5 giugno 1814 - Fondazione dell'Arma dei Carabinieri - Usi a obbedir tacendo...

Nel prossimo 2014 sarà festeggiata a livello nazionale la ricorrenza bicentenaria della fondazione dell’arma dei carabinieri; l’Arma ha per deciso che le celebrazioni a livello locale fossero effettuate già in quest’anno, in tale ambito si è deciso, a Novara, di ricordare la ricorrenza con una mostra e un convegno, sabato 16 novembre 2013 presso l’Archivio di Stato.
La piccola ma interessante mostra, che rimarrà visibile per due settimane, ricostruisce con vari documenti d’archivio, a partire dal regio decreto di Carlo Felice che istituì nel 1814 il corpo dei carabinieri, la storia dell’arma, a Novara e nel Novarese, con mappe, disegni e foto, quadri e stampe d’epoca, molto interessanti le armi in dotazione nell’Ottocento ai carabinieri, raccolte in una vetrina.

La guardia d'onore dei Carabinieri all'ingresso dell'Archivio di Stato

Il convegno (che ha visto la collaborazione con l’Arma e con l’Archivio dell’Istituto Storico per la Resistenza e delle associazioni Scrinium e Amici del Parco della Battaglia) è stato aperto dal saluto del colonnello Giovanni Spirito che ha introdotto i numerosi interventi delle autorità presenti.
Il generale Pasquale Lavacca comandante della Legione carabinieri piemontese ha ricordato come l’altissimo grado di popolarità attuale dell’Arma sia il frutto della secolare presenza sul territorio delle stazioni che avevano fatto sì che la gente avesse inserito la figura del maresciallo dei carabinieri in quella lista di personaggi: sindaco, maestro, dottore, parroco e ostetrica che erano il riferimento fisso della popolazione.
La Dott. Vallascas, direttrice dell’Archivio, ha poi introdotto i relatori: Sergio Monferrini ha parlato della presenza dei Carabinieri a Novara e nella provincia presentando numerosi documenti con curiosità d’archivio.
Maria Grazia Porzio ha parlato diffusamente delle due caserme che hanno ospitato i carabinieri nella nostra città mentre Paolo Cirri, presidente della Società Storica Novarese, ha illustrato il ruolo avuto dai carabinieri nel risorgimento novarese.
Silvio Mele ha poi illustrato l’opera dei carabinieri nella repressione del brigantaggio e l’episodio della cascina Canta.

Natale Olivieri, medaglia d'argento al valor militare

Giovanni Cerutti ha terminato la giornata di studio rievocando la figura del carabiniere Natale Olivieri.
Nato a Genivolta (Cremona) nel 1923, si arruolò giovanissimo nei carabinieri e fu inviato a Novara nel 1941; dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, Natale entrò nella Resistenza, nella brigata partigiana Osella. Impegnato da un forte reparto fascista in un impari combattimento, riuscì a sottrarre il suo reparto all’annientamento e a fuggire nascondendosi nelle case e consegnandosi poi per evitare rappresaglie alla popolazione.

Caduto nelle mani della famigerata Squadraccia di Vezzalini fu massacrato a bastonate, portato a Novara dove, dopo altre torture, il 17 ottobre 1943 venne fucilato in piazza Vittorio Emanuele II (ora piazza Martiri della libertà) e il suo cadavere dovette ancora subire per tutto il giorno le ingiurie dei fascisti.
Alla memoria di questo luminoso esempio di fedeltà alla Patria fu attribuita la Medaglia d’Argento al Valor Militare.
L’arma dei carabinieri ha un legame particolarissimo con la città di Novara e con la sfortunata battaglia che qui fu combattuta dall’esercito piemontese nel 1849 perché uno dei più popolari motti che rappresentano i carabinieri usi a obbedir tacendo e tacendo morir, che ha dato il titolo al convegno, è estratto proprio dalla celebre poesia La rassegna di Novara del poeta e politico piemontese Costantino Nigra.
Nigra partecipò a quel fatto d’armi e nei suoi versi immagina che, la notte del primo novembre, sul campo del combattimento, lo spirito di Re Carlo Alberto, torni a passare in rassegna i reparti dei soldati caduti facendo l’elogio di ogni reparto cominciando da quello dei reali carabinieri, la guardia scelta che da poco più di trent’anni aveva la responsabilità della custodia del sovrano.

Calma, severa, tacita, compatta,
ferma in arcione, gravemente incede
la prima squadra, e dietro al Re s’accampa
in chiuse file. Pendono alle selle,
lungo le staffe nitide, le canne
delle temute carabine. Al lume
delle stelle lampeggian le sguainate
sciabole. Brillan di sanguigne tinte
i purpurei pennacchi, erti ed immoti
come bosco di pioppe irrigidito.
Del Re custodi e della legge, schiavi
sol del dover, usi obbedir tacendo
e tacendo morir, terror de’ rei,
modesti ignoti eroi, vittime oscure
e grandi, anime salde in salde membra,
mostran nei volti austeri, nei securi
occhi, nei larghi lacerati petti,
fiera, indomata la virt latina.
Risonate, tamburi; salutate,
aste e vessilli. Onore, onore ai prodi
Carabinieri!

Creata da un editto reale del 1814 per costituire un corpo d’elite sul modello della Gendarmerie francese, l’arma dei carabinieri ebbe all’inizio anche difficoltà di reclutamento perché il regolamento prevedeva che i candidati oltre alle doti fisiche e a tre anni almeno di esperienza in altri corpi dell’esercito, sapessero leggere e scrivere, cosa, a quell’epoca, ancora non comune.
Due erano i compiti principali previsti per questo corpo: la custodia del Re (compito ancora oggi svolto, nei confronti del Capo dello Stato, dai corazzieri che sono, appunto, un reparto speciale dei carabinieri) e la sicurezza pubblica della legge.
L’idea portante dell’istituzione dell’arma, era quella di costituire una rete militare diffusa su tutto il territorio del regno sardo che garantisse la sicurezza dei cittadini e il rispetto delle leggi in tempo di pace e assicurasse la presenza di una rete militare organizzata sul territorio in tempo di guerra.

La caserma di novara in una vecchia cartolina

Per questo il territorio fu suddiviso in divisioni in cui dovevano poi essere create le luogotenenze per presidiare le località più importanti.
Novara, allora città di confine, fu subito scelta come capo di divisione e nello stesso anno 1814 un reparto di 10 carabinieri a cavallo più i sottufficiali e l’ufficiale comandante, giunse a Novara e fu sistemato nei locali della gendarmeria che era ospitata in un edificio sui baluardi acquistato dal Comune e già di proprietà della famiglia Caccia, posizionato di fronte alla piazzetta dove, attualmente, è stato eretto il monumento a Costantino Perazzi.
Come richiesto dai regolamenti l’edificio aveva due ingressi, dal primo situato sul baluardo, entravano solo i cittadini e gli ufficiali, mentre sul retro, verso la piazza Sant’Agata vi era l’ingresso della truppa e la stalla dei cavalli; il vicolo d’ingresso conserva ancora oggi la denominazione di vicolo dei carabinieri.

La localizzazione della vecchia caserma su tre mappe cittadine
Disegno della facciata verso il baluardo della vecchia caserma

Il primo disegno reperito in archivio (arch. Calderara) della caserma di Novara risale al 1835, antecedente ai notevoli restauri degli anni 1837-1840 con l’intervento del rinomato architetto Aresi che ridisegnò anche i profili delle abitazioni vicine nell’ambito della risistemazione urbanistica della zona dei baluardi.
La rigida burocrazia sabauda prescriveva fin nei minimi dettagli (persino il colore della vernice dei mobili) anche il mobilio da approntare nelle caserme a seconda del grado e del numero dei militari presenti e delle loro esigenze (i militari sposati, per esempio, avevano diritto anche a un diverso numero di pentole), erano comunque sistemazioni molto sobrie come appare dalle documentazioni conservate nell’archivio di stato.

Progetto per la caserma di Baluardo La Marmora

Quando le esigenze di servizio richiesero, molti anni dopo, un nuova sistemazione per la sede dell’Arma, ci furono diversi progetti fino a giungere alla attuale sistemazione sul Baluardo La Marmora.
In provincia la prima dipendenza fu quella di Borgomanero a cui poi seguirono molte altre posizionate nei comuni più importanti; mediamente ogni stazione aveva come personale un brigadiere e 4 uomini che dovevano controllare un territorio abitato da circa 10mila persone.
Un caso particolare, di cui rimane traccia nell’Archivio di Stato è quello della stazione di Stresa, all’epoca piccolissimo comune, che ebbe poi molto presto una presenza di carabinieri perché scelta come residenza di villeggiatura della principessa Elisabetta di Sassonia, vedova del Duca di Genova, fratello di re Vittorio Emanuele II e madre di quella che sarebbe diventata la Regina Margherita.
La stazione ebbe inizialmente vita temporanea, legata alla principesca presenza a cui assicurava non tanto una superflua protezione, quanto una scorta di rappresentanza; in seguito la stazione divenne fissa su invito del marchese Nicol Rapallo, secondo marito della principessa, di cui è conservata la lettera di richiesta.
Uno dei più onerosi compiti che venne dato in carico ai carabinieri fu quello della repressione del brigantaggio, particolarmente nelle regioni meridionali, ma, anche nel settentrione non mancavano gli esempi di bande di criminali che impegnarono per molto tempo le forze dell’ordine spesso supportate, per paura o per complice omertà, dalle popolazioni.

Pistola da carabiniere a pietra focaia del 1814

Monferrini ha estratto dalle carte d’archivio la storia del carabiniere Sebastiani Antonio nato a Ghemme nel 1840 che, essendo in servizio alla stazione di Porretta Terme, il 14 giugno 1873, ebbe uno scontro a fuoco con due malviventi in cui riportò gravi ferite che lo condussero a morte due giorni più tardi.
L’episodio più noto legato alla lotta al banditismo nella nostra zona fu, il 27 novembre 1905, lo scontro della cascina Canta nei pressi di Monticello dove una squadra di quattro carabinieri, riuscì a individuare un gruppo di sette malviventi che da qualche tempo terrorizzavano le campagne.
Vistisi scoperti i sette si barricarono in una stanza al pian terreno della cascina e cominciarono a sparare ferendo un carabiniere.
I compagni del ferito, spararono allora all’interno della camera che si trasformò in una trappola mortale per i banditi; quando i militari fecero irruzione nella stanza trovarono quattro banditi morti e arrestarono gli altri tre chiudendo così, nelle nostre zone il periodo del banditismo campagnolo.
Grande fu la partecipazione dei carabinieri alle vicende risorgimentali novaresi, particolarmente nella prima guerra d’indipendenza quando come scorta regale furono più volte nel novarese a fianco del sovrano di cui condivisero il pericolo personale nelle prime linee alla battaglia della Bicocca, come già avevano fatto a Pastrengo, nella vittoriosa e storica carica che ancora oggi viene rievocata nel carosello storico dell’Arma.
Nel suo intervento su “l’Arma dei Carabinieri nel Risorgimento novarese”, Paolo Cirri ha trattato del ruolo dei Carabinieri nel Novarese durante la Restaurazione, con particolare riferimento ai Moti del 1821; dell’episodio del rientro in Piemonte di Silvio Pellico dopo la prigionia allo Spielberg, che lo ha visto “ospite” della caserma dei Carabinieri di Novara dal 10 al 16 settembre 1830, a causa dello zelo del Governatore Militare Galleani d’Agliano; del controllo ai confini del Regno fino alla I guerra d’Indipendenza.

Il gen. Govone organizz il servizio informazioni iniziando dal comando carabinieri di Novara.

Cirri ha successivamente illustrato come operassero i Carabinieri durante la battaglia di Novara del 23 marzo 1849, accennando – in particolare – all’arresto di 30 ungheresi che si erano infiltrati sino al cortile della cascina dove il Re Carlo Alberto e il suo comando si erano installati e ricordando l’unico caduto del Corpo durante la battaglia, il carabiniere Pierre Aucennay, savoiardo di Montgilbert (Moriana).
Ha infine esaminato l’azione dei Carabinieri durante il decennio preparatorio dell’unità nazionale e, specialmente, la costituzione del primo nucleo specificamente organizzato di servizio segreto militare, formatosi a partire proprio dai Carabinieri del comando di Novara, per iniziativa del capitano di Stato Maggiore e poi maggiore Giuseppe Govone, futuro generale e Ministro della Guerra.

di Luigi Simonetta