Note e documenti

La Società Archeologica per il Museo Patrio Novarese

di Silvana Bartoli

Fu costituita nel 1874, a detta del Viglio (1), come "sorella minore" della Società di Antichità e Belle Arti di Torino.
A questa infatti si erano rivolti i membri promotori del sodalizio novarese per informazioni e consigli, ricevendone un caldo incoraggiamento a proseguire nel loro intento.
I rapporti tra le due società si mantennero sempre ottimi; anzi, in varie occasioni il Promis, membro della Commissione Ordinatrice per l'Arte antica, di Torino, ebbe modo di esprimere apprezzamento per la pregevole raccolta che andava operando la Società novarese, invitata da parte della commissione stessa a fornire un elenco di oggetti da esporre nella mostra torinese di Belle Arti in occasione del V Congresso Artistico (2).
Lo stesso direttore del Museo Nazionale di Torino fu invitato ad esaminare i materiali che avrebbero dovuto essere collocati nel Museo (3), e dal canto suo la Società di Antichità e Belle Arti di Torino si era premurata di inviare ai novaresi una copia del proprio statuto (4).

L'epoca era caratterizzata dal fervore degli studi storico-archeologici: lo dimostra anche il fatto che negli stessi anni sorgeva a Milano la Società Storica Lombarda (5), presieduta da Cesare Cantù, tra i cui soci fondatori figurava anche il novarese Carlo Morbio (6).
La prima assemblea generale della nostra Società ebbe luogo il 27 novembre 1874 (esiste una copia originale della convocazione, a firma Caire, datata 17 novembre 1874, «per le sette in casa Bettini, corso di Porta Milano 25»).
Alla presidenza venne nominato l'ing. Fassò, insegnante di geometria pratica presso l'Istituto Tecnico di Novara (7).

Lo statuto (v. Appendice II) definito nel corso dell'assemblea, venne distribuito con la circolare del 6 dicembre 1874, inviata al Prefetto ed ai giornali, riportata poi integralmente da La Vedetta, n. 50, il giornale che si dimostrò sempre attento alle vicende culturali della città (8).
I redattori, plaudendo al numero e alla qualità dei soci, si auguravano che il municipio facesse buon viso a questa impresa cittadina finalizzata a conservare le memorie «del nobile comune di Novara».
Seguiva un rapido excursus sulla storia di Novara e dei suoi più insigni monumenti, onde dimostrare che giusto era l'intento della nuova società di creare un museo archeologico, raccogliendo, conservando e facendo conoscere gli oggetti antichi che potessero contribuire alla ricostruzione della storia della città e del suo territorio.
Perciò era sentita come prioritaria la necessità di un museo nel quale collocare gli oggetti che fossero pervenuti alla città come dono o per acquisto.
I soci più esperti sarebbero stati delegati a raccogliere tutte le informazioni sul ritrovamento, anche casuale, di oggetti antichi, onde evitare la dispersione del patrimonio archeologico. La prima sede della società fu stabilita in casa Bettini.
I soci fondatori, 29 in tutto, versavano una quota associativa di 70 lire (si consideri che 25 lire costava un quintale di riso!): un sodalizio decisamente elitario dunque, tenendo anche presente che per farne parte era indispensabile la presentazione di tre soci e l'accettazione a scrutinio segreto con due terzi dei voti.

Gli anni dal 1874 al 1879 furono fecondi di attività. Testimonianza della vivacità di interessi suscitati, almeno inizialmente, dalla Società Archeologica sono i numerosi articoli che quasi ogni sabato comparivano su La Vedetta.
Il 25 gennaio 1875, in prima pagina, viene dato grande risalto all'acquisto, fatto dalla Società Archeologica, di una pergamena del XII secolo: si tratta della convenzione stipulata il 12 marzo 1167 tra i conti di Biandrate e i 12 consoli della comunità.
Con tale convenzione i conti, spaventati, come il Barbarossa, dalla Lega che si andava organizzando, cercavano di assicurarsi la fedeltà dei loro vassalli garantendo gli stessi privilegi che avevano loro concesso un secolo prima.
Segue una dotta dissertazione sulle origini del nome Biandrate; i redattori concludono con grandi parole di plauso per la Società Archeologica perché la pergamena ritrovata contiene notizie fino a quel momento sconosciute.
Né sfuggono all'attenzione de La Vedetta anche attività d'altro genere: sul numero del 19 giugno 1875 troviamo il resoconto del pranzo sociale svoltosi il giorno 13 presso l'albergo Italia.
Pranzo eccellente, molta allegria e lettura di una poesia in vernacolo dell'avvocato Rusconi sullo scopo della Società in rapporto alle origini di Novara (9).
Il 26 marzo 1876 si ha invece un ampio resoconto di una visita presso i locali del nascente museo archeologico, considerato uno dei risultati più importanti ottenuti in tempi brevi dalla società.
I locali erano situati nel Palazzo del Mercato.
All'elenco dei vari oggetti esposti, con un riferimento preciso al luogo del loro rinvenimento, il cronista aggiunge un accenno alle fusaiole: «L'uso a cui servivano tali oggetti è ancora ignoto anche dopo le ultime scoperte fatte da Schleimenn (sic) sul luogo dell'antica città di Troia dove se ne rinvenne qualche migliaio d'ogni dimensione».
Leggiamo in vari articoli successivi numerosi elenchi di oggetti donati alla società per il museo, e in data 25 novembre 1876 apprendiamo che «la società archeologica ha trasportato i suoi penati in casa Formica alias Dominioni»; e il 13 gennaio 1877 il Prefetto visita i nuovi locali e constata che il museo potrà essere aperto al pubblico in breve tempo (10).
Ed ancora, il Prefetto, unitamente al Consiglio direttivo della Società Archeologica, invita calorosamente tutti i soci all'assemblea del successivo giorno 21, durante la quale, tra le altre cose, si nomina presidente onorario della Società Carlo Morbio (11), e viene affrontato il problema riguardante l'apertura del museo, subordinata al benestare del Municipio che fino a quel momento ha ignorato l'attività della Società Archeologica.

I redattori de La Vedetta si chiedono se il Municipio vorrà aprire gli occhi sull'opportunità che gli si offre di ereditare (12) poi un patrimonio raccolto dalla buona volontà di 67 cittadini, o se vorrà continuare ad ignorare l'esistenza della sola «istituzione novarese che al municipio non costa un centesimo».
Finalmente, dopo solleciti della Società e pressioni de La Vedetta, il Municipio si convince della serietà e della utilità dell'associazione e decide di assumerne il patrocinio assegnandole un contributo annuale (13) ed invitandola a delegare due dei suoi membri più illustri, il cav. Omar e il cav. Cesare Morbio, perché facciano parte dell'amministrazione (nel 1890, 13 gennaio: Caire e Massazza).

Il 14 ottobre 1877 le sale del Museo Archeologico vengono aperte al pubblico in occasione della festa in onore dei soci del Club Alpino Italiano, sez. di Varallo.
È singolare però che solo La Vedetta si sia preoccupata di riportare la notizia, mentre Il Corriere di Novara, pur descrivendo minuziosamente la festa degli Alpini e l'illuminazione del Palazzo del Mercato e i fuochi d'artificio, ignori totalmente l'apertura del Museo (14), nonostante in varie occasioni abbia citato alcuni membri della Società Archeologica per la loro competenza in materia storica.
Stesso disinteresse da parte de Il Progresso, che successivamente corre ai ripari, col numero del 21 ottobre, riferendo della visita fatta dagli alpinisti, riunitisi a Novara, presso le sale del Museo Patrio dove furono accolti dal Rusconi, dal Caire e dal Fassò (15).

Forse è proprio questo disinteresse dei principali organi di stampa che ci permette di capire come mai la Società Archeologica, dopo inizi entusiastici, si sia avviata verso l'estinzione: probabilmente si rivolgeva ad un pubblico poco disposto a prestare orecchio alla voce di gente «che discorre con le nuvole» (16).
Forse anche qualche inconveniente iniziale fu sottovalutato dai soci: mi sembra interessante qui riportare un articolo apparso sul giornale milanese La Fama (17) e firmato dall'avvocato Pier Ambrogio Curti presidente della Società Archeologica di Milano.
Dopo le solite parole di plauso per la nascita della Società Archeologica di Novara, il che dimostra - dice - «che i buoni studi non sono affatto negletti e che i giornali non hanno usurpato il posto che dovrebbero avere i buoni libri», continua esprimendo il proprio compiacimento per aver riscontrato, tra i membri della Società, nomi già chiari nella scienza archeologica e paleografica (Morbio - Caire - Tettoni - Rusconi).
Ed aggiunge alcune sue osservazioni: dapprima, la Società avrebbe dovuto ampliare la sfera della propria influenza; non limitandosi alla raccolta di oggetti finalizzati alla formazione di un museo che servisse unicamente alla storia novarese; così facendo si è data un ambito troppo ristretto, il che finirà per tener lontani possibili interessati agli studi storico-archeologici.
In un secondo difetto, secondo il Curti, incorre lo Statuto, che non fa cenno di convocazioni sociali per rendiconti, limitando questo diritto di consulta a soli sei membri, anziché estenderlo a tutti i soci, il che avrebbe permesso una gestione alla luce del sole, invogliando anche altri ad entrare nella Società.

L'interesse per gli studi storico-archeologici - lo si è detto - non era, in quegli anni, un fatto solo novarese, anche per l'entusiasmo allora suscitato dai successi dello Schliemann a Troia e a Micene.
Ne fu sensibile anche il Prefetto della Provincia, il quale, impartendo ai vari Comuni istruzioni ministeriali, avvertiva i Sindaci dell'esistenza della Società Archeologica sottolineando l'opportunità di far riferimento ad essa per qualsiasi ritrovamento (18).
Inoltre il Municipio e la Commissione per la conservazione dei monumenti (19) affidarono alla Società l'incarico di riferire sull'importanza della Torre delle Ore e sul Palazzo Pretorio al fine di eventuali restauri (20).
La risposta non si fece attendere.
Già nel giugno del 1878 la Società era in grado di riferire sulle condizioni dei due monumenti sollecitando interventi urgenti per il Palazzo Pretorio.
La Torre delle Ore invece, secondo i membri della Società, «è spoglia di ogni importanza storica e di ogni pregio d'arte, non merita quindi l'onore né di un restauro né quello di venire trasmessa alle future generazioni» (21).

Il 15 luglio alla Società venne affidato il compito ufficiale di compilate l'inventario dei monumenti e la bibliografia archeologica del circondario.
Nonostante un bilancio morale e materiale decisamente positivo, si rileva che nel 1879 il numero dei soci è già in diminuzione: dai 72 iniziali si è passati a 68: diminuzione sicuramente minima ma non irrilevante, in quanto può essere considerata come sintomo di un impatto non proprio felice in un ambiente forse impreparato.
La Società sembra avere esaurito lo slancio iniziale; ma, a mio avviso, per capire il rapporto tra la Società Archeologica e la realtà sociale e culturale, nella quale la stessa avrebbe dovuto agire, non va sottovalutato neppure il fatto che per Il Corriere di Novara essa non abbia mai fatto notizia.
Nel secondo quinquennio la parabola discendente si dimostra irreversibile nonostante l'assidua propaganda dei soci, nonostante l'interessamento personale del Vescovo, mons. Stanislao Eula, che offre un suo contributo personale di 100 lire e invita i parroci della diocesi a mettersi in contatto con la Società per la tutela e la conservazione dei beni artistici a loro affidati (22).
I problemi però sono sempre più concreti: difficile rendere regolare l'apertura del Museo, difficile trovare una sala dignitosa per le collezioni che sono state sistemate in casa Serra nel 1876.
Finalmente nel 1883 vengono concessi alcuni locali nel Palazzo del Mercato accanto alle sale della Biblioteca Civica. Dal 1885 il Museo resta aperto tutte le domeniche.
Nonostante questo risultato, che - come si è detto - sembrava realizzare la sfida alle istituzioni locali, l'esodo dei soci continua e in data 20 luglio 1890 (23) si ha la riunione dei soci per decidere lo scioglimento del sodalizio.
Viene attuato quanto previsto dal paragrafo 8 dell'art. V dello Statuto: in data 3 dicembre 1890 il sindaco Conelli, l'avv. Finazzi, presidente dell'amministrazione della Biblioteca Civica, l'ing. Fassò si riuniscono per ratificare la consegna al Comune del patrimonio della ormai disciolta associazione; al momento, il Museo possiede oltre settecento oggetti archeologici provenienti da varie zone della provincia. Si tratta in gran parte di donazioni dovute all'interesse archeologico e culturale di circa duecento cittadini.
Il "grosso" delle donazioni (non soltanto oggetti di interesse archeologico ma anche manoscritti, pergamene, libri, ecc.) risale al primo quinquennio (1874-1879), cioè al periodo di maggior vitalità del sodalizio.
L'elenco degli oggetti raccolti dalla società Archeologica è contenuto nel Registro Doni, conservato presso gli uffici del Museo Civico, sul quale sono riportate in ordine cronologico tutte le acquisizioni e donazioni che hanno contribuito a formare il primo nucleo del patrimonio del Museo.

Mi sembra significativo evidenziare ancora una volta che nessuna traccia di tutta questa operazione compare nei resoconti delle sedute del Consiglio comunale riportati su Il Corriere di Novara. La Società è nata, ha operato ed è morta senza che il principale organo di stampa cittadino se ne sia accorto.

(1) Bollettino Storico per la Provincia di Novara, IX (1917), p. 109.
(2) Archivio di Stato di Novara, [ASN], fondo Museo, cartella 102: lettera del 2 febbraio 1880. Il 18 febbraio 1880 il presidente della Società Archeologica si premurò di inviare l'elenco richiesto e subito arrivò la risposta della commissione ordinatrice che comunicava di aver scelto i seguenti oggetti: 1) due lastre di ferro cesellate, niellate ed ageminate di proprietà del Museo archeologico novarese; 2) trittico grecobizantino in bassorilievo, di proprietà del cav. Pietro Caire; 3) due pianete: una di Bernardo da Mentone, l'altra con stemma visconteo, di proprietà del duomo di Novara, come anche 4) una croce scolpita in legno, 5) un messale del 1470, 6) un dittico romano.
(3) Cfr. il periodico La Vedetta, 17 febbraio 1877.
(4) ASN, f. Museo, cart. 102.
(5) La notizia è riportata su La Vedetta del 10 gennaio 1874. Anche la Società Storica Lombarda inviò ai novaresi una copia del proprio statuto (v. nota 4).
(6) È conservata una lettera di C. Morbio, da Milano, del maggio 1874 in cui, plaudendo all'iniziativa di creare anche in Novara una società archeologica, si dichiara pronto a diventarne socio fondatore, accludendo la sua quota di 70 lire (ASN, ibid.).
(7) Elenco dei soci fondatori in Appendice I.
(8) Già La Vedetta, n. 47, aveva avuto modo di occuparsi della società. Citando lo statuto, il giornale aveva anche lodato il fatto che tale società fosse sorta esclusivamente per iniziativa privata «senza ricorrere ai soliti auspici delle autorità locali», quasi a sfidare coloro che vorrebbero che le autorità locali provvedessero a tutto.
(9) L'archeologo Antonio Rusconi stava scrivendo in quegli stessi anni "un fantasioso" libro su Le Origini Novaresi (R. Capra, Novara, ed. a cura del Rotary Club, Novara 1962, p. 90) di cui La Vedetta ritornerà spesso ad occuparsi.
(10) I Prefetto comunicò poi le sue impressioni al Ministro della P.I. il quale rispose con una lettera di plauso e d'elogio (6 marzo 1880 - ASN, ibid.).
(11) In ricordo della nomina L. G. Prina miniò e scrisse in caratteri gotici un diploma (Appendice III) di cui in ASN esistono 6 copie fotolitografiche eseguite dal sig. Tarantola.
(12) Art. 5, par. 8 dello Statuto.
(13) La Vedetta, 14 luglio 1877.
(14) Il Corriere di Novara, 15 ottobre 1877.
(15) Il Progresso, 21 ottobre 1877.
(16) Cfr. nota 1.
(17) La Fama, 3 febbraio 1875
(18) ASN, ibid.: 1° novembre 1877, Circolare del Prefetto di Novara contenente copia della circolare del Ministero della P.I. - Direzione generale degli scavi d'antichità - avente per oggetto una Bibliografia archeologica italiana.
1° febbraio 1878 - Circolare del prefetto di Novara contenente copia della circolare del Ministero della P.I. avente per oggetto l'inventario dei Monumenti e oggetti d'arte e di antichità.
Esso, di norma, dovrà essere compilato in due parti distinte e separate, l'una per i Monumenti e oggetti archeologici anteriori alla caduta dell'impero romano, l'altra per i monumenti e oggetti medievali posteriori a quell'epoca.
Il patrimonio archeologico va ripartito in Monumenti stabili e oggetti mobili:
per entrambi è richiesta una descrizione esatta, indicando l'ubicazione, il nome del proprietario, la citazione delle opere che ne abbiano già parlato, lo stato presente di conservazione.
Per gli oggetti mobili medioevali si richiede, oltre alla descrizione esatta dell'oggetto, la materia della quale è composto, le misure, il peso, il fac-simile o la copia se si tratta di iscrizioni, cifre, stemmi o emblemi, l'autore dell'opera (se lo si conosce), se è di proprietà pubblica o privata, la località in cui trovasi esposto.
L'inventario dovrà poi essere firmato dagli addetti ai lavori, o in mancanza di questi o in caso di rifiuto, da due testimoni; in duplice copia: una da conservare presso la commissione, l'altra da spedire al ministero.
(19) La Vedetta, 27 gennaio 1877, riporta la notizia della creazione di una commissione conservatrice dei monumenti ed oggetti d'arte e d'antichità per la provincia di Novara, di cui fa parte il dott. Pietro Caire.
(20) ASN, ibid. : 2 maggio 1878, in due lettere indirizzate al Fassò il Sindaco invita la Società Archeologica a raccogliere notizie sulla Torre delle Ore e sul Palazzo Pretorio.
(21) ASN, ibid.: rapporto del giugno 1878; v. Appendice IV.
(22) ASN, ibid.: biglietto autografo d'accompagno alla somma offerta.
(23) ASN, ibid.: verbale di riunione.
Tutto il materiale raccolto dalla Società, e già conservato nel Museo Archeologico, venne consegnato al Comune, unitamente al patrimonio finanziario: una rendita di 335 lire.
Il Comune doveva impegnarsi a utilizzare il tutto in modo conforme agli scopi per cui la Società era nata ed aveva istituito il Museo Archeologico, che dal giorno della cessione divenne Civico.
I fondi lasciati al Comune per il Museo dimostrano che gli ex-membri della associazione avevano qualche preoccupazione per il futuro del Museo stesso: si premurarono infatti di sottolineare l'importanza del materiale raccolto, mettendo in rilievo soprattutto la scarsità di mezzi con cui avevano lavorato.
Sottolineavano inoltre che nonostante il fallimento, l'apporto dato dalla Società Archeologica alla ricostruzione della storia di Novara era comunque lodevole, in quanto precedentemente la memoria storica della città era stata gestita solamente da cultori solitari.



...ed altre Società ancora...

Gli svaghi culturali della buona borghesia cittadina nella seconda metà del secolo scorso avevano come punto di riferimento alcune società con denominatore comune lo scopo di offrire trattenimenti "onesti e costumati".
Di due delle dette società purtroppo non è stato possibile rintracciare alcun documento ma solo testimonianze sparse.
La Società dei Cinquanta sorta verso la metà del 1867, secondo quanto emerge dai verbali di alcune adunanze (24), nacque con il preciso scopo di offrire a una ristretta élite, non più di cinquanta soci appunto, svaghi artistici e culturali consistenti prevalentemente in rappresentazioni teatrali.
Una delle preoccupazioni principali dei soci era infatti quella di reperire locali in cui collocare gli scenari e gli allestimenti che servivano per tali rappresentazioni, alle quali erano ammessi «i membri tutti della famiglia dei soci purché conviventi con essi, nonché gli ascendenti e discendenti; i suoceri, i cognati, i fratelli e le sorelle dei soci sono liberamente ammessi nelle sale della Società quantunque non conviventi con i medesimi» (25).
Direttore della Società era il cav. Sigismondo Suini, la tassa annuale d'iscrizione era di lire 10.
Per regolamento i trattenimenti offerti dalla Società dovevano aver luogo quando fossero chiusi i teatri cittadini, compresa la Società del Casino.
L'elenco dei soci per l'anno 1867 (26) permette di verificare che si trattava di professionisti, ufficiali, aristocratici, un teologo: Ercole Marietti; insomma un gruppo di novaresi che cercavano, attraverso questo sodalizio, di ingannare la noia e la sonnolenza di una città di provincia.
Ancor meno consistenti le notizie sulla Società della Grana nella quale troviamo parecchi nominativi già presenti nella Società dei Cinquanta.
Per meglio evidenziare l'impronta culturale i "Granisti" firmavano i loro componimenti poetici con il proprio nome latinizzato, ad es. Johannes Baptista de Lostiis (avv. Lostia), Thomas de Angelibus (giudice de Angelis), Gaudentius Cairibus (avv. G. Caire), Aurerum Gippinus (avv. G. Orero), Ferdinandus de Monalibus (march. Ferdinando Buglione di Monale).
L'attività principale dei Granisti consisteva nel festeggiare onomastici e compleanni dei soci tra i quali vi era anche il sacerdote Ercole Marietti, l'"architetto in sottana" - come lo definì l'Antonelli - all'epoca rettore del Collegio Gallarini.
Tra i non pochi meriti che i Granisti riconoscevano al Marietti (oltre ad essere un valente architetto, fu anche appassionato di pittura, di fotografia e si entusiasmò per i primi caratteristici velocipedi a ruota molto alta, secondo le testimonianze dei contemporanei) vi era anche quello di possedere una cantina ben fornita e generosamente aperta ai soci.
Ben più consistenti e utili per fornire un panorama culturale della Novara di fine Ottocento sono le notizie riguardanti il Club Unione, i cui documenti sono conservati presso l'attuale sede del circolo e affidati alla pietas del geometra Ernesto Bazzano.
Per meglio cogliere la fisionomia del Club Unione conviene rifarsi alle origini.

Nel 1833 sorse la Società del Casino della città di Novara con l'approvazione di sua maestà Carlo Alberto e con l'indispensabile imprimatur ecclesiastico del Vescovo. La tassa d'iscrizione era di lire cento, mentre la tassa annuale era di 36 lire piemontesi.
Le finalità che il sodalizio si proponeva erano essenzialmente «conversazioni amichevoli e leciti intrattenimenti».
Membri di diritto erano: il vescovo, il governatore della Divisione, il generale comandante della brigata di guarnigione, il comandante della città e provincia, il capo di stato maggiore, il comandante dei carabinieri, l'intendente generale della Divisione, il prefetto, l'avvocato fiscale presso il regio tribunale di prefettura.
La sede della Società era al primo piano del teatro dei "Cavalieri associati" che nel 1873 venne intitolato a Carlo Coccia, illustre musicista che per oltre trent'anni era stato maestro di cappella in cattedrale.
Le sale erano aperte ordinariamente dalle nove del mattino alle undici pomeridiane ed erano destinate a conversazione, giochi leciti, lettura di fogli politici, scientifici e letterari permessi nei regi stati.
L'art. 8 dello statuto imponeva ai soci di «astenersi da quei discorsi ed argomenti che potessero dar motivo di ragionevole censura».
I trattenimenti sociali previsti dal regolamento consistevano in «feste da ballo, accademie ed altri simili» (art. 99); inoltre, secondo quanto afferma l'art. 100, erano contemplate due feste danzanti nel carnevale e un trattenimento in occasione di ciascuna delle fiere di marzo, agosto e novembre.
È interessante ricordare che nel luglio del 1854, inaugurandosi la linea ferroviaria Alessandria-Novara, che portò in città il primo treno, la festa da ballo offerta dal Municipio in onore del duca e della duchessa di Genova, intervenuti alla cerimonia, si tenne nelle sale della Società del Casino.
L'associazione viene ricordata nelle Monografie novaresi da Giorgio Imazio, e definita la «Società dei guanti gialli per il suo ambiente e per le sue tradizioni» (27).
Era infatti esclusiva, per una élite nobiliare: motivo per cui, verosimilmente, ad essa si contrappose il Circolo Commerciale fondato il 1° settembre 1865 da «giovanetti addetti al commercio, come luogo di ritrovo senza apparato per offrire sollievo nelle ore di riposo».
I cento soci, che in breve lo animarono, si dedicavano a interessi prevalentemente artistici: «Si trattava di un mondo spigliato che piaceva anche ai guanti gialli del Casino», commentava l'Imazio.
I soci del Circolo Commerciale si facevano vanto di lasciare spazio per tutti i ceti, in quanto il sodalizio voleva essere specchio dello sviluppo della vita cittadina; ed effettivamente in varie occasioni ebbero modo di dimostrare la loro sensibilità per i problemi dei ceti meno abbienti.
Leggiamo nelle citate Monografie che, ad esempio, nel 1867 infuriando l'epidemia di colera, il Circolo organizzò una lotteria che fruttò ottomila lire e «la riconoscenza di ottomila benedizioni dal cuore dei tapini cui venne distribuito il soccorso provvidenziale»; come pure nell'inondazione del 1868 organizzò una fiera che fruttò altre settemila lire distribuite in beneficenza.
La sede del Circolo era inizialmente a Palazzo Natta, poi si trasferì al pianoterra di Palazzo Bellini ed ebbe una vita prospera e brillante fino al 1876, anno in cui 111 soci defezionarono.
Nella loro prima adunanza secessionista, il 14 maggio 1876 presso l'albergo Italia, l'avv. Cerutti volle chiarire i motivi che avevano determinato il distacco; dal verbale di seduta è sostanzialmente spiegato il motivo di tanta incompatibilità: «Il Circolo Commerciale è sorto per iniziativa dei commercianti e vi ebbe il battesimo del nome.
I commercianti ci tengono ad averne l'amministrazione, non disapprovano le idee altrui, anzi, svegli e intelligenti come sono, le approvano, ma le dicono estranee ai loro bisogni e ai loro intendimenti. Ma noi non siamo commercianti; le tendenze nostre non sono soltanto quelle dei commercianti: ne abbiamo di proprie
» (28).

Un'offerta di aggregazione avanzata dalla Società del Casino venne declinata dai secessionisti, perché convinti di potersi ritagliare un proprio spazio tra i commercianti del Circolo e gli aristocratici del Casino (29).
Decisero pertanto di fondare una nuova associazione col precipuo scopo di istruirsi a vicenda e favorire ogni idea buona, ogni utile istituzione, insomma tutto ciò che potesse andare ad onore e vantaggio di tutta la provincia.
Lo statuto della nuova società, che si sarebbe intitolata Club dell'Unione, prevedeva «amichevoli convegni ed oneste conversazioni»; pertanto, dal 1879, un decimo del totale delle quote sociali venne stanziato per l'abbonamento a diversi giornali (30).
Sin dalla stesura del primo statuto i soci si distinsero in "azionisti" - praticamente proprietari dei valori patrimoniali dell'associazione -, "ordinari" e "annuali": categorie motivate dal fatto che, essendo frequente a Novara il transito di reggimenti, si voleva dare la possibilità agli ufficiali di passaggio di usufruire degli svaghi offerti dal Club.
Per i primi sei mesi di vita la sede fu presso l'albergo Tre Re, ubicato allora in corso Cavour, dove attualmente si è stabilito il magazzino dell'Upim; nel 1877 gli Unionisti si trasferirono nella casa degli eredi Desanti (Casa Bossi) affittandone tutto il pianoterra, compreso il giardino.
Il primo contratto d'affitto per gli anni dal 1877 al 1886 prevedeva un canone annuo di lire 1150 (circa 4.000.000 attuali).
Il contratto venne poi rinnovato fino al 1895 col sig. Carlo Bossi per un importo annuo di lire 1600 (poco più di 6.000.000).
Il periodo di Casa Bossi fu indubbiamente caratterizzato da una particolare vitalità e vivacità culturale del circolo che nel 1895 raggiunse i trecento associati confluiti anche dalla Società del Casino e dal Circolo Commerciale.
L'Unione di anno in anno divenne così il punto di riferimento quasi obbligato per l'organizzazione delle varie attività culturali in città.
Ad esempio, tutti i concerti organizzati dal Circolo musicale di Novara, particolarmente vitale in quegli anni, venivano eseguiti presso il Club dell'Unione, come è attestato da vari biglietti d'invito datati dal 1879.
A cominciare da tale anno, inoltre, il Club andava offrendo ai suoi soci trattenimenti musicali in tutte le domeniche di giugno, luglio e agosto, oltre alle solite veglie danzanti in occasione del carnevale.
Uno dei motivi per cui il Circolo Musicale utilizzò spesso per i suoi concerti la sede del Club dell'Unione è che molti dei maggiorenti novaresi facevano parte di entrambe le associazioni; ed ai molti settimanali italiani ed esteri, ai quali - come si è detto - si era abbonato il Club dell'Unione, fu aggiunta anche la Gazzetta musicale che veniva pubblicata a Milano.
Il Club si dimostrò attento a mantenere sempre rapporti di buon vicinato con gli altri sodalizi culturali e di svago: oltre a frequenti scambi di inviti con il Circolo Commerciale, da un verbale del 1889 risulta che il Club aveva offerto un contributo alla Società di Belle Arti di Torino iscrivendosi alla Società stessa.
Aveva peraltro già aderito con entusiasmo a parecchie iniziative, quali le sottoscrizioni per l'erezione del monumento a Vittorio Emanuele II nel 1878 e a Garibaldi nel 1882.
Nel dicembre dell'85 fu anche deliberata l'adesione all'iniziativa filantropica della Croce Rossa con un contributo di lire 15 annue, che andavano ad aggiungersi alle 10 lire versate regolarmente per aiutare gli scrofolosi poveri di Novara.
Né le innovazioni tecnologiche lasciavano indifferenti gli Unionisti: nel 1888 la Società Anonima Cooperativa per la luce elettrica avanzò il primo progetto per l'uso dell'elettricità nelle sale del Club e nel gennaio del 1894 alcune di esse furono provviste di illuminazione elettrica pur continuandosi a rinnovare il contratto per la fornitura di "gaz" illuminante.
Nel 1894 gli Unionisti trasferirono la propria sede al primo piano del nuovo teatro Coccia, inaugurato - come è risaputo - il 22 dicembre 1888 con la rappresentazione de Gli Ugonotti di Meyerbeer, diretta dal ventenne Arturo Toscanini.
L'affitto veniva pagato alla "delegazione del Teatro Coccia" che era la Società dei Palchettisti, per quei locali che originariamente erano il ridotto del teatro: esiste ancora un passaggio che collega l'atrio dei palchi d'onore al Club.
Poiché le stagioni liriche del Coccia costituivano il più importante appuntamento culturale che animava la vita della città nei mesi invernali, il Club dell'Unione visse di riflesso lo splendore dell'epoca d'oro del Coccia.
Particolarmente attiva fu la collaborazione con circoli affini, sorti, più o meno negli stessi anni, in altre città: il Circolo Sociale Biellese, il Circolo Ricreativo di Vercelli, la Società Filarmonica di Casale, la Società del Giardino e il Circolo dell'Unione di Milano.
Si venne instaurando una specie di mutua assistenza tra codesti circoli, dei quali ognuno ben volentieri offriva ospitalità ai membri degli altri sodalizi, che fossero di passaggio nelle rispettive città.
Gli anni tra il 1874 e il 1890 sono caratterizzati dal clima di fermento culturale che avvivò la città di Novara sul finire del secolo.
È in tale periodo infatti che nacque e fu vitale la Società Archeologica, prodotto di un substrato particolarmente fertile, come dimostra il numero e l'attività dei vari circoli allora esistenti.

Se è facile capire come e perché ebbe origine un sodalizio dagli interessi precisi e mirati, assai più difficile è cogliere le ragioni della sua fine.
Confrontando gli elenchi degli iscritti si constata l'esistenza di un travaso dall'una all'altra società, il che farebbe supporre una discreta omogeneità o confluenza di interessi.
Però nel contempo ci sorprende ad esempio che il Club dell'Unione, sicuramente il più influente in quegli anni, offra un contributo finanziario alla Società di Belle Arti di Torino proprio mentre la Società Archeologica si sta estinguendo.
Probabilmente finalità ed interessi troppo specifici di alcune società e di conseguenza l'ambito troppo ristretto nel quale, per elezione, si chiudevano, ne determinavano la fine.
O può essere anche - è forse il caso della Società Archeologica - che dietro la facciata di probi custodi del patrimonio e delle tradizioni cittadine si celasse invece una indiscriminata volontà elitaria, atteggiamento riscontrabile ancora oggi, anche se poi associato al rammarico per la scarsa partecipazione alle varie iniziative culturali.

(24) G. Imazio, «Teatri e Circoli», in Monografie Novaresi, Tip. Miglio, Novara 1877.
(25) G. Imazio, ibid.
(26) A. Aspesi, «Memorie novaresi del secolo scorso, (le Società dei Cinquanta e della Grana)», in BSPN, LIII (1964) fasc. 2° p. 3 ss.
(27) G. Imazio, op. cit., p. 331.
(28) Vedi verbale del 14 maggio 1876 conservato presso la sede del Club dell'Unione.
(29) La Società del Casino cessò di esistere nel 1886 quando venne demolito il vecchio teatro Coccia, come risulta da un verbale del 14-1-1887, in base al quale il presidente del Club dell'Unione nella sua relazione osserva che si potrebbe assumere come cameriere presso il Club la persona che già aveva ricoperto le stesse mansioni presso la disciolta società.
(30) Il Diritto, L'Opinione, L'Illustrazione Italiana, La Gazzetta del Popolo di Torino, La Gazzetta Ufficiale, Il Secolo, La Gazzetta di Milano, L'Amministrazione Italiana, La Nuova Antologia, L'Esercito Italiano, La Riforma, La Perseveranza, Il Corriere della Sera, Il Fanfulla, Il Don Chisciotte, Il Pasquino, Il fischietto e la luna (quindicinale satirico-politico), Il Guerin Meschino, La Revue des deux Mondes, L'Illustration Française, Le Journal Amusant, La Nature, Uber Land und Meer. Come si vede dai titoli, si trattava di giornali che spaziavano tra i più svariati argomenti. Inoltre vanno ricordati i seguenti settimanali novaresi: Il Corriere di Novara, Il Savoia di Novara, L'Avvenire, Il Cittadino di Novara, La Vedetta (giornale dell'amministrazione provinciale), tenendo presente il fatto che molte comunicazioni ai soci venivano fatte attraverso i giornali locali.