Spigolature

La vita romanzesca di Paolo Solaroli

di Luigi Simonetta

Il castello di Briona apparteneva ai Tornielli di Barengo da cui passò, per eredità, ai Guasco e poi ai marchesi Dal Pozzo, che lo cedettero, nel 1850, ai Solaroli.
Il marchese Carlo Alberto Solaroli davanti al ritratto del suo trisavolo.

Il castello di Briona è stato eccezionalmente aperto al pubblico, nei due ultimi fine settimana di novembre, per consentire la visita ad una piccola ma significativa esposizione di documenti e cimeli, allestita dal marchese Carlo Alberto Solaroli. La mostra, inaugurata da una conferenza del nostro socio e consigliere Paolo Cirri, era allestita in due sale al piano terreno della rocca, che già fu dei Caccia e dei Tornielli ed in seguito acquistata dai Solaroli, che tuttora la abitano.

Per l’occasione, il marchese ha ottenuto il prestito, dai vari rami della famiglia, di cimeli riguardanti il comune antenato Paolo Solaroli, primo marchese di Briona, protagonista non secondario delle vicende risorgimentali.
L’esposizione era divisa in due sezioni, la parte “italiana” legata al periodo risorgimentale del Solaroli e la parte “orientale” con oggetti e dipinti riguardanti il periodo che egli trascorse in India; nella mia visita ho avuto eccezionalmente quale cicerone, competente e appassionato, il marchese Carlo Alberto che, saputo che ero inviato dalla Società Storica Novarese, ha voluto personalmente illustranni i pezzi esposti.

I narghilè da cui la begum non si separava mai.

Molti e spettacolari sono i cimeli del periodo “orientale”, a partire dal narghilè d’argento della Begum, dotato di un lunghissimo tubo di inalazione, oggetto rappresentato anche in un ritratto e in una bellissima stampa inglese della Begum con tutta la sua corte.
Vi sono poi foto, dipinti, ventilabri, scacciamosche a coda di cavallo, scacchi, dadi e soprammobili d’avorio, una pelle di tigre (il pronipote del generale racconta di battute di caccia in cui si uccidevano anche più di dieci tigri ogni volta) e bellissime anni di fattura indiana, fra cui la splendida spada da parata donata al Solaroli dalla Begum in occasione del matrimonio.
Affascinanti sono i due abiti in seta e velluti ricamati con babbucce dorate dalle punte ricurve alla moda mogul appartenuti alla principessa Giorgina, effigiata, in abiti indiani, in un bel ritratto ad olio che ha come pendant un ritratto del giovane Solaroli in divisa.
Il ritratto ci rimanda l’immagine di un giovane bruno, dai capelli mossi e dai lunghi baffi ricurvi, di aspetto ardito, virile e molto attraente che non deve aver molto faticato a conquistare il cuore della principessa indiana.
Sono deliziosi i giocattoli in legno dipinto appartenuti a Giorgina che è anche rappresentata bambina, con la sorella minore, in un grazioso dipinto in mostra.

Il marchese Paolo Solaroli in grande uniforme con le sue onorificenze.

Nella seconda sala, la sezione risorgimentale ha al suo centro il ritratto del generale Solaroli cinquantenne ed alla sua destra i cimeli del 1948-49, con una bandiera inneggiante a Carlo Alberto ed un fazzoletto da collo con i versi dell’inno “la coccarda” (musicato da Carlo Coccia), stampe della prima guerra d’indipendenza ed un ritratto di Carlo Alberto appena salito al trono.
Molto bello anche un grande quadro ad olio del 1849 raffigurante il giovane Re Vittorio Emanuele II, con barba e baffi biondo-rossicci non ancora anneriti dalle tinture, come siamo abituati a vedere nella iconografia classica degli anni più avanzati.
Sono esposti anche i ritratti del genero e dei figli del Solaroli, onorificenze, stampe, dipinti, lettere e documenti che ci restituiscono l’immagine di questo audace e brillante "ragazzo novarese" d’altri tempi che, dopo aver partecipato con giovanile slancio e senza successo alle prime battaglie democratiche, partì dalla sua città natale e, inseguendo i suoi sogni, si spinse fino all’estremo oriente, entrando in un mondo favoloso da cui ritornò per partecipare, a fianco dei principali protagonisti, alle lotte che avrebbero portato all’Unità d’Italia.

Lo stemma dei Solaroli – Paolo Solaroli, non avendo un suo stemma personale adottò le insegne della moglie che gli furono riconfermate, come armi di famiglia con decreto reale con il motto, molto ben azzeccato, Virtus Fortuna favente (la Virtù è aiutata dalla Fortuna).

I Solaroli (detti a volte anche Solaro) erano originari di Bersano, un piccolo centro del piacentino a poca distanza da Busseto, e possiamo fondatamente ritenere che il loro casato provenisse dal vicino paese di Solarolo Monasterolo e che da esso prendesse il nome.

Il primo Solaroli che ritroviamo in Novara è Antonio (in alcuni documenti Paolo Antonio) nato a Bersano l’11 giugno del 1754 e sposato con una novarese, Agosta Antonia Maria, molto più giovane di lui, essendo nata il 13 marzo 1772 dal cocchiere Gianbattista e da Maria Rachelli.
Antonio era di modesta condizione sociale, secondo i ricordi di famiglia faceva il sarto, ma dai documenti comunali risulta che, nel 1816, era impiegato come cuoco nella casa dell’ing. Ballio.
Il loro figlio primogenito nacque a Novara il giorno 8 del mese di dicembre 1796 e fu battezzato con i nomi di Giuseppe Paolo Angelo Maria ma fu poi sempre chiamato Paolo, come il nonno paterno, o anche Paolino a motivo della sua modesta statura.
A Paolo seguirono, a brevi intervalli, altri due fratelli e ben quattro sorelle ed è quindi probabile che le condizioni economiche di una famiglia così numerosa non abbiano consentito al giovane di seguire regolari corsi di studi anche se, presumibilmente, egli ebbe modo, risiedendo in città, a contatto con un ambiente sociale più elevato, di farsi, con letture di libri e giornali, una sufficiente cultura.
Paolo imparò il mestiere di sarto, e questo lavoro lo mise in contatto con altri giovani della buona società, nobili e borghesi di Novara, che, stimolati dalle idee rivoluzionarie portate in Italia da Napoleone pochi anni prima e non sopite dalla Restaurazione, auspicavano riforme democratiche che riducessero l’assolutismo monarchico.
Nel 1821 vi furono moti rivoluzionari che puntavano ad ottenere la concessione della Costituzione e i rivoluzionari si organizzarono in “Reggimenti federati” che si riunirono a Novara a sostegno del giovane principe Carlo Alberto di Carignano che, assunta la reggenza dopo l’abdicazione di Re Vittorio Emanuele I, aveva concesso la Costituzione, salvo approvazione del nuovo Re, Carlo Felice di Savoia.
Carlo Felice però sconfessò l’operato del giovane cugino ed erede e gli ingiunse di recarsi a Novara, non per unirsi ai costituzionalisti, ma per consegnarsi al governatore marchese Sallier de la Tour che lo fece accompagnare, da soldati austriaci, in Toscana dove rimase in forzato esilio presso il suocero, il Granduca di Toscana.
I costituzionalisti, sconfitti, si dispersero,e molti scelsero di recarsi in esilio in altri paesi e fra di loro troviamo appunto Paolo Solaroli, allora ventiquattrenne, che si era arruolato nei reggimenti federati.
Anni più tardi il Solaroli disse di essersi recato in Spagna a combattere per i costituzionalisti ma sappiamo per certo che, nel 1823 egli già si trovava, dopo un breve soggiorno a Londra, in Egitto, dove ottenne il posto di istruttore delle milizie del vicerè Mehemet Alì.
Anche qui però rimase solo un paio d’anni perché le sue convinzioni libertarie gli impedirono di seguire le truppe egiziane quando queste furono impiegate dal Sultano contro gli insorti della Grecia.
Il Solaroli, con un avventuroso viaggio in nave raggiunse, nel 1825, l’India dove rimase, al servizio della Compagnia delle Indie per cinque anni.
Nelle sue funzioni si fece evidentemente notare perchè, nel 1830, Antonio Righellini, un ufficiale italiano impiegato nel sultanato di Sirdanak (1), si offrì di trovargli un impiego nel piccolo regno, proponendogli anche di prendere per moglie sua figlia.

La begum Zeib-Bool-Nissa in età avanzata.

In Sirdanak regnava allora la Begum Zaib Bool Nissa, inizialmente mussulmana ma convertita poi al cristianesimo; un vero personaggio da leggenda, essa aveva allora settantasette anni e i suoi numerosi ritratti di quell’epoca, ci offrono l’immagine di una vecchia ben poco attraente sempre intenta a fumare il suo inseparabile narghilè e con la destra occupata da un rosario mussulmano che lascia qualche dubbio sulla sua reale conversione; pare però che essa fosse stata in gioventù una donna di straordinaria attrattiva e sensualità.
Nata da una concubina in una famiglia di origine arabo-persiana aveva il nome, di Fursund-Azuzai ed era danzatrice in un locale equivoco di Nuova Dehli dove incontrò Walter Reinhard detto Sombre, un avventuriero tedesco che aveva ottenuto Sirdanak in feudo personale; egli la prese come concubina e la sposò alla morte della prima moglie (2).
Alla morte di Sombre, nel 1778, Fursund, battezzata con il nome di Johanna solo dopo la morte del marito, riuscì a prendere il controllo del feudo e sposò un ufficiale francese, Armand Le Vaisseau mettendo da parte il figlio di primo letto di Reinhard, Aloisius Baltasar che fomentò una rivolta delle truppe che imprigionarono la Begum e il marito.
Le Vaisseau temendo il peggio si suicidò con un colpo di pistola alla tempia e la Begum si pugnalò al petto ma riuscì solo a ferirsi e rimase per sette giorni legata alla bocca di un cannone quale ostaggio dei rivoltosi che però furono infine sconfitti dalle truppe rimaste fedeli alla begum che ritornò al potere e imprigionò il figliastro (3) morto poi di colera nel 1803 lasciandola padrona incontrastata del feudo che, nello stesso anno, le fu riconfermato a vita dall’imperatore moghul di Dehli, che le diede il nome di Zaib Bool Nissa (gioiello fra le donne) dopo la battaglia di Assaye in cui la begum aveva combattuto con le sue truppe contro gli inglesi.

Il palazzo reale di Sirdanak andò in rovina dopo la morte della begum ma ora è stato restaurato ed è adibito a collegio.

Solaroli incontrò la Begum molti anni dopo queste avventure da romanzo salgariano e riuscì a conquistarne pienamente la fiducia tanto da ottenere il comando delle sue truppe e riuscendo, l’anno seguente, annullato il fidanzamento con la Righellini, a ottenere la mano di Giorgina Dyce Sombre, pronipote di Walter Reinhard.

La Begum fece erigere, su progetto del Righini, una basilica cattolica in cui fu sepolta entro un maestoso mausoleo, opera dell’italiano Tadolini. La basilica è tuttora uno dei maggiori centri di culto cattolico dell’India.

Alla morte della Begum, ottantacinquenne, nel 1836, il sultanato ritornò alla Compagnia delle Indie; Paolino Solaroli rimase ancora qualche anno in Oriente combattendo nella campagna militare in Afghanistan, poi ritornò in Italia dove era ormai salito al trono Carlo Alberto che, in considerazione della sua partecipazione alle lotte del 1821, della sua valentia militare e dei suoi principeschi ed esotici legami matrimoniali, lo nominò colonnello onorario (4) e gli diede il titolo di Barone.
Nel 1848, allo scoppio della Prima Guerra d’indipendenza Paolo chiese il passaggio al ruolo effettivo e l’anno seguente partecipò alla battaglia di Novara.
Godette della fiducia del nuovo giovane sovrano, Vittorio Emanuele II, che lo incaricò di organizzare il ritorno in patria della salma del padre, lo nominò suo aiutante onorario e lo utilizzò, molte volte, come inviato personale in paesi esteri.
Partecipò, come aiutante di campo del Re alla campagna del 1860 che portò all’Unità d’Italia e, ancora nel 1866, oramai settantenne, accompagnò il sovrano nella guerra a cui parteciparono anche quattro suoi figli e il genero Carlo Brascorens de Savoiroux.
Nel 1867 fu incaricato da Vittorio Emanuele II di riconsegnare alla Cattedrale di Monza la Corona Ferrea che era stata restituita dagli austriaci dopo la firma della Pace; fu successivamente insignito del titolo di marchese di Briona e del Gran cordone dell’ordine della Corona d’Italia.
Morì il 10 luglio 1878 e fu sepolto a Briona.

Nei testi consultati i nomi indiani sono indicati in forme sempre molto diverse a seconda della trascrizione fonetica adottata; il nome del principato viene, ad esempio indicato come Sirdanak, Sardana, Sardhana.
(1) - Sirdanak era un principato mussulmano nella regione, non distante da Nuova Dehli, attualmente nello stato di Uttar Pradesh, ai confini con la regione himalaiana.
Pare che il Righellini, di origine vicentina, sia stato amante della matura Begum che gli aveva dato in moglie una sua figlia adottiva Victoria Moret figlia di un ufficiale francese morto al suo servizio.

(2) – Dalla prima moglie, l’indiana Bibi Badi, Sombre ebbe l’unico figlio Zaffar-Yab-Kan (1764-1803) battezzato con il nome di Aloisius Balthasar.

(3) - Zaffar-Yab-Kan ebbe dalla moglie indo-francese Julianne Le Favre (Bhai Begum 1770-1815), la figlia, Julie Anne (1787-1820), che fu maritata al colonnello George Alexander Dyce, figlio naturale di una indiana e di un generale scozzese da cui ebbe il figlio David, erede della Begum e le figlie Giorgina (1815-1867) e Anna May (1812-1867).

(4) – Alla buona accoglienza fatta al Solaroli non fu certo estranea la sua grande ricchezza, infatti l’eredità della Begum era stata divisa fra i tre pronipoti Dyce Sombre, divisione contestata da David (morto poi senza eredi) che intentò anche una causa al cognato Solaroli. Le cifre oggetto del contendere erano molto rimarchevoli, basti pensare che l’eredità del Solaroli alla sua morte fu valutata come il terzo patrimonio di Torino.
Ampie informazioni vengono date da T. Vialardi di Sandigliano in “Un soldato di ventura alla corte indiana di Sardhana:Paolo Solaroli, novarese” in Studi Piemontesi n. 2-2006. Una versione molto agiografica della vita del Solaroli viene fornita da Ercole Bonardi nel suo libro Il primo marchese di Briona, Bona, Torino 1909, una rara edizione con foto, stampata in sole 250 copie.