Spigolature

Testimonianze della Liberazione
I ricordi di Mariangela Landone

di Luigi Simonetta

Parlando con mia madre, mi ha colpito come il periodo bellico non avesse, nel bene come nel male, nei suoi ricordi, una dimensione particolarmente “straordinaria”.
Aveva nove anni quando iniziarono le ostilità ed era cresciuta in un mondo di cui non poteva avere piena consapevolezza: le era stata "impossibile" la concezione di un’esistenza diversa.
La guerra, con il suo corollario di morte, dolore, privazioni era parte inevitabile e “normale” della vita; le restrizioni alimentari, l’insicurezza, i giovani lontani per il servizio militare o partiti per unirsi ai partigiani in montagna erano realtà quotidiana anche sempre in qualche modo lontana.
La vita di ogni giorno consisteva nell'andare al lavoro per imparare il mestiere di sarta e nel lavorare in casa per aiutare la nonna, che andava a servizio per aiutare il magro bilancio famigliare. Al di fuori di quello erano ben poche le notizie che la raggiungevano.
Per noi, assuefatti all'incessante bombardamento di informazioni diffuse quasi in tempo reale è difficile immaginare un mondo come quello di allora; la televisione non esisteva e i giornali erano pochi e pesantemente condizionati dal controllo statale; la radio era ancora un lusso - nel caseggiato dove abitava mia madre, solo due famiglie su una ventina avevano in casa un apparecchio radio; la diffusione delle notizie, specie in tempo di guerra, avveniva col passaparola e chiaramente una ragazzina che aveva lasciato la scuola dopo il diploma elementare e non lavorava in fabbrica veniva a sapere ben poco.

Primo Landone al confino all'isola di Ponza

Certamente la sua vita era stata condizionata, già in tempo di pace, dalle difficoltà connesse all’appartenenza a una famiglia segnata dalla militanza nel Partito Comunista del padre, Primo Landone (1), militanza per la quale era stato dapprima condannato ad alcuni anni di confino e poi a sei mesi di prigione nel carcere di Poggioreale.
Anche dopo il ritorno dal carcere mio nonno era stato sottoposto a sorveglianza di polizia per la sua intransigente e ferma conferma pubblica delle sue opinioni antifasciste. Ciò che aveva anche prodotto l’emarginazione dal mondo del lavoro: aveva infatti potuto trovare soltanto occupazioni saltuarie, pesanti e mal pagate (2).

Novara. Livello a passaggio (sic!) Borgo San Martino - sulla destra l'abitazione di via Biandrate, 1

Mia madre si era quindi trovata, fin dall'infanzia, a vivere in una famiglia nella quale il governo fascista era visto come “ostile” anche negli anni in cui il consenso, o almeno l’acquiescenza al regime autoritario, erano maggioritari nel paese; più volte la modesta casa di via Biandrate era stata visitata e messa a soqquadro dalla polizia ed erano comuni i soggiorni "preventivi" in carcere, nelle prigioni del vecchio castello, del nonno ogni qual volta fosse prevista la visita in città di un personaggio politico di rilievo.
La guerra quindi non aveva fatto che aggravare i disagi della famiglia, specialmente dopo l’8 settembre 1943 con l’occupazione tedesca e l’istituzione della Repubblica Sociale Italiana. Già il 12 settembre il comando tedesco aveva incluso il nonno Primo nella lista dei novaresi pericolosi da arrestare e una squadra di militari aveva fatto irruzione in casa sua; era sfuggito all’arresto e probabilmente alla deportazione solo grazie al buon cuore di una guardia carceraria, che accompagnava i tedeschi per identificare i ricercati, che finse di non riconoscerlo.
Dopo lo scampato pericolo Primo Landone si allontanò per alcuni mesi da casa, rimanendo, al ritorno dal lavoro, nel magazzino della ditta Rastelli e Fontana, dove dormiva avvolto nel suo vecchio mantello militare, su un letto di assi. Ed ogni sera mia madre portava al nonno un secchiello contenente la minestra che costituiva l’unica sua cena.
Nel gennaio 1945 il nonno rischiò ancora di essere imprigionato in occasione dell'arresto di Giovanni Pasquali, socialista, che trasportava volantini del partito comunista; il Pasquali, interrogato in Questura con metodi “particolarmente convincenti” fece i nomi dei componenti del gruppo di oppositori del regime destinatari delle circolari, citando anche il nonno di cui per per fortuna ricordava solo il nome.

Vignetta propagandistica su Ardimento

La guerra aveva anche accentuato le divisioni politiche anche all’interno della famiglia; alcuni cugini, figli del prozio Secondo, simpatizzanti del fascismo, erano stati decisamente invitati a non farsi più vedere in casa e lo stesso fu per il cugino Fernando, figlio naturale dello zio Carlo, fratello della nonna.
Egli infatti, dopo il servizio militare, era entrato nella milizia fascista ed era diventato la guardia personale di Amedeo Belloni, rozzo "ras" del fascismo novarese.
L’anno seguente le cose si aggravarono, man mano che la situazione bellica, nell’Italia divisa in due, andò peggiorando per tedeschi e repubblichini che risposero all’avanzata degli Alleati e alla pressione sempre maggiore della Resistenza partigiana appesantendo rappresaglie e persecuzioni.
Mia madre ricorda particolarmente la sera del 28 ottobre 1944, quando il nonno tornò a casa sconvolto con la notizia della fucilazione in piazza Cavour e in piazza Crispi (oggi piazza Martiri) di otto partigiani, i cui corpi martoriati erano stati lasciati sull’asfalto in segno di monito per la popolazione; ricorda anche l'arresto di Erasmo Tosi, amico dei Bonfantini (3), e ben conosciuto perché la famiglia abitava ai Tre Santi, in prossimit della casa dei nonni.

Titolo della rubrica su Ardimento

Le notizie che filtravano parlavano di una lenta, ma costante, avanzata degli Alleati su tutti i fronti, contrariamente ai roboanti proclami del governo repubblichino che assicurava la ripresa delle forze dell’Asse e il prossimo rovesciamento, grazie alle armi segrete, delle sorti del conflitto.
Intanto il foglio fascista Ardimento istigava la popolazione all’odio razziale, pubblicando una serie di articoli sulla difesa della purezza della razza (4).
Sulla prima pagina dell'edizione del 5 gennaio 1945 l’articolo centrale titolava “la battaglia d’occidente ha assunto ovunque un ritmo favorevole ai germanici” e informava come le truppe tedesche avessero fermato gli alleati a Bastogne e li stessero respingendo.

Di fatto, a quella data, il tentativo di controffensiva poteva già dirsi fallito e le forze dell’Asse erano in affanno su tutti i fronti.
Sul periodico si moltiplicavano le richieste ai cittadini affinché entrassero nell’organizzazione Todt per andare a lavorare nel Reich e un ampio spazio era dedicato ad articoli che illustravano i vantaggi che i lavoratori potevano ricavarne.

Ardimento 6 gennaio 1945

I novaresi si dimostrarono però piuttosto scettici: anche mio padre aveva lavorato per la Todt ma ne era uscito non appena aveva avuto notizia che molti dei lavoratori venivano inviati in Germania, anche in modo coatto.
Benché diciassettenne era molto più informato di mia madre: con suo padre frequentava regolarmente la sede della cellula dei resistenti socialisti - la trattoria del Monferrato gestita da Celsina, figlia di Luigi Dellavecchia, grande amico del nonno paterno e padre di Romano, fucilato dai nazisti a Borgo Ticino (5).

"Saetta" Romano Della Vecchia

Mio padre collaborava attivamente con la Resistenza, distribuendo La Stella Alpina e facendo volantinaggio; nel gennaio del 1945 fu anche sorpreso mentre lasciava volantini al cinema Radio, in via Regaldi, dietro a casa Bottacchi, e diede prova di notevoli doti atletiche distanziando nella corsa i suoi inseguitori e superando poi con un ardito salto la piccola roggia che costeggiava via delle Grazie, per nascondersi nella cascina dei Lombardini, dove abitava sua sorella.
Molto spazio, su Ardimento, era dedicato all'invito ai giovani all'arruolarsi volontario; invito che spesso cadeva nel vuoto: molti giovani della leva del ‘25 - l’ultima richiamata alle armi - si nascondevano o si univano ai partigiani.
Lo zio Spartaco e il suo amico Giuseppe Buratti erano coscritti, nati del 1925: lo zio era stato assegnato alla marina ma non fu richiamato mentre Giuseppe quando ricevette la cartolina di precetto partì per la Valsesia per unirsi ai partigiani.
D’altronde non vi era alternativa. Si sapeva che la “squadraccia” del Vezzalini era particolarmente impegnata nel perseguire i renitenti alla leva repubblichina. In prossimità della casa dei miei nonni era stata costruita una garitta per il milite fascista che controllava i documenti a tutti i giovani che passavano di là
Nell’ultimo periodo della guerra anche lo zio dovette farsi più circospetto, perchè il rischio di essere arruolato a forza o inviato al lavoro coatto era sempre più forte. Una notte fu fermato dalla milizia, che lo sospettava di complicità nel furto di alcune barche da un convoglio fermo al ponte di ferro sull’Agogna; per sicurezza cominciò a trascorrere le notti in casa di amici.
Il 22 gennaio 1945, pur se in clima di guerra, si festeggiava in Novara il Santo patrono; L’Ardimento, trisettimanale fascista novarese, riportava la notizia delle celebrazioni liturgiche presiedute da mons. Leone Ossola, cercando di trasmettere un’impressione di normalità. Un trafiletto faceva la cronaca della commemorazione pucciniana al teatro Coccia, elogiando la splendida esecuzione della Tosca, diretta da un allora sconosciuto musicista novarese (6):
Guido Cantelli ha diretto con foga giovanile e con esuberante sentimento sempre vigile e attento, ricavando tutto il possibile dall’orchestra di cui disponeva. prima dell’opera egli diresse l’intermezzo del IV atto di Manon che gli valse una calda acclamazione.

Mercato Nero, vignetta da Ardimento del 5 gennaio 1945)

In quel giorno mia madre festeggiava il suo quattordicesimo compleanno, anche se il termine “festeggiare” pare del tutto sproporzionato, in ragione delle modestissime condizioni economiche dalla famiglia e delle ristrettezze belliche, che non lasciavano molto spazio ai festeggiamenti; tutto si limitava agli auguri e, nel pomeriggio, alla visita allo scurolo del Santo con l’acquisto di una fila di marroni, che probabilmente, furono quel giorno l’unica variazione al vitto consueto (7).
Nella stessa pagina era riferita la notizia di una pesante incursione aerea sulla nostra provincia, con 12 morti, 14 feriti e grandi danni alle abitazioni; anche il capoluogo era stato colpito, causando un morto e 4 feriti nella periferia cittadina.
Di quell’incursione mia madre ha un vivo ricordo: da alcuni mesi aveva cominciato a lavorare, come apprendista sarta, in largo Leonardi, presso Adele Simonetta, sarta per signora, sorella di mio padre; quella mattina un camion carico di riso, che stava imboccando il corso Torino, fu oggetto di raffiche di mitragliatrice da parte di un aereo alleato; i proiettili colpirono anche il cortile, fino a pochi metri dalla casa della zia; fu colpito anche un furgoncino, alimentato con bombole di gas, parcheggiato nella piazzetta, che esplose con grande fragore ma, per fortuna, con pochi danni.
Fino a quel periodo gli allarmi aerei avevano causato poche preoccupazioni; nei primi tempi della guerra si correva a nascondersi nei rifugi - ne era stato allestito uno anche nella cantina della casa - ma in seguito l’apparire nel cielo degli aerei, che spesso viravano in un lampeggiare metallico attorno alla cupola per poi dirigersi a bombardare Milano, era diventato uno spettacolo non allarmante.

San Liberatore, articolo da Ardimento del 24 febbraio 1945

Il 23 febbraio i cacciabombardieri americani colpirono pesantemente lo smistamento ferroviario del Boschetto causando nove morti; la zona fu colpita ancora più violentemente l’8 marzo, con dieci morti e ventitre feriti; anche la sede di viale Roma dell'Istituto Geografico De Agostini, dove era la zecca della Repubblica Sociale fu bombardata in quel periodo.
In parallelo all’avanzata delle truppe alleate la porzione di territorio controllata dalle truppe partigiane cresceva di giorno in giorno e anche su Ardimento si moltiplicavano le notizie di incursioni partigiane. Malgrado l'ottimismo di facciata degli articoli che invitavano i repubblichini alla resistenza, si capiva come non vi fosse più speranza per le forze dell’Asse.

La Stella Alpina del 1° aprile 1945

Il numero di Pasqua (1° aprile) della Stella Alpina titolava ormai apertamente “INSORGI CHE È L’ORA – È l’ora decisiva per tutti quanti! L’ora che non consente indugi, che non ammette defezioni. La situazione sui fronti di guerra sta precipitando verso la non più lontana Vittoria. È la Pasqua, la mala Pasqua dei barbari oppressori….. Insorgete compatti e senza esitazioni, quando una canaglia viene sotto mano la si spedisca all’inferno con tutti i mezzi; sarà una iena di meno a succhiarci il sangue, un ladro in meno da mettere alla forca domani. Questa è l’ora decisiva, nessuno se la lasci sfuggire.”

Ardimento cessò le pubblicazioni il 14 aprile.
Il 20 La Stella Alpina nel dare notizia dell’arrivo delle truppe sovietiche a Vienna invitava i fascisti alla resa; l’insurrezione generale era ormai alle porte.

Ecco come mia madre ricorda i giorni della Liberazione:

Ormai da parecchio tempo filtravano notizie sulla continua avanzata delle truppe alleate in Val Padana e da alcuni giorni si sentivano voci sempre più insistenti sull’arrivo dei partigiani, che, si diceva, erano già arrivati a Oleggio; il mattino di mercoledì 25 aprile uscii di buonora per andare a lavorare in bicicletta; in quell’anno avevo cominciato a lavorare come apprendista sarta da Adele Simonetta che sarebbe poi diventata, sette anni dopo, mia cognata.
In strada il traffico era più ridotto del solito ma non vi erano particolari segnali di allarme. nel primo pomeriggio venne a casa di Adele suo cognato, Ercole Turri che le disse di mandarmi a casa perchè si segnalava ormai imminente l’arrivo dei partigiani, che avevano accerchiato Novara e poteva essere pericoloso farsi trovare in strada; mi invitò anche a lasciare in cortile la bicicletta perchè i fascisti, per fuggire requisivano ogni sorta di mezzo di trasporto.

Celsina Dellavecchia con il marito, un fratello e il padre.

Tornai quindi a casa a piedi senza però trovare alcun intoppo, alla sera andai in casa dei vicini Crusca per assistere la vecchia Emilia che da alcuni giorni era a letto malata; sua figlia Mariuccia, per tirarla un po’ su di morale le disse delle notizie che circolavano , che la guerra era finita e che i partigiani arrivavano e con loro sarebbe ritornato anche il Gildo, l’altro figlio dell’Emilia che rispose con un filo di voce: “ la guerra è finita, ma è finita anche per me” morì infatti nella notte, senza poter rivedere suo figlio.
Il mattino seguente, 26 aprile, tutto era ancora tranquillo e allora me ne andai, a piedi, a casa di Adele ma ero lì da pochissimo tempo quando suo padre, rientrando dal turno di notte del lavoro (lavorava allo smistamento posta della stazione) portò notizia che i partigiani stavano arrivando e mi disse di tornare subito a casa mia.
Mi avviai lungo il corso Torino ed ero all’altezza dell’osteria del Monferrato quando vidi arrivare un camion, sul cassone vi erano diversi partigiani, tutti giovani, e fra di loro, vidi la Celsina Dellavecchia. Un centinaio di metri davanti a me stavano camminando due soldati tedeschi che si stravano probabilmente recando al calzificio Doppieri che aveva lì un ingresso laterale.
Successe tutto in un attimo, dal camion fu intimato l’altolà ai due soldati che però forse non intesero o non capirono l’ordine e continuarono tranquillamente a camminare e dal camion partì una raffica di mitragliatrice, i due soldati caddero a terra morti, in un lago di sangue.
In tutta la mia vita non avevo mai visto uccidere nessuno e proprio l’ultimo giorno di guerra mi toccò assistere a quella orribile scena; terrorizzata mi misi a fuggire con tutta la forza che avevo nelle gambe e mi ritrovai, in un battibaleno a casa dove raccontai sconvolta l’accaduto ai miei genitori.
Più tardi, non ricordo l’ora ma probabilmente nel pomeriggio, la via cominciò ad animarsi sempre di più e si formò una vera folla perchè era giunta notizia che i partigiani stavano arrivando da via Valsesia e, dopo un poco, annunciati da acclamazioni sempre più forti, si videro arrivare i ragazzi delle formazioni garibaldine, preceduti dal Moscatelli (8); in divisa, col cappello da alpino, magro e non molto alto, mi dissero che vicino a lui c’era anche Ciro, Eraldo Gastone, l’altro notissimo capo partigiano, ma io non riuscii a individuarlo.

La prima pagina di La Stella Alpina del 27 aprile 1945.

Stretto fra due ali di folla Moscatelli passò rispondendo alle acclamazioni, superò il passaggio a livello e si diresse verso il centro.
Della formazione partigiana di Moscatelli faceva parte anche il Giuseppe, l’amico di mio fratello che si fermò per un poco nel nostro cortile assieme ad altri giovani partigiani a cui la gente voleva a tutti i costi offrire qualcosa da bere; dopo un po’ di tempo se ne andarono e rimasi particolarmente colpita da uno di loro che, aggiustandosi il moschetto sulla spalle disse: “’dess vo ca’ e massi al me frade’!” (adesso vado a casa e ammazzo mio fratello) solo dopo seppi che il fratello (in realtà il fratellastro) era mio cugino Fernando che, per fortuna, aveva fatto tempo a allontanarsi da Novara dove non fece mai più ritorno.
Più tardi (non sono certa però se nello stesso giorno o in quello successivo) i partigiani ci fecero sgombrare dalla casa, adiacente alla ferrovia per Torino, perchè i tedeschi avevano minacciato di far saltare un treno blindato, piazzato sui binari vicino a casa, se i partigiani non li avessero fatti passare, improvvisamente vidi con terrore mia madre rientrare di corsa nel cortile e mentre mi chiedevo cosa poteva averle fatto correre un rischio simile la vidi uscire stringendo fra le braccia una coperta matrimoniale, si era ricordata improvvisamente di aver steso ad asciugare in giardino una coperta che le avevano dato da lavare e lei temeva che si danneggiasse.
Il giorno seguente ci furono i funerali dell’Emilia Crusca, ma le ostilità non erano ancora del tutto sopite; quando il corteo funebre arrivò al Rondò di largo Italo Balbo, poi ribattezzato largo don Minzoni, i partigiani ci fermarono perché un gruppo di tedeschi si era asserragliato in casa Fiorentini, sopra i portici del caffè Sport e c’era rischio che sparassero, per cui la figlia andò al cimitero sul carro funebre e tutti gli altri dovettero tornare indietro.
Venimmo anche a sapere di una disgrazia, il fratellino del Giuseppe aveva perso una mano nello scoppio di un detonatore dimenticato in casa dal gruppo dei partigiani.
Ancora giunsero, nei giorni seguenti, echi di notizie di ultime sacche di resistenza fascista, ma ormai la pace era arrivata, tutti ci sentivamo più leggeri e finalmente liberi.
Ricordo che la sera dei giorni immediatamente seguenti quello della Liberazione i miei mi lasciavano uscire con le amiche e mi è rimasta impressa l’immagine di largo don Minzoni trasformato in pista da ballo con le coppie felici che volteggiavano abbracciate sull’asfalto, in Libertà”.


La Liberazione di Novara da La Stella Alpina del 27 aprile 1945.


NOTE
(1) – Primo Landone (Novara 1891 – 1959) nato in una modesta famiglia di piccoli imprenditori edili di Lumellogno, ader, fin dalla prima giovent al movimento socialista, dopo due anni di servizio militare a Firenze fu inviato in Tripolitania per la campagna libica dove rimase oltre un anno, appena ritornato alla vita civile fu nuovamente richiamato alle armi prima dello scoppio delle ostilit nel 1915, inviato sull’altopiano di Asiago e congedato gi nel 1915 dopo aver riportato pesanti fratture in seguito a un incidente. A Novara partecip, nel 1917 alle manifestazioni pacifiste e nel 1922 fu ferito difendendo il Circolo Riscatto Proletario di Novara dall’aggressione delle squadre fasciste. Aveva aderito fra i primi al Partito Comunista , nel 1923, dopo la scissione di Livorno. era fiduciario per Novara della FILIA (Federazione Italiana Lavoratori Industria Alimentare). Nel 1925, al ritorno dal municipio dove era andato a denunciare la nascita del figlio che aveva chiamato Spartaco Primo Maggio fu aggredito da una squadra di picchiatori che, per punirlo del suo conclamato atteggiamento antifascista, lo percosse selvaggiamente e lo costrinse a bere olio di ricino. Fu condannato, nel 1926 a cinque anni di confino che trascorse a Favignana, Ustica e Ponza dove si leg in amicizia con Luigi Gilodi (importante personaggio dell’antifascismo torinese) e dove conobbe Amadeo Bordiga, fondatore del Partito Comunista che, pur se nativo di Resina (Napoli) era di famiglia novarese. Sub anche una condanna a sei mesi di carcere per oltraggio al capo del governo. Dopo la guerra fu decorato dall’A.N.P.I. con la medaglia di Combattente per la Libert.
(2) – Primo aveva poi trovato un lavoro fisso alla ditta edile Rastelli e Fontana, dove gli avevano assegnato il lavoro di “magut” (garzone), dopo una pesante giornata di lavoro, egli doveva ancora riportare al magazzino gli attrezzi del cantiere caricati su una “galiota”, una pesante cariola di legno a due ruote con le stanghe che veniva trainata, come una sorta di risci. per questo veniva chiamato, dagli amici del lavoro, con il soprannome di “Cavallo Bianco” con riferimento alla storiella popolare del cavallo bianco che, in un’impresa di trasporti, copriva il tragitto pi lungo ed era quindi l’ultimo a rientrare alla stalla, per questo, quando vi era qualche lavoro da svolgere all’ultimo momento, si utilizzava il cavallo bianco che aveva ancora i finimenti addosso, morale della storiella: i pesi straordinari ricadono sempre su quelle persone che gi sopportano normalmente la maggior parte del lavoro.
(3) – Corrado Bonfantini (Novara 1909 – Imperia 1989) nato in una famiglia di tradizioni socialiste, oppositore del fascismo fu confinato politico a Ponza; durante la guerra divenne comandante delle Brigate Matteotti, abitava in viale XX settembre a Novara con i fratelli Mario e Sergio, anch’essi partigiani.
(4) – Ogni numero di Ardimento riportava anche una rubrica di citazioni antiebraiche dal titolo: “ Gli ebrei han voluto la guerra. Scovateli! Denunciateli! Malediteli!”.
(5) – Romano Dellavecchia (Pisnengo 1928 – Borgoticino 1945) assieme alla sorella Celsina era un punto di riferimento degli antifascisti novaresi nella trattoria Monferrato in corso Torino a Novara; scoperto e ricercato dai fascisti si aggregò giovanissimo alle formazioni partigiane prendendo il soprannome di Saetta (Masca era quello della sorella); cadde dopo poco tempo in un’imboscataR. La foto, ormai logora è quella che il padre dell’autore, amico di gioventù di Romano, conservò per tutta la vita nel proprio portafogli.
(6) – Guido Cantelli (Novara 1920 – Orly 1956) musicista di grande talento ebbe, dopo la guerra, una rapida e brillante carriera che lo portò a dirigere nei maggiori teatri, considerato l’erede di Toscanini, fu nominato nel 1956 Direttore stabile dell’orchestra della Scala di Milano ma morì poco dopo in un incidente aereo. Grande interprete del repertorio sinfonico diresse alla Scala solo il “così fan tutte” di Mozart; oltre a questa le sue esperienze con la lirica furono unicamente quelle fatte al teatro Coccia in tempo di guerra.
(7) – Già prima della guerra le condizioni economiche della famiglia erano modeste e il vitto ordinario era costituito dalla minestra; solo la domenica e i festivi in casa dei miei nonni si cucinava il risotto e si mangiava un po’ di carne, solitamente bollito; ma con la guerra, specialmente nel periodo repubblichino, era diventato difficile trovare il cibo, anche per chi aveva soldi: il pane, la carne, lo zucchero, il sale erano razionati e si acquistavano solo con la tessera annonaria altrimenti bisognava ricorrere ai rifornimenti illegali del mercato.
Il personaggio del “ladro nero” era un personaggio fisso delle vignette di Ardimento, proprio perché il problema degli approvvigionamenti alimentari era molto sentito dalla popolazione.
Grazie al “Geni” un amico di famiglia che lavorava al macello un elemento fisso dei pasti era il sangue fritto; il sangue delle bestie macellate veniva fatto rapprendere formando dei blocchi che venivano poi affettati e fritti nello strutto, non era un cibo sgradevole ma se non veniva consumato caldo diventava immangiabile. Il pane era scuro e pieno di crusca fatto con farine di segale o meliga.
Un altro elemento che spesso veniva a mancare era il sale, mia nonna pestava nel mortaio il salgemma che il Geni portava dal macello, mentre mia zia Adele aveva pensato di utilizzare quello delle saracche sotto sale, l’inconveniente era che, per quanti lavaggi si facessero, il penetrante odore di pesce non se ne andava e tutti i cibi cucinati con quel sale avevano il sapore di acciuga.
(8) – Cino Moscatelli (Novara 1908 – Borgosesia 1981) era uno dei capi riconosciuti del movimento antifascista; a capo delle Brigate Garibaldine della Valsesia organizzò con Eraldo Gastone la resistenza nell’Alto novarese. Fu nominato sindaco di Novara dopo la Liberazione e fu poi deputato del PCI.

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