Recensioni e Segnalazioni

«Novara resterà indimenticabile per ciascuno di noi»

Nel 1979, scrivendo La condition postmoderne, Jean-François Lyotard decretava la morte dei grands récits, le grandi narrazioni, termine con il quale dal filosofo francese venivano indicate le sintesi teoriche utilizzate nella modernità per offrire una legittimazione filosofico-politica del sapere.
Una semplificazione storica non sempre vicina alla realtà effettiva, in grado però di spiegare una determinata tendenza verso il progresso.
In particolar modo si riferiva all’Illuminismo, all’Idealismo e al Marxismo, confutando il loro tentativo di spiegare razionalmente le dinamiche dei processi evolutivi storici - si consideri soltanto il suo riferimento ad Auschwitz - che annullerebbe la massima hegeliana tutto ciò che è reale è razionale, tutto ciò che è razionale è reale.

La teoria di Lyotard potrebbe essere applicata alla storiografia del Risorgimento italiano, che, se da un lato ha innegabilmente individuato il momento della formazione di una coscienza nazionale italiana, dall’altro ha cristallizzato il Risorgimento – già negli anni stessi delle guerre d’indipendenza – in mero momento di riscossa nazionale, esito della contrapposizione a un nemico straniero, la cui cacciata avrebbe finalmente reso possibile l’unificazione di popoli da secoli calpesti, derisi. In altre parole, una grande narrazione, dai toni epici, volta a spiegare il progredire storico verso l’unità italiana.
È chiaro tuttavia che il Risorgimento così inteso è ridotto a null’altro che il frutto di una manipolazione propagandistica, semplificazione di dinamiche sociali e politiche ben più complesse, ma destinata a trovare eco amplissima a seguito dei due conflitti mondiali del secolo scorso, il primo spesso inteso come quarta guerra d’indipendenza, il secondo come nuovo Risorgimento.

Ecco quindi che, alla luce della frantumazione di queste “grandi narrazioni”, espedienti che spiegano i moti storici con una spiccata tendenza generalizzatrice, diventa fondamentale intrecciare alla grande storia le vicende private dei singoli, le piccole storie che non hanno fatto scalpore, che non sono entrate nelle cronache dei manuali storici, ma che pure hanno un loro punto di vista, un loro contributo di verità da apportare, come ben ci ricorda la chiusa delle Fragen eines lesenden Arbeiters, di Bertold Brecht: So viele Berichte. So viele Fragen.

Planimetria dell'area della battaglia del 23 marzo 1849

Tale è il suggerimento che sembra avanzare Stefano Apostolo, germanista "prestato" - con profitto! - alla storia, con “Novara resterà indimenticabile per ciascuno di noi”. La battaglia di Novara vissuta tra le linee austriache. Memorie, lettere, prose.

Nodo cruciale del Risorgimento, sconfitta disastrosa sulle cui ceneri furono poste le premesse per le campagne vittoriose del ’59 e del ’66, la battaglia di Novara del 23 marzo 1849 viene qui descritta per la prima volta attraverso le fonti primarie austriache.
Pagine scritte di getto – come nel caso delle lettere, redatte in Kurrentschrift – o a distanza di anni – come per le memorie, quasi tutte in Fraktur – da chi si trovò a Novara nelle vesti di vincitore e poté quindi descrivere non soltanto la spaventosità della battaglia ma anche le vicende dei giorni precedenti e di quelli successivi – cosa impossibile per i Piemontesi costretti alla ritirata.
Dai testi analizzati, contestualizzati e presentati per la prima volta in lingua italiana, emergono voci tra loro molto diverse, per età, grado militare, sensibilità con la quale gli eventi vennero vissuti e poi rielaborati per iscritto.
Voci che si completano contrappuntisticamente e che risultano varie anche per provenienza: nonostante i testi siano redatti in tedesco, tra gli autori non si annoverano soltanto Austriaci, bensì anche Boemi, Ungheresi, Tedeschi e persino uno Svizzero, arruolatosi nelle giubbe bianche dopo essere scampato alla guerra del Sonderbund. L’uniformità linguistica non deve sorprendere, in quanto il tedesco era la lingua franca del multiculturale esercito austriaco, idioma d’obbligo in particolar modo per tutti gli ufficiali, appreso già nella società medio-alta di provenienza e coltivato poi anche nelle scuole per cadetti.

Da una lettura di questi testi emergono quadri a tratti certamente crudi della battaglia, non di rado parziali, ma certamente veritieri, ricchi di dettagli, e che, anzi, proprio con la loro soggettività arrivano a correggere e a integrare le fonti piemontesi.

Lodovico Kaiser, ritratto di Johann Josef Wenzel Anton Franz Karl Graf Radetzky von Radetz [Josef Radetzky, Trebenice, 2 novembre 1766 - Milano 5 gennaio 1858], 1856.

Ma c’è anche molto spazio per spaccati di vita quotidiana nella Novara e nella provincia occupata, che mettono in luce l’umanità di un nemico sempre dipinto con tinte fosche. Si pensi – come narrato dal conte Kolowrat – all’episodio della tavola imbandita a Fara, alla quale ufficiali austriaci e piemontesi sedettero soltanto due giorni dopo la battaglia brindando alla nuova amicizia. Si pensi alla conoscenza fatta da Hackländer – giornalista tedesco al seguito dell’armata austriaca in qualità di reporter – con una ragazzina di Novara, figlia di un sellaio la cui bottega era stata devastata dai soldati piemontesi, fugace amicizia destinata a terminare per sempre con il ritorno dell’esercito a Milano.

Oppure alla bonarietà e alla gentilezza con la quale tutte le fonti tendono a caratterizzare il rapporto tra il Vater Radetzky e i propri soldati, arrivando anche a decostruirne l’iconografia che conosciamo tutt’oggi: l’ottuagenario condottiero boemo portava in realtà una parrucca, e il celebre baffo bianco ebbe origine proprio a Novara, in seguito a una scommessa fatta con gli ufficiali del suo stato maggiore.

Pietro Aldi da Manciano, L'incontro tra Vittorio Emanuele II e il Generale Radetsky a Vignale

Pagine interessantissime sono riservate inoltre all’abboccamento di Vignale, svoltosi su di una letamaia (!) al centro del cortile della cascina Tavernette: è un momento storico ritratto da un punto di vista alternativo, che ci mostra con altri occhi la figura di Vittorio Emanuele II, il vestiario eccentrico, il suo maldestro tentativo di acquistare il cavallo di Schönfeld, il giovane ufficiale di ordinanza austriaco che doveva accompagnarlo all’incontro con Radetzky.

Sono davvero molte le novità che il testo di Stefano Apostolo ha in serbo per studiosi e appassionati delle vicende del marzo 1849, dettagli in parte decisamente sorprendenti, a tratti gustosamente ilari, e non di rado del tutto sconosciuti proprio perché assenti nelle fonti piemontesi.
Dettagli ignorati per anni perché contenuti in testi difficilmente assimilabili nell’ottica livellatrice del Risorgimento, per la quale Novara rappresentava una sconfitta da dimenticare.
Eppure anche gli Austriaci, che pure ne uscirono vincitori e celebrarono l’evento in maniera grandiosa, patirono pesanti perdite.

L'Ossario della Bicocca. Inaugurato nel marzo 1879 conserva la memoria dei caduti di entrambi gli schieramenti.

E una costante di tutte le fonti analizzate è proprio l’idea di aver sostenuto uno scontro terribile che ha visto il sacrificio di numerose vite.
Così si spiega il sentimento di pietà cristiana che traspare dalle loro pagine, il tono elegiaco usato per i caduti di entrambi gli schieramenti, descritti come vittime affratellate nella morte dopo le fatiche della guerra sostenute in vita.Parole forse piene di retorica per chi non è vissuto in certi frangenti storici, ma che acquisiscono un significato più alto se si conta che chi le ha scritte ha invece toccato la morte con mano, vedendo spegnersi davanti ai propri occhi compagni nel fiore degli anni e amici di una vita.

Il titolo del libro, “Novara resterà indimenticabile per ciascuno di noi”, tratto dalla lettera di un capitano tirolese alla sorella, ben rende l’idea dell’importanza che le vicende novaresi ebbero per gli Austriaci, certamente vincitori ma pur sempre uomini con gioie, paure, angosce umanissime, e che a Novara, al confine estremo di un impero sterminato, lasciarono un pezzo di se stessi.