Il valoroso barone Pestacalda

di Luigi Simonetta

I Pestacalda appartenevano a quel ceto alto-borghese della città di Novara che, nel XVI e XVII secolo stava a cavallo fra la borghesia e la nobiltà.
Il primo personaggio di questa famiglia di cui ho trovato citazione nelle carte d’archivio è un mastro Incardino abitante in Borgo San Simone nel 1526; nel documento è indicato come “calegaro” ma la sua posizione sociale è alta, egli risulta infatti erede di un Salicini di nobile famiglia di Olengo ed è sposato a Giacomina de Rozate, figlia a sua volta della nobile Francesca della Sbarra.
Questo Incardino era probabilmente il padre di Francesco Pestacalda d’Incardino da cui nacque il notaio Gianmaria, attivo dal 1580 al 1615 in Borgo San Gaudenzio.

Da Gianmaria e dalla moglie, madonna Leonora Varotti, sorella del capitano Pier Francesco, nacque, intorno al 1590, Giacomo Francesco che partendo da queste origini, relativamente umili, raggiunse un altissimo livello sociale.
Giacomo Francesco risulta iscritto, nel 1612, fra i notai novaresi, ma evidentemente il mondo delle carte non faceva per lui ed egli, sfruttando probabilmente l’appoggio dello zio materno, entrò nell’esercito e, in un documento notarile del 1617, risulta classificato con il grado di “alfiere”.
Le sue doti personali di valore e di capacità dovevano essere veramente eccezionali perché riuscì a scalare la gerarchia militare e lo ritroviamo, nel 1637, con il grado di colonnello dell’esercito asburgico e la carica di Governatore della città di Treviri e il titolo di Barone del S.R.I..

A dircelo è una sua lettera, conservata in originale presso l’Archivio di Stato di Novara, datata in Treviri alli 12 (gennaio) del 1637.
La lettera è indirizzata al Collegio dei Notai di Novara e vi si dice che per quell’anno il Pestacalda era stato designato alla onorifica carica di depositario del sigillo del Collegio, ma par di capire che alcuni avessero contestato questa designazione argomentando che egli non era residente in città e, pur essendo qualificato notaio, non esercitava in realtà la professione.
È simpaticissima e sferzante la risposta del barone ai suoi oppositori: se non servo il mio Re, effettivamente nella Città, l’ho servito et servo, 17 anni continui, che son fuori con la spada alla mano ... et in vece d’inchiostro ho sparso in differente occasioni il sangue, come si può vedere di nove ferite che tengo onorato nella mia persona.

Il Pestacalda ricorda poi che, per queste sue imprese, era stato onorato con le cariche di colonnello e di Governatore di Treviri.
Interessantissimo poi il passo seguente dove dice posti tutti che niun Italiano sin ora fuori che il fu Marchese Spinola (1), dico d’Italiano, ha occupato..

Ora va detto che l’Italia era allora solo una “espressione geografica”; divisa fra molti stati, Novara faceva parte del Ducato di Milano, eppure nel Pestacalda è vivo un senso di appartenenza a una “Nazione” Italiana che diverrà Stato solo 200 anni dopo.
La strepitosa carriera del nostro eroe fu coronata l’anno seguente da un matrimonio principesco e quasi incredibile; infatti il Pestacalda, uscito da modesta famiglia di una città di provincia prese in moglie la principessa palatina di Magonza Amelia von Zweibrucken (1592-1655), bisnipote dell’imperatore Ferdinando d’Austria e zia di Re Carlo X di Svezia, nato da suo fratello Giovanni e dalla principessa Caterina di Svezia.

Un matrimonio, come si vede, da vero “Cenerentolo” che imparentò Giacomo Francesco con la Casa imperiale d’Austria e di cui riesce difficile capire le motivazioni.
Amelia era arrivata all’età di 46 anni ancora nubile, e già questa è una stranezza perché una principessa di quel livello veniva solitamente fatta sposare in giovanissima età.
È bello pensare che la regale giovinetta, si sia innamorata dell’audace soldato novarese, anni prima ed abbia rifiutato ogni partito fino al momento in cui l’amato, carico di gloria, sia stato in grado di avanzare una sua proposta di matrimonio.
Molto romantico ma poco credibile, anche se, a volte, anche l’incredibile accade.
Comunque i due non ebbero figli e Giacomo Francesco, nominato nel 1639 conte e barone del S.R.I., morì nel 1645 lasciando erede l’alfiere Incardino Pestacalda, suo figlio naturale (2) che, dalla moglie, Clara Della Porta, ebbe un’unica figlia: Eleonora che fu data in sposa al notaio novarese Annibale Prina.

I Prina (3) ereditarono, oltre ai beni di Eleonora, anche i diritti araldici concessi al Conte e Barone suo nonno e ne adottarono (abusivamente) lo stemma a cui sovrapposero il proprio.

Dirò, come ultima curiosità, che il bisnipote di Eleonora, fu quel Giuseppe Prina, nominato ministro delle finanze del Regno Italico di Napoleone che fu linciato, in una sollevazione popolare a Milano, il 20 aprile 1814 dando origine al detto far la fine del povero Prina.

Stemma Prina

(1) – Ambrogio Spinola Doria (1569-1630) di ricchissima famiglia genovese, assurse alla carica di governatore di Milano dopo i suoi successi come comandante dell’esercito spagnolo. Fu immortalato da Velasquez nel celeberrimo quadro la resa di Breda.

(2) – Incardino era nato probabilmente dalla relazione con una serva a cui Giacomo Francesco, in un testamento (rog. Caccia busta 4347) dettato prima della sua partenza per la Guerra, nel 1620, fa cospicui lasciti.

(3) – Per ulteriori informazioni genealogiche sul ramo cadetto della famiglia Prina si veda I Prina-Piccinino

Al Colleggio dilla Città di Novara

Sig.ri miei,

Avend’inteso come il siggillo del Colleggio de Notary viene per dretta raggione, quest’anno 1637 nella persona mia, et perchè forsi potrebbero dire, a causa che non servo personalmente nella Città mi si doveva, et venir a prendere il dretto mio, vengo a suplicar, a lor Sig.ri che questo non è di effetto mio, et se non servo il mio Re, effettivamente nella Città, l’ho servito et servo, 17 anni continui, che son fuori con la spada alla mano, et in giorni che pochi, di nostra età, et della Città, sono arrivati alli honori, gradi et posti, come me, et in vece d’inchiostro ho sparso in differente occasioni il sangue, come si può vedere di nove ferite che tengo onorato nella mia persona, che m’hanno condutto al carriggo di Collonnello due volte et Governatore della città et provincia di Treveri, posti tutti che niun Italiano sin ora fuori che il fu Marchese Spinola, dico d’Italiano, ha occupato.
Pertanto supp.co i lor Sig.ri volermi fare questa gratia se come n.ro Signore mi ha favorito, in farmi prevalere, a molti, non dico di una Città, ma di tutta una natione ancora, et parendomi venghi a resultare tutto in honore del Colleggio della Città et della natione, voglyno loro ancora farmi la gratia di quello che di raggione mi tocca, et che in mio nome, il Sig.r Pietro Francesco Varroti mio zio et procuratore gen.rale lo possi exercere et goderi; et quando ottenessi la gratia, se vaglio in queste parti a servirli, li prego, voglino honorarmi di loro commandi; mentre a tutti quanti lor Sig.ri li offero di cuore.
Da Treveri, alli 12 de 1637

Di loro Sig.ri Aff.mo e Dev.mo Servitore

Fr.co Baron de Pestacalda Incard.no


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