellezza della Maddalena del Nuvolone, il Michelangelesco sterminio della battaglia di Sinnacherib del Tanzio, l'Annunziata del Moncalvo, il sogno di S. Giuseppe del Legnani, l'Assunta del Fiamminghino, il Cristo schernito di Daniele Crespi, i quattro penitenti, la Sacra Famiglia del Lanzani, le celebri cento miniature della Corsi, dono del Bollini, la tesi di laurea (la Modella) del Pirotta, la grande raccolta delle stampe del Durer, le opere del Carestia, del Ramazzotti ecc. ecc.
E gli abbondantissimi capolavori lasciati dal Volpi e Caroelli dove sono? Oh! se li avessimo ancora.

Poco?! E' vero. Troppo è andato perduto.
Se noi avessimo ancora ciò che c'era nelle case nobili di Novara solamente non molti anni fa, noi non avremmo invidia di Vercelli per le sue Gallerie Leone e Borgogna. Il Bianchini nel suo libro «Cose Rimarchevoli della Città di Novara» ce lo dimostra. Si tratta di molte decine di capolavori. Ma tutto quel tesoro è sparito. Per cui non possiamo poi gridare troppo forte quando si trova mancare qualche cosa dalle nostre chiese, aperte ai fedeli ed ai ladri. Diciamo pure con Oratio «et veniam petimus damusque vicissim».

Nessuna venia però; nessuna tolleranza per quei cosidetti restauratori senza scienza e senza coscienza.
Essi guastano tutto ciò che toccano. Veri falsi sacerdoti dell'arte, ammazzano i capolavori, che non sono all'altezza di conoscere, e dicono di averli fatti risuscitare coi loro impiastri, ottenendo lodi e denari dal facile e troppo numeroso volgo. Numerosi sono i pittori. Pochi i veri artisti. Artista è solo colui che sa fare una figura umana completa, e ,sa farla vivere col fremito e l'afflato dello spiraculum vitae.
I pittori facciano pure quanto sanno fare di meglio; ma non ardiscano mai di spegnere la vita che altri ha espressa nei propri capolavori. Altro ancora va perduto per mancanza di mezzi di conservazione. Cadono affreschi per fatiscenza di muri. Si afflosciano tele grandi e piccole e muoiono nell'umidore del chiuso di oratori. Ad arrivare a tanto sperpero già nel 1925 D. L. C. aveva chiesto ad alta voce alcune sale per la raccolta di arte che andava perduta (Vedi Boll. Stor. Nov., XXV p. 20). Ne ebbe la risposta che non riferisco. Ora però S. Ecc. Mons. Vescovo Gremigni, di questi stessi giorni, sta preparando nell'isola di S. Giulio d'Orta alcune sale per salvare opere d'arte delle nostre mille e più chiese, che, lasciate ove sono, correrebbero pericolo. Mandiamo a Lui il nostro migliore plauso; e per il Museo che sta nascendo i nostri migliori auguri.

Del resto, alziamo pur baldanzosamente la fronte.
Novara, anche se non fu mai sede di principato con il lusso di mecenati; anche se quasi interrottamente fu fatta segno d'incontri guerreschi colle relative distruzioni, sperperi, rapine, ecc: donde il proverbio «Novara la balla»: cioè: ad ogni guerra Novara doveva soffrirne; Novara, ripeto, può ancora andare orgogliosa del suo patrimonio di arte; anche se, in parte, ignorato.
Lo si può provare con il grosso volume manoscritto «Arte ed artisti nelle Chiese del Novarese», che qui viene esposto. Assai di più lo si può vedere nel «Corpus» delle «Pitture Romantiche» del soprintendente N. Gabrielli pubblicato nel 1944, nel quale Novara rifulge, per sovrabbondanza e bellezza dei suoi affreschi, superando tutte le altre regioni del Piemonte.
Lo si vide nell'esposizione di opere di Gaudenzio Ferrari a Vercelli, in questo stesso anno, in cui le nostre chiese diedero il più e il meglio. Basta nominare i due Santuari - Varallo ed Orta. Per molti forse la nostra arte è ancora una miniera da scoprire.
Signori, pazientate ancora per qualche minuto. Affacciamoci alla nostra Galleria degli Ottocentisti; sentiremo il giusto orgoglio del principesco dono di Alfredo Giannoni. Qui si son dati convegno quasi tutti i magni artisti dell'epoca nostra. Il Corpus degli artisti più celebri dell'800 fioriti in Europa, della Brizio ne assegna alla Galleria Giannoni quasi 90. Un vero tesoro. I Novaresi la conoscono e l'amano questa preziosissima raccolta di arte.
Non mi indugio a nominarvi le decine e decine di capolavori. Ne abbiamo un catalogo tascabile ed altro lussuosamente illustrato. Ma come non dire che baldanzosamente ci si parano innanzi e vogliono essere nominati e il leonino Volto di Garibaldi del Carestia, la Madre del Bonomi, l'Ave Maria del Dell'Oca Bianca, la battaglia di Kàssala del Fattori, il signor Bernasconi del Tallone, ecc. Con la sua Galleria il Giannoni non solo ha eretto un monumento ai suoi Genitori, come egli intendeva fare, ma ha illustrato il proprio nome; ed aperta agli aspiranti artisti una scuola di grandi Maestri. Onore a lui.

Vorrei procedere ancora un passo; ma trovo chiusa la porta del Museo zoologico, dono dei Nobili Faraggiana alla Città di Novara. Esso è in atto di trasferimento ad una nuova sede altrettanto degna quanto naturale. Lo rivedremo, speriamo, fra alcuni mesi, nelle spaziose sale dell'avita Casa dei Faraggiana.
In quel giorno bene auspicato ce ne farà degna presentazione l'avvocato Piras, che della Nobile Casa Faraggiana con profondo affetto e dedizione conosce la storia e gli alti meriti.

La Storia di Novara scritta dal Morbio nei primi decenni del secolo passato si chiude con queste parole: Ora Novara manca solo di una Biblioteca, di un Museo e di una Galleria d'Arte. Questo voto lo vediamo compiuto; compiuto da uomini, alcuni di profonda coltura, altri di squisito gusto d'arte, ed altri di tenace volontà, i quali molto diedero senza nulla domandare. Al paleologo ed Archeologo Frasconi; all'avv. storico, archeologo Ravizza; fondatori dell'archeologia Novarese; Al Cav. Giannoni Mecenate Nobile, cui Novara è debitrice di un tesoro. Ai Professori Morandi, Scarzello, Viglio, fondatori del Museo di Novara e miei rimpianti amici fraterni, che mi vollero caramente al loro fianco, vada, a loro tutti, il senso della nostra più viva e perenne riconoscenza.
È poi consolante ricordare che in questo suo mezzo secolo di vita il Museo non ebbe mai incontrato difficoltà vere e proprie. A meno che si voglia rilevare questa: Pochi anni orsono vi fu pericolo che le sale del nostro Museo fossero invase, sia pure per soli tre mesi, per una esposizione d'arte. Ma l'acume diplomatico e la fermezza dell'allora Presidente della Commissione Civica per i Musei, l'Eccellenza Ambasciatore V. Cerruti, in base a speciali Regolamenti del Governo, potè impedire che ciò avvenisse, anche per evitare un pericoloso precedente.

Signori, concludo: I Musei sono un decoro ed una ricchezza per la Nazione. E sono soprattutto un libro aperto che dice quanto siano state oscure, lunghe, faticose le vie del progresso. Sono un libro aperto ove si scopre che l'uomo è tutto un divenire, progredire, illuminato, sollevato, sempre più in alto, verso l'infinito, da quella sovrumana, spirituale immortale scintilla, a lui solo, a lui solo, infusa allorché l'immenso, onnipotente Iddio disse: «facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza».

[Lino Cassani, «Atti della Società Storica Novarese», in Bollettino Storico per la Provincia di Novara,XXII [1928] n. 4