Conversazioni d'archivio

La chiesa delle sante Orsola e Teresa di Galliate ed il suo altare ligneo

Roberto Cardano e Marina Dell'Omo - 17 aprile 2012

La storia delle Orsoline di Galliate è stata ricostruita da Roberto Cardano, ben noto per i suoi numerosi contributi alla storiografia novarese, partendo dalle prime presenze, nella seconda metà del Cinquecento, dell’ordine, inizialmente come suore laiche che non vivevano in convento ma prendevano i voti restando presso la propria casa.
La data esatta di fondazione del convento è sconosciuta ma sappiamo che le suore cominciarono a fare vita congregata, nel quartiere di Porta San Pietro, intorno al 1625. Il convento risultava completato dieci anni più tardi.
La chiesa fu iniziata intorno al 1635 e risulta da un documento comunale del 1637 la donazione, da parte del comune, di travi di rovere per la costruzione del tetto.
Insolita la dedicazione dell’edificio alle sante Orsola e Teresa, non ovviamente per quello di Orsola, patrona dell’ordine, ma per quello di Teresa d’Avila, appartenente ad altro ordine monastico. Cardano ha spiegato l’insolita scelta col fatto che la santa spagnola (1515-1582) fosse stata canonizzata nel 1622, all’epoca della fondazione del convento e proprio nel 1636 il suo culto era stato inserito nel breviario romano: era quindi una santa “alla moda” di grande popolarità in quel tempo, modello da seguire per le religiose e oggetto di culto per i devoti.
La chiesa, ad unica navata coperta a volta, era suddivisa, come di norma, in una chiesa pubblica esterna ed in una interna, riservata alle monache, che potevano assistere al sacrificio eucaristico attraverso un finestrone, chiuso da una grata, posto sopra la mensa dell’altare e ricevere la comunione da una finestrella a lato dello stesso.
La chiesa esterna si apriva su una pubblica via, ora intitolata al Canonico Diana e viene descritta, nel 1657, negli atti della visita pastorale dell’Odescalchi, come elegantemente ornata, con un’ancona della Beata Vergine sopra l’altare, un sepolcro per le monache - evidentemente col sigillo difettoso perché si ordina di sistemarlo affinché non ne esca “fetore” - e dotata di un organo.
Quest’ultimo particolare ci fa capire come si trattasse di una chiesa “ricca”. A quell’epoca erano infatti pochissime le chiese conventuali, dotate di uno strumento così costoso: in Novara lo possedevano solo le Clarisse e le Orsoline e nel contado pare vi fossero organi solo nei conventi di Intra e di Momo.
Il particolare dell’organo ricorda la presenza fra le monache di Galliate di una compositrice, Maria Saveria Parrucconi, che entrò in convento nel 1668 e diede alle stampe numerose composizioni, contemporanea dell’altra orsolina rinomata musicista, Isabella Leonardi, del convento in Novara.
Al momento della visita Odescalchi l’altare era ancora incompleto; nel 1678 il vescovo Meraviglia cita la presenza, sulla mensa, di un tabernacolo con santuario ligneo scolpito e dorato, davanti alla pala dell’altare.
Il vescovo Visconti riporta nei suoi atti di visita (1690) che la chiesa è ben pavimentata e rifinita con le vetrate sulla finestra dell’ingresso e registra la presenza di numerose suppellettili e dell’altare con santuario ligneo dorato, perfettamente simmetrico, con molte statue di angeli ed un’ancona con il martirio di Sant’Orsola molto ben dipinta, con angeli in rilievo e dorati ed in alto il Crocifisso con panneggi di seta rossa.
Il prospero convento cominciò a perdere importanza dopo l’annessione del novarese agli stati sabaudi, per la diminuzione di ingressi di monache delle ricche famiglie dello stato di Milano, ma rimase in vita e riuscì anzi ad evitare la prima ondata di soppressioni napoleoniche perchè ritenuto utile alla vita della comunità galliatese; fu però chiuso per la sua povertà ed aggregato al convento di Novara.
Gli edifici, acquisiti dal demanio nel 1809, vennero messi in vendita e furono acquistati dalla ricca famiglia Diana, che trasformò la chiesa in oratorio privato; un membro della famiglia acquirente, devoto canonico del duomo di Novara, avrebbe voluto rendere all’ordine religioso il convento, ma il padre, contrario all’operazione, tentò di impedirla lasciando l’edificio in eredità all’altro figlio; questi fu però costretto dai debiti a cedere il complesso al più morigerato fratello, che potè così attuare, nel 1860, il suo intento riportando le orsoline a Galliate.
Marina Dell’Omo ha quindi parlato del ricco altare ligneo della chiesa, un “unicum” nella Bassa novarese, dove gli altari lignei esistenti furono tutti sostituiti da più solidi altari marmorei, a differenza dell'area cusiana e di quella Verbanese dove, sia per l'abbondanza, sia per la minor disponibilità economica nel Sette-Ottocento, ne sono sopravvissuti diversi esemplari.
L’altare appare opera di due diverse botteghe: la parte superiore, con la cornice lignea dorata, con due angeli in rilevo sulle colonne ed altre tre statue sopra al timpano, è probabilmente quella già vista dal Meraviglia, ed appare più antica, di fattura più raffinata ed è stilisticamente riferibile all’area della scultura lombarda dell’inizio del XVII secolo.
La parte inferiore, datata 1681, è estremamente ricca: il tabernacolo ha forma di santuario decorato con cherubini in rilievo con nicchie ornate da statue di santi, rilievi di angeli ornano anche la parte inferiore dell’altare; affiancano il tabernacolo 21 pannelli con scene dei misteri del rosario ed altri episodi della Sacra Scrittura.
L’altare era originariamente in legno policromo e decorato con foglia d’oro ma ha subito, forse già nel Settecento, una pesante ridipintura in oro che lo ha notevolmente appesantito.
Dentro alla cornice dorata vi è oggi una nicchia con una statua lignea venerata come Madonna di Loreto - si tratta in realtà di una statua settecentesca della Madonna della cintura, che sostituisce l’originaria tela oggi perduta: il modesto dipinto di Sant'Orsola presente nel convento non sembra riferibile a quello lodato dal Visconti.
Sotto l’altare vi era un paliotto di pregio, in cuoio lavorato, che pare sia stato inviato a Roma nel secolo scorso e da lì non sia più tornato.
La ricercatrice ha affermato che l’altare è sicuramente opera di una maestranza legata alla cultura lombarda della zona lacustre ed in particolare alla Scuola di Arona di Bartolomeo e Giacomo Filippo Tiberino e ha avanzato l’ipotesi che l’autore sia stato Antonio Pino di Bellagio, seguace dei Tiberino, che ha lasciato numerosi lavori nel novarese, a Orta, a Miasino ed a Borgomanero, affermazione corroborata dal confronto con altre opere dello stesso autore e da un progetto del Pino per un tabernacolo, molto simile per impostazione a quello di Galliate.
L’altare, che ha subito, nel corso dei secoli, numerosi interventi e manomissioni, verrà prossimamente affidato alle cure della restauratrice Tiziana Carboni, dalla cui opera si attendono maggiori informazioni sul pregiato manufatto.
Roberto Cardano ha chiuso la conversazione formulando un’ipotesi sulla committenza dell’opera: sopra l’altare, davanti alla data 1681, appaiono le lettere D.C.V.B. da lui interpretate come: Donavit Costantia Victoria Bigarola 1681.
Suor Costanza Vittoria Bigarola era un’orsolina entrata nel convento galliatese nel 1680 e che vi rimase fino al 1695; la sua famiglia, imparentata coi marchesi Sforza di Caravaggio signori di Galliate, era dotata di cospicui mezzi finanziari ed è quindi credibile che essa abbia voluto onorare con un così munifico dono il suo ingresso nel convento.

Relazione di Luigi Simonetta

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