Note e documenti

C'era una volta il vino della Riviera!

Dedicato a Mario Soldati che non è mai salito al Mesma
di Francesca Coletti e Roberto Castiglioni

Che pel dazio del vino, nel distretto di Novara, non si paghino più di sei soldi imperiali per botte, eccettuata però la presente annata, ed il vino degli anni scorsi, pel quale non devesi pagar nulla. (1)

Questa storia porta tutti noi in un viaggio fantastico tra le meraviglie di un patrimonio storico inestimabile, una molteplicità culturale che, dalla civiltà di Golasecca, attraverso Liguri, Celti, Romani, Visconti, Austriaci, Francesi, Savoia e “chissà chi altri” giunge ai giorni nostri; cercare una "tracciabilità" dei vitigni autoctoni sembrerebbe quindi una impresa ardua, che non si rivela tale in virtù dell’isolamento della riviera durante i secoli.
Una storia scritta da tanti protagonisti, che racconteremo con le loro parole, immergendoci in un universo affascinante.
Protagonista è la Riviera, con le colline, i nobili e i contadini, il paesaggio, l’uva e il vigneto.
Il nostro racconto sarà una raccolta di “frammenti“ che da spazio a quei viaggiatori dell’Ottocento che con bollettini, diari, racconti e fotografie, accompagnati dalle corografie, ci hanno tramandato una memoria impagabile.

Plinio nel libro XVII della Naturalis Historia (2) parla dei vini di Verbania e del lago d’Orta definendoli “asprigni” perché le viti erano coltivate ad alteno sugli alberi.
Il notaio Elia Olina nei suoi diari ci parla di Crabbia, Pettenasco e dei vini fatti con uve di Sassina, aggiunte allo spanna locale.
Scrivendo da Ameno il Cotta nel 1715 ci dice mentre stavo nella mia patria sotto il camino ristorato da vino dolce e castagne (3).

Nelle corografie ottocentesche le descrizioni narrano di ubertose colline ricche di frutta, e singolarmente di uve squisite, con cui si fanno vini prelibati (4).
Giovanni Biroli nel 1809 nella Georgica del Dipartimento dell'Agogna evidenzia che:
Le viti finalmente amano i colli, ed i nostri ne sono ricchi.
Incomincia la loro coltivazione nei contorni di Varallo, ed in quelli di Domodossola, occupa la maggior parte delle colline, discende nel basso Novarese, e nel Vigevanasco, e diminuisce notabilmente nella Lomellina.
È antica l'usanza nella pianura di appoggiar le viti alle piante di cerase nei terreni leggieri, ed agli opii [acer campestre L.] nei forti, ma in oggi si è diffusa più dell'ordinario; diffatti, tenendo gli alberi a grandi distanze, si coltiva egualmente la terra, e si ottiene un doppio raccolto col vino.
In una coltivazione tanto estesa, si trovano molte qualità di vino, dipendenti dal terreno, dalle posizioni, dalle coltivazioni, e dal tempo, e modo di prepararlo, più che dalle diversità delle uve, che riducon sia poche razze, come la spana, l’uvetta, l'orianella, la bonarda, il pignolo ecc. (5).
Ritrovandosi adunque nel Novarese eccellenti vini delicati, e potenti, potressimo col praticare le recenti osservazioni pubblicate intorno alla loro preparazione, non aver bisogno dei vini forastieri
(6).

Segue l’osservazione fatta nella Gazzetta della Associazione Agraria il 4 luglio 1845:
Solo sembra alla Commissione che possa tornar utile l'osservazione, che sarebbe desiderabile che venisse dalla generalità dei proprietarii meglio curata la fabbricazione dei vini, i quali, sebbene di ottima qualità, non tengono finora per la maggior parte il posto che dovrebbero avere nel commercio coi paesi esteri.

Aggiungiamo anche un tocco intrigante a tutta la faccenda … Il barone von Welden nel 1821 dopo aver raggiunto Teresa Sopransi in Agazzini in quel di Ameno, preso dal gran desiderio di vedere l’isola di S.Giulio, raggiunta la Madonna della Pascola si avventurò tra vigneti cinti di muracciuoli, e sotto pergole di viti congiunte ad alte noci in cui tutti i grappoli vedonsi di un color violaceo (7).

Per avere una panoramica dello scenario sono utili i commenti che seguono a partire dal Fantini:
Nella prima metà del secolo XIX esisteva in Piemonte una viticoltura empirica, non sostenuta da studi ampelografici adeguati e da sperimentazioni sull'adattabilità dei vitigni ai terreni e alle diverse situazioni pedoclimatiche.
Assai spesso ci si accontentava di ottenere la massima resa in uva da vitigni poco esigenti e produttivi.
In questa fase la viticoltura era inserita in un contesto socio-economico statico: si produceva per l'autoconsumo, e gli impianti erano per lo più commisurati alle esigenze dei componenti della famiglia coltivatrice: eccedenze produttive da destinare al mercato erano eccezionali.
Mancavano infatti facili comunicazioni per incrementare il commercio e l'esportazione, ed inoltre l'elevato prezzo di vendita dei cereali rendeva meno conveniente la coltivazione della vite
(8).

Scrive Vincenzo Barelli: Gozzano mette a Buccione, cioè al lago d'Orta, in un terreno coltivato a vigna, di proprietà di certo Gaetano Mina d' Orta (9).

Nel 1843 il capitano Luigi De Bartolomeis scrive nel suo Notizie topografiche e statistiche sugli Stati Sardi: Ameno, sta sopra delizioso colle di dolce declivio, e da ciò si vuol far derivare il nome ad un'ora all'est dal capoluogo, circondato da più elevati monti, sopra uno dei quali denominato la Mesina, fu edificata una casa religiosa, d'onde godesi di amenissimo orizzonte e di pittoresche vedute (10).

Un altro scenario ci viene raccontato dal Fara: Ameno: la vite è coltivata con discreta intensità tantochè, scendendo verso Orta la vigna, meno piccole interruzioni, si estende lungo tutta la riva del lago, fino a raggiungere (procedendo verso mezzodì) il territorio di Gozzano.
Le colline gozzanesi presentano boschi e vigneti: il vino, specialmente il bianco, è di qualche pregio....
Assai commendevoli sono per avere mutati sterili terreni paludosi e ingrati in bellissime campagne e praterie, e disboscate estese selve, e ridottele a viniferi tenimenti, il Dottore Carlo Galland inglese nei suoi possessi di Lucerà sopra Buccione, e Sebastiano Morandi ne' suoi di Ronco e Crabbia
(11).

E infine Mario Soldati nel 1932 scriveva mangiando castagne bevevo il vino nuovo nelle ciotole durante le lunghe sere di novembre a - spuglià melgun mentre riferito ai gestori dell’albergo di Corconio dove alloggiava ci dice: da sole facevano marciare l'alberghetto, figlie del pa' Pédar che badava alla campagna, alle bestie, a fare il vino, a distillare (12).

L’ampelografia ufficiale è stata introdotta nella seconda metà dell'Ottocento, centuria che vide un fiorire di iniziative per lo sviluppo dell'enologia in tutto il Piemonte.
Questa ricerca ha cercato di identificare il vitigno “ autoctono “ della "riviera d’Orta", in quanto esso caratterizza la diversità di un territorio.
Goffredo Casalis nel 1843 annota: Il vino in questa provincia è pure un cospicuo prodotto, ed anzi un importante oggetto di esportazione. Le viti vi esistono in grande quantità, specialmente sui colli. Nell’interno dei campi situati in pianura veggonsi file di ciriegi per sostenere le viti, e il vino cui esse danno, si chiama ceresolo; esso è chiaro, leggiero, ma saporito e sano.
I vigneti della pianura, che si coltivano col metodo comune forniscono anche un vino discretamente buono, nonostante la natura del terreno assai grasso
(13).

Apprendiamo inoltre da Adriano Balbi nel suo Compendio di geografia che: ...trovasi Maggiora, ... nel quale si fabbrica una grande quantità di bottiglie di terra, rinomate perché conservano il vino meglio che non il vetro; (14)
In Gozzano la Brenta è di 64 Boccali, e si divide pure in 4 Emine, l'Emina in 16 Boccali.

Sul vino che si vende in Gozzano e nelle altre località della Pieve e sul giusto pagamento all'oste, il n. 66 prescriveva che non si debba vendere in Gozzano vino forestiero a un prezzo maggiore di quello prodotto localmente .

Edoardo Ottavi sul Giornale vinicolo italiano nel 1897 elenca anche un listino prezzi:
Eccovi i prezzi attuali dei vini nei principali paesi vinicoli della provincia: Gattinara vini nuovi da L. 36 a 48, 1896 da 36 a.... da 36 a 50, Brusnengo nuovi da 30 a 36; Cessato nuovi da 30 a 40; Borgomanero nuovi da 36 a 40; Fontaneto d'Agogna nuovi da 36 a 42....

Lo storico Angelo Fara, nel 1861 scrive: Plinio fa menzione del Novarese coltivatore delle viti, e nota, che sulle forche avvolgevano i tralci, ma soggiunge esserne il vino aspro e immite.
Se a ragione ciò dicesse io non so.
Ora però i nostri vini, in ispeccie quelli di Carcegna, Pettenasco e Crabbia, se mature siansi raccolte le uve, sono assai buoni, generosi e gradevoli, e se vengono trasportati alle regioni montane acquistano tale forza e sapore da non reputarti per nostri.
Nei buoni raccolti il vino per la Riviera non solamente sopperisce alla necessità della popolazione, ma forma eziandio materia di discreto commercio
(15).

I vini prodotti dai territorii della riviera d'Orta, non perdono quasi mai la loro naturale acidezza: tale difetto si attribuisce non tanto alla qualità delle uve, quanto al cattivo metodo di farli.
Le viti si possono dire il miglior ramo di produzione della Riviera orientale.
Quanto sono belli a vedersi quei verdeggianti colli tutti coperti dai diffusi tralci, ed imporporati dalle uve, che rendono gli autunnali giorni così giulivi a Corcogno, Vacciago, Orta, Carcegna, Pettenasco e Crabbia
! (16).

I nostri coltivatori hanno l'usanza di piantare diverse razze, perchè dove una va fallita riesce l'altra, ne basta una sola specie a produrre ottimo vino, motivo per cui anche gli amatori mescolano l'uva spana coll'uvetta e la bonarda, acciò riesca il vino generoso e colorito.

Giovanni Biroli nel Trattato di agricoltura affronta l’argomento in modo specifico e tecnico: A tre foggie si riducano le coltivazioni delle viti nel nostro Dipartimento, cioè a cerisolato, a pergolato o toppia, ed a filare o filagno (17).
Nella pianura si preferisce la bonarda, che tien luogo della spana.
L'uvetta è molto dolce, abbonda di materia colorante, e serve a temperare lo spirito della spana ed accrescerne il colore.
Altre razze si coltivano sotto diversi nomi, che bisognerebbe ridurle, come dissi, ad una lingua di convenzione per intendersi. (18).
Non mancano alcuni amatori di fermentare il solo mosto delle uve bianche onere, per ottenere nel primo caso un vino limpido e chiaro come l' acqua, e nel secondo un vino chiaretto... (19).
Questi vini preparansi da altri con uve appassite sulla paglia, ed allora uniscono la dolcezza alla forza, o con uve muffite, il cui vino dicono d'uva marcia, che esige due o tre anni per defecarsi, e riesce gratissimo.
Estratto il vino dalle tine si colloca in botti adattate, più o meno grandi, fabbricate per la massima parte di rovere cerchiate di ferro.
Per le piccole botti usiamo eziandio il gelso, il castagno, il ginepro, ec.
Nelle colline dove la vite forma l'oggetto principale dell' agricoltore, usano tutta Ia cura per impedire, che le botti acquistino cattivo odore, non persuasi dell' inutilità dei segreti pubblicati per risanarle
(20).

Bisogna confessare, che i migliori vini dell'Agogna, hanno il difetto di depositare per molti anni, il che li rende di diffìcile trasporto; provai a cambiarli di botte per sei anni, e sempre depositarono materie impure tentai con altri amatori la defecazione con sostanze innocenti, ma senza effetto (21).
La pratica di distillate le vinaccie dopa sofferta la pressione per ottenere lo spirito di vino, si va estendendo ad ogni anno.
Si introdusse quella di inumidirle coll'acqua, per fare aceto, e ne abbiamo fabbriche discrete (22).
All'epoca del travasamento usiamo separare i vini da infiascare, i quali per essere meglio chiusi e difesi dall'aria, si conserrano per moltissimi anni...; io ho bevuti degli eccellenti vini novaresi infiascati da dieci e quindici anni. (23).

Le malattìe proprie dei nostri vini sono l'acidità, e lo svaporamento della parte spiritosa, conosciuto coi nomi di marino, dimatto, di svanito... basta aggiungere per ogni brenta novarese di vino, il quarto di un boccale di spirito ben ratificato, e ciò al principio di giugno, per conservarli nel loro stato naturale (24).

(1) Capitolo XXIII del trattato di resa della città di Novara dopo l'assedio del 1448, in Carlo Morbio, Storia della città e diocesi di Novara, Novara 1841, pag. 162.
(2) 212 Unum etiamnum genus est medium inter hoc et propaginem, totas supplantandi in terram vites cuneisque findendi et in sulcos plures simul ex una propagandi, gracilitate singularum firmata circumligatis hastilibus nec recisis, qui a lateribus excurrant, pampinis. Novariensis agricola, traducum turba non contentus nec copia ramorum, inpositis etiamnum patibulis palmites circumvolvit; itaque praeter soli vitia cultura quoque torva fiunt vina. in Gaius Plinius Secundus, Naturalis Historia, Liber XVII.
(3) Lazzaro Agostino Cotta, Corografia della riviera di San Giulio a cura di Carlo Carena, Rotary club Borgomanero, Roma 1981.
(4) Luigi De Bartolomeis, Notizie topografiche e statistiche sugli stati sardi..., Torino 1843, pag. 850.
(5) Giovanni Biroli, Georgica del Dipartimento dell'Agogna, Rasario, Novara 1809, pag. 32.
(6) Giovanni Biroli, Georgica del Dipartimento dell'Agogna, Rasario, Novara 1809, pag. 33.
(7) Ludwig Von Welden, Descrizione Della Riviera D'Orta, Verona 1837.
(8) Lorenzo Fantini, Monografia sulla Viticoltura ed Enologia della Provincia di Cuneo, 1879.
(9) Cenni di statistica mineralogica degli stati di S. M. il Re di Sardegna ovvero catalogo ragionato della raccolta formatasi presso l'azienda generale dell'interno per cura di Vincenzo Barelli capo di sezione dell'azienda stessa, Torino 1835, pag. 414.
(10) Giuseppe Luigi de Bartolomeis, Notizie topografiche e statistiche sugli stati Sardi, dedicate a S.S.R.M. Carlo Alberto : opera preceduta dalle teorie generali sulle statistiche e speciali alle riconoscenze militari, Torino 1840-47, vol. III, pag. 850.
(11) Angelo Fara, La Riviera di S. Giulio Orta e Gozzano: Trattenimento Storico, Merati, Novara 1861, nota (1) pag. 19.
(12) Mario Soldati, Romanzi brevi e racconti, Mondadori, Milano 2009, «Gli anni di Corconio», pag. XCVII.
(13) Goffredo Casalis, Dizionario geografico storico statistico commerciale degli Stati del re di Sardegna., Vol. XII, Torino 1841, pag. 93.
(14) Adriano Balbi, Compendio di geografia ..., tomo I, Torino 1840, pag. 671.
(15) Angelo Fara, La Riviera di S. Giulio Orta e Gozzano: Trattenimento Storico Merati, Novara 1861, pagg. 20-21.
(16) Angelo Fara, La Riviera di S. Giulio Orta e Gozzano: Trattenimento Storico Merati, Novara 1861, pag. 20.
(17) Trattato di agricoltura del medico Giovanni Biroli, Mezzotti e Vercellotti, Novara 1811, pag. 105.
(18) Trattato di agricoltura del medico Giovanni Biroli, Mezzotti e Vercellotti, Novara 1811, pag. 134.
(19) Trattato di agricoltura del medico Giovanni Biroli, Mezzotti e Vercellotti, Novara 1811, pag. 137.
(20) Trattato di agricoltura del medico Giovanni Biroli, Mezzotti e Vercellotti, Novara 1811, pag. 138.
(21) Trattato di agricoltura del medico Giovanni Biroli, Mezzotti e Vercellotti, Novara 1811, pagg. 139-140.
(22) Trattato di agricoltura del medico Giovanni Biroli, Mezzotti e Vercellotti, Novara 1811, pag. 140.
(23) Trattato di agricoltura del medico Giovanni Biroli, Mezzotti e Vercellotti, Novara 1811, pag. 141.
(24) Trattato di agricoltura del medico Giovanni Biroli, Mezzotti e Vercellotti, Novara 1811, pag. 142.



Vitigni Autoctoni

Nel 1300 si parla di un vitigno chiamato Belna (25) - nome romano di Beaune - forse il Pinot nero o il Gamay, della Varenca uva tipica del lago d’Orta, di Pignoli e del Neretto”.
Il notaio Elia Olina di Orta nel '500 cita, «uva da vino del Sassina e la spanna del prato di Crabbia, quella del Monte d'Orta, quella di Pettenasco».
Rinaldo Comba ipotizza come sia molto probabile che la sua denominazione non indichi tanto un vitigno particolare - questo vino è prodotto con il Nebbiolo novarese - quanto un metodo di coltivazione ed allevamento, cioè la potatura molto corta, appunto lunga una spanna.
Negli Statuti di Petinasci del 1433 sono evidenziate alcune prescrizioni, tra le quali quella che condannava i cani all'arresto forzato in casa da agosto ad ottobre per conservare intatta l'uva nelle vigne.
Da un documento de vico Petinasco che elenca legati dal 1622 in avanti, si indicano quali allora fossero i beni posseduti dalla Parrocchiale e dalla Confraternita di S. Spirito.
Vi si trovano tra gli altri: un campo di vigna, dove si dice a Portigaro, un campo di vigna, dove si dice alla Canossa un campo di vigna, dove si dice al campo della chiesa, un campo con vigna bianca nel territorio di Crabbia, dove si dice al Capopiano, un campo con vigna rossa nel territorio di Lunelio, ove sorge una torre-casaforte che si vuole appartenuta alla regina longobarda Teodolinda.

Di seguito un elenco dei vitigni piemontesi seicenteschi: Agostenga, Brazolata, Callorio, Cascarolo, Cortese, Erbalus, Grignolato, Guernazza, Malvasia nostrale, Malvasia moscato, Moscatello nostrale, Nebbiol bianco, Passola bianca, Uccellino, Varenca, tra i bianchi, e Avanale, Barbera, Cario, Castagnazza, Dolcetto, Freisa, Grignolino, Grisa maggior, Grisa minor, Mauzana, Mostoso, Nebiol, Nebiol Milanese, Neretto, Nereau, Rossetto, tra i rossi.
Importanti informazioni sulla viticoltura dell’Ottocento ci giungono dal medico Lorenzo Francesco Gatta, socio libero della Reale Società Agraria di Torino che cita la presenza di un gran numero di varietà denominate sovente con nomi diversi in località differenti (26).
Pulliat, nel "Mille variétés de vignes" descrisse i due vitigni ("Balsamina" e "Uva rara") come indipendenti fra loro (27).

Comunque, il Molon adottò il nome di "Bonarda di Gattinara", aggiungendo che potrebbe anche accettarsi quello di "Bonarda novarese" (28).
Le scarse conoscenze sul loro effettivo valore enologico avevano spinto le autorità ad istituire nel 1872 le Commissioni Ampelografiche Provinciali, coordinate da un Comitato Ampelografico centrale.
Il loro compito era tentare di riordinare il coacervo di nomi e sinonimi che regnava tra i vitigni: ne risultarono censiti 130 a Novara.
Anche ammettendo la ridondanza dei sinonimi rimane una diversità veramente ragguardevole per numero di cultivi resistenti nei vigneti piemontesi, di cui la stragrande maggioranza di origine locale.
Sotto il nome di Bonarda senz'altre aggiunte, questo vitigno è stato accuratamente descritto fra i vitigni novaresi (tale descrizione è stata letteralmente riportata dal Molon nel Bullettino Ampelografico del 1879 in un'ampia relazione, presentata dallo stesso di Rovasenda, sui lavori della Commissione ampelografica della prov. di Novara; mentre in un «Elenco dei vitigni della prov. di Pavia», pubblicato nello stesso Bullettino Ampelografico del 1881 figura talora sotto il nome di "Bonarda", tal'altra sotto quello di Rara o Rairone (29).
Nel Catalogo ragionato di una «Mostra d'uve» tenuta in Como nell'ottobre 1890 per cura di quella Commissione Ampelografica provinciale esso figura come Uva rara nel Circondario di Varese, Bonarda di Gattinara, Orianella, Balsamina in alcuni paesi del Novarese.

E potremmo continuare per dimostrare quanto i due nomi d'Uva rara e di Bonarda siano stati e vengano tuttora largamente usati per indicare lo stesso vitigno.
Ma poiché il nome di Bonarda è attribuito a svariati vitigni, più o meno analoghi fra loro, non sembra giustificato adottarlo anche per questo, che dalla vera Bonarda si differenzia nettamente.
Riteniamo quindi che il nome di questo vitigno debba essere quello di Uva rara.
Su molti pendii, esposti a mezzodì, è ancora ben visibile il terrazzamento fatto per la coltivazione della vite, per lo più del tipo americano (localmente detta mericaàn) dalla quale si ricavava un vinello di non elevata gradazione, ma di un gusto e sapore particolari, sottile e frizzante....
Del commercio familiare del vino si trova traccia negli Statuti della Riviera all'articolo XLVI: De vino insula et Orta et...; i vitigni di uva nera vespolina, negrona, trebbiana, soprattutto i vitigni di borgognona, successivamente portata a Gattinara dove ottenne maggior fortuna, produssero grandi ricchezze agli abitanti locali.
Grazie all’esposizione soleggiata delle dolci colline, la viticoltura ritrova in queste zone lunghe tradizioni antichissime che, proprio grazie al microclima particolarmente favorevole e al terreno di origine morenica hanno potuto svilupparsi e fiorire.

Concludiamo con un pezzo tratto da La Riviera d’Orta di Ludwig von Welden:Possa la breve mia narrazione eccitare qualche amatore della natura a visitare quel si poco conosciuto angolo del nostro globo, ognuno, ne son sicuro, sarà della mia opinione.
Il tempo in cui la Riviera è frequentata dai suoi possessori è nei mesi di maggio e di giugno a motivo della coltivazione dei bachi di seta, che molto è diffusa e con vantaggio alla parte d’oriente, ma maggiormente nell'autunno, in cui la vendemmia, la caccia, l’uccellagione ed il soave clima trattiene di spesso sino al dicembre quei possidenti nelle proprie ville, sicché il viaggiatore può in questa stagione esser sicuro di trovarvi accoglienza ospitale
.

(25) Biàuna o Biona: è la medievale Belna diffusa in molte aree del Piemonte. Era un'uva rossa aromatica assai apprezzata, affine al Pelaverga di Saluzzo e al Cari. In Astesana è documentata fino alla metà del Seicento, risultando piuttosto apprezzata, poi scompare, forse a causa di un cambiamento di nome o dell'affermazione di un sinonimo. Alla fine del Settecento risulta ancora coltivata nel Vercellese; in Irene Gaddo, La vite e il vino nell’Astigiano: storia e cultura: Repertorio di fonti e strumenti di studio, Torino 2013, pag. 54.
(26) Lorenzo Gatta, «Saggio intorno alle viti e sui vini della Valle d’Aosta», in Memorie della Reale Società Agraria vol. XI, Torino 1838.
(27) Victor Pulliat, Mille variétés de vignes: description et synonymies, Montpellier 1888.
(28) Girolamo Molon, Ampelografia. Descrizione delle migliori varietà di viti per uve da vino, uve da tavola, portainnesti e produttori diretti, Milano 1906.
(29) Bullettino ampelografico del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. Direzione Generale dell'Agricoltura, Roma 1875-1881, poi Bollettino ampelografico, Roma 1881-1887.