Conversazioni d'archivio

La pubblica carità.
Storie e immagini dagli archivi del novarese
La quadreria dei benefattori delle Opere Pie oleggesi

Emiliana Mongiat - 26 ottobre 2010

Paolo Bruni, Giuseppina Mossina, olio su tela, 1916
(Oleggio, Archivio Museo Civico)

L’argomento che viene trattato in questo incontro è l’esemplificazione di come le aree di ricerca non trovino conclusioni definitive al termine di singoli lavori o indagini ma rimangano sempre aperte e si prestino a continue integrazioni e sviluppi.
È il caso delle indagini legate alle quadrerie delle Opere Pie, che avevano trovato un primo momento di lavoro e un primo termine di arrivo nella pubblicazione, edita nel 2009 a cura dell’Amministrazione comunale di Oleggio, dedicata all’analisi dei ritratti dei benefattori di quel borgo raccolti da Flavia Fiori e conservati presso il museo locale.
È argomento interessantissimo e molto vasto quello che prende in considerazione le Opere Pie, cioè quegli organismi che in antico e fino agli anni dopo la prima guerra mondiale avevano gestito il sociale, dagli asili d’infanzia agli orfanatrofi, agli ospedali, ai ricoveri per gli anziani. Erano diffuse in ogni borgo e si basavano sui proventi derivati dalle donazioni offerte, dapprima prevalentemente di ecclesiastici –a cui per lo più si doveva la fondazione dell’istituzione stessa– e poi da privati cittadini, anche di modesta condizione.

Le Opere Pie erano amministrate e gestite da un organismo pubblico, la Congregazione di Carità, istituita nel 1807 dal governo napoleonico, che sostituì in questo compito le Confraternite a cui, prima di questa data, era affidata la gestione locale della beneficenza. La Congregazione era sempre presieduta, però, da un ecclesiastico, il parroco del luogo o un suo sostituto, mentre gli altri membri erano laici. Nessuno dei membri, per statuto, veniva retribuito. Il Consiglio d’Amministrazione della Congregazione di Carità era l’organismo che prendeva tutte le decisioni: non solo accettava gli elenchi dei poveri da soccorrere, gli infermi da ricoverare, i bambini da inserire negli orfanatrofi ma anche verificava l’accettazione delle donazioni, controllava i pagamenti, sceglieva i medici, le maestre e il personale occorrente, verificava lo stato di conservazione degli stabili e ne prevedeva le migliorie.
Decideva anche in merito all’esecuzione dei ritratti da dedicare ai benefattori, in base a regole fisse, che ne definivano tecnica e dimensioni. Decideva molto spesso anche in merito all’autore che doveva eseguire i dipinti, vincolato all’Ente da specifici contratti.
Gli amministratori erano coadiuvati in tutte queste funzioni da un segretario, incombenza che in Oleggio, dal 1898 al 1902, venne svolta da una donna, Elvira Corbella: il segretario aveva il compito di gestire concretamente l’Ente, di redigere i verbali delle riunioni, di eseguire i pagamenti mediante mandati, di tenere i rapporti con le banche e di compilare i bilanci, tutto sotto il controllo diretto del Ministero dell’Interno.
Una delle più importanti leggi del neonato Stato italiano, datata 3 agosto 1862, era stata proprio dedicata alla regolamentazione delle opere assistenziali.

L’analisi della quadreria oleggese, supportata dallo studio delle carte degli archivi (Archivio della Congregazione di Carità, Archivio dell’Orfanatrofio Bertotti, Archivio dell’Asilo Infantile, Archivio dell’Ospedale Civile e dell’Ospizio Pariani) ancora quasi tutte conservate, in parte presso i Musei Civici di Oleggio e in parte presso l’Archivio di Stato di Novara, ha consentito non solo da raccogliere informazioni e documenti relativi al borgo e ai personaggi, alla gestione antica del sociale, di avvicinarsi alle problematiche mediche e sanitarie (argomenti qui non considerati) ma anche di comprendere, con sicurezza documentaria, il meccanismo amministrativo legato alle scelte dei benefattori da ritrarre e degli artisti che avrebbero eseguito i dipinti.
La normativa, che venne rispettata fino alla chiusura o alla trasformazione dei vari Enti, ad Oleggio data al 1853, anche se le vicende della quadreria sono documentate dal 1842, con la delibera d’accettazione dell’eredità Marani e sono strettamente legate alla figura e all’attività dell’arciprete Giovanni Bertotti, dal 1840 responsabile della Parrocchia.

Nel 1853 venne deciso che i ritratti dei benefattori –i quali oltre a ricordare la persona generosa, dovevano avere come scopo principale quello di “… procurare d’eccitare [nell’osservatore] un lodevole spirito di emulazione e carità in concorrere con nuove elargizioni all’ampliazione di sì utile istituto…” (A.S.No., Prefettura Opere Pie, I versamento, b. 193) – avrebbero rispettato le seguenti normative:
1. avrebbero dovuto essere realizzati ad olio su tela a œ busto se la donazione fosse stata di Lire 5.000 o più; a figura intera in piedi se il donatore avesse elargito Lire 10.000; a figura intera e seduta se il donatore avesse donato più di Lire 20.000. Qualche variazione era ammessa per i ritratti a œ busto, in quanto avrebbero potuto comprendere la raffigurazione delle mani.
2. L’autore, scelto dalla Congregazione, avrebbe ricevuto, come compenso i seguenti onorari: Lire 100 per il ritratto a œ a mezzo busto; Lire 150 per il ritratto a œ busto comprensivo delle mani; Lire 300 per ritratto a figura intera o per il ritratto a figura intera seduta. Per donazione di somme inferiori sarebbe stato inciso il nome del benefattore sulla lapide collocata nell’ingresso dell’Ente.
3. Il pittore doveva riferirsi al «modello» costituito dal ritratto dedicato a Giovanni Pizzotti eseguito da Pelagio Palagi nel 1832 ed esposto nella Sala delle riunioni della Congregazione di Carità.
4. L’Amministrazione della Congregazione avrebbe provveduto anche alla cornice che, nel caso oleggese, era molto pregiata essendo realizzata in legno intagliato con baccellature, rivestita di foglia d’oro e corredata dall’iscrizione. Il laboratorio di riferimento fu dal 1854 quello novarese di Giovanni Maggi che divenne poi Ravetta e, in seguito acquisito da Quirino Ferrario. Anche le cornici erano costose: quelle grandi venivano pagate Lire 180, quelle per i dipinti a mezzo busto lire 105.
La spesa sarebbe stata interamente a carico dell’Ente al ricevimento effettivo del legato o dell’eredità. Non sempre, infatti, le donazioni erano libere da vincoli rispetto agli eredi e, in molti casi, consistevano in immobili o terreni che dovevano essere venduti.

Paolo Bruni, Maria Baschiera, olio su tela, 1908
(Oleggio, Archivio Museo Civico)

A volte erano i parenti a provvedere per l’esecuzione del ritratto, in modo che l’Ente fosse alleggerito della spesa, che era abbastanza onerosa: in questi casi venivano consegnati dipinti che erano già in possesso dei donatori, come venne fatto ad esempio per Laura Catterina Milanesi, defunta nel 1875, oppure fatti eseguire da artisti diversi da quelli che operavano per l’Ente, meno noti e meno costosi. Solo i parenti di Giuseppe Milani fecero eseguire il ritratto a Milano dal pittore Francesco Colombi pagandolo Lire 480 comprensivo di cornice.
Ad Oleggio i ritratti venivano esposti sulle facciate degli edifici, sedi degli Enti nel giorno del Corpus Domini davanti alle quali sfilava la processione: l’evento religioso diventava così un momento di riflessione pubblica e i ritratti un potente mezzo di comunicazione simbolica in quanto mostrati come «exemplum virtutis» da emulare.
I pittori che operarono per la Congregazione di Carità di Oleggio, rimanendo fedeli al modello imposto ma seguendo nell’esecuzione pittorica le variazioni culturali che i vari periodi sottindendevano, furono:
Andrea Miglio (Novara 1803 – 1890) documentato dal 1853 al 1884
Achille Lampugnani (Novara 1836 – 1904) documentato dal 1886 al
Carlo Anadone (Novara 1851– 1941) documentato nel 1885
Enrico Benzoni da Songavazzo (Clusone 1840 – notizie fino al 1897) documentato nel 1897
Carlo Comazzi, Oleggio, documentato dal 1886 al 1891
Paolo Bruni (Oleggio 1876 – 1940) documentato dal 1897 al 1916
Rinaldo Lampugnani (Novara 1866 – 1956) documentato dal 1915 al 1936.

Così, soppressi gli Enti o modificati nelle loro strutture più significative per rispondere con criteri moderni alle necessità del sociale, i ritratti dei benefattori sono da considerarsi oggi la più concreta e la più significativa testimonianza di atti generosi a favore della collettività, sono il legame più visibile con la storia del passato, con le vicende personali, famigliari, con gli avvenimenti del borgo che ciascuno di loro evoca e che le carte degli archivi raccontano: da quella dei coniugi Milani Corbella a quella di Francesca Tubi, Santina De Paoli o di Michele Travelli.


Altre quadrerie in corso di definizione

Questo primo studio è stato recentemente integrato dalle analisi, per il momento in forma ancora incompleta, relative ad un’altra quadreria di benefattori, quella dell’Ospedale San Rocco di Galliate, fondato dal sacerdote oblato Francesco Quagliotti nel 1617.
I ritratti sono esposti in parte presso la locale sede dell’ASL, in parte conservati in altro luogo.
Anche in questo caso i documenti visti sino ad ora confermano gli obiettivi finali e le procedure descritte per Oleggio. Confermano anche la presenza di alcuni degli artisti già segnalati come Andrea Miglio, che firma il ritratto di Anna Maria Airoldi e lo data 1853.
Il nome del Miglio compare accanto a quello del pittore locale Giovanni Guarlotti, che firma i ritratti di Carlo Chiodini (1871), Leopoldo Chiodini (1917), Ernesta Bossi Inglese (1921).
Comincia quindi a delinearsi non solo una più precisa «storia della carità» ma anche una più precisa storia della ritrattistica ufficiale novarese con l’integrazione del catalogo di numerosi artisti di cui, fino ad oggi, erano note solo poche opere.
I dati derivati dagli studi diretti sono stati affiancati a quelli che si trovano in fonti edite, come quelle relative alla Società Operaia di Mutuo Soccorso e Istruzione di Domodossola fondata nel 1855 su iniziativa di Giacomo Trabucchi e di Benedetto Burla (GV. MORO, Domodossola 2005) e all’Ospedale della Provvidenza di Ghemme fondato nel 1853 da Marianna Vespolati Volonteri (E. CALZONE, S. MONFERRINI, Ghemme 1999).

Michele Cusa, Marianna Vespolati Volonteri, olio su tela, 1854
(da L’Ospedale della Provvidenza di Ghemme, copertina)

Fra gli artisti attivi a Ghemme compaiono sia gli oleggesi Carlo Comazzi e Paolo Bruni sia altri, di cultura e tradizione valsesiane, come Annibale Longhetti (pensionato del Nobile Collegio Caccia, di cui era nota in Novara una sola opera giovanile, eseguita come «saggio’ e conservata presso i Musei Civici) e Camillo Verno, autore di ritratti datati 1904, 1905, 1912. Ancora nel 1927 Edmondo Poletti eseguiva il ritratto di Carlo Peco, dipinto che gli venne retribuito con lire 550.
Valsesiano e artista molto noto intorno alla metà dell’Ottocento era, inoltre, l’autore del ritratto della fondatrice Marianna Vespolati Volonteri «a figura intera e seduta», vale a dire Michele Cusa.

E se per Domodossola l’area artistica di riferimento si era diversificata in quanto il rimando culturale privilegiato era la Valle Vigezzo con la sua scuola, costante risultava essere, invece, la motivazione che stava alla base dell’esecuzione dei ritratti, anche in questo caso fatti eseguire “a perenne ricordo ed esempio” da esporsi in “un posto d’onore”.In questo luogo gli artisti segnalati erano tutti attivi in ambito locale e alcuni erano anche membri influenti della Società come i pittori Giuseppe Loretti e Giuseppe Leoni, presidenti del consiglio di amministrazione, il primo dal 1855 al 1858 e il secondo dal 1859 al 1860.
Oltre a Giuseppe Loretti e Giuseppe Leoni, i ritratti dei benefattori dell’Ente furono per lo più eseguiti da Enrico Cadolini, Antonio Cotti e Gian Battista Ciolina.

Giovanni Battista Ciolina, Bernardo Mellerio, olio su tela, 1938
(da Società Operaia di Mutuo Soccorso e istruzione di Domodossola, p. 65)

Altri ritratti e altre storie provengono da Borgomanero, dove le immagini sono dedicate al teologo Pagani, a Bernardino Valli, a Francesco e Giuseppe Maioni.
I dipinti, di datazione più antica rispetto a quelli fino a qui presentati (secoli XVII-XVIII) propongono una struttura compositiva e caratteri pittorici che costituiranno poi la base per i dipinti ottocenteschi e del Novecento di Oleggio, Ghemme, Domodossola: il ritrattato è raffigurato mentre sorregge il documento della donazione accanto ad un tavolo con alcuni e ben selezionati oggetti, che rimandano agli interessi culturali e alla classe di appartenenza, isolato contro uno sfondo anonimo, di colore scuro, interessato da un semplice tendaggio. L’attenzione dell’osservatore viene così completamente catturata dal gesto e dall’espressione seria e compita del personaggio.


La ricerca prosegue

Altri ritratti e altre storie si trovano a Novara, alcune già note come quelle che riguardano l’Ospedale Maggiore della Carità e l’Orfanatrofio Santa Lucia, altre ancora da scoprire e, per il momento, costituite solo da un’unica, tenue traccia archivistica: sull’ Inventario patrimoniale al 31 dicembre 1917 dell’Istituto De Pagave viene segnalato, infatti, che nella sala della presidenza, erano esposti “sei quadri con ritratti dei benefattori”.
A chi erano dedicati?, Dove si trovano ora?, Da chi erano stati eseguiti?
Per il momento solo domande e nessuna risposta, come sempre quando la ricerca è aperta e viva.


Per saperne di più:
M. AIROLDI, «I poveri: problema di solidarietà, polizia o giustizia sociale?», in Una terra tra i due fiumi, la provincia di Novara nella storia, Novara 2007;
E. CALZONE, S. MONFERRINI, Marianna Vespolati Volonteri e l’Ospedale della Provvidenza di Ghemme, Ghemme 1999;
E. MONGIAT, Il patrimonio del povero, Novara 2007;
E. MONGIAT, La quadreria dei benefattori delle Opere Pie oleggesi, Novara 2009;
GV. MORO, La quadreria dei benefattori della Società Operaia di Mutuo Soccorso e istruzione di Domodossola 1855-2005, Domodossola 2005.

Torna all'inizio