Note e documenti

«Rusconi e la battaglia dell'Ariotta»

di Mario Crenna [in BSPN XCVII (2006)]

Dov'era il concetto nazionale?
Con tale precisa interrogazione il Rusconi intese estraniare la propria rievocazione storica della battaglia dell'Ariotta da qualsivoglia accentuazione irredentista di quel suo fine secolo.
Nessun concetto di italianità vi si può riscontrare: non nei Veneziani che si alleavano alla Francia per abbattere un principe nazionale; tantomeno in un pontefice che porgeva ajuto a questo principe [Massimiliano Sforza] per estendere il dominio temporale su Parma e Piacenza; non in codesto principe che, in compenso del ricuperato Ducato, staccava dall'Italia una porzione del suo territorio; era infine un Milanese Gian Giacomo Trivulzio, che guidava le galliche legioni a danno della patria sua. Dov'era il concetto nazionale?.

Una battaglia, quella dell'Ariotta combattuta sul suolo italiano, tra due eserciti egualmente stranieri, per libidine di conquista e gelosia di preponderanza: non altro che uno fra i tanti episodi i quali funestarono il nostro paese.

Tuttavia per il Rusconi, sotto altra angolazione, questo avvenimento guerresco del quale furono testimoni le mura della città nostra, quantunque sterile ne' risultati finali, rimarrà pur sempre memorabile ne' fasti militari: se da un lato denuncia quanta rovina possa addurre il valore viziato da spavalderia ed orgoglio, dall'altro esprime quanta potenza ne' pericoli possa risvegliare l'energia d'un solo coraggioso.
Da qui il rammarico dell'Autore che Novara abbia sepolto nell'oblio il bravo Jacob Mutti di Uri, cognominato Mottino, cui è dovuta la magnanima risoluzione di assalire nottetempo il campo francese e preservare la città nostra dal saccheggio e dalla devastazione, il quale soccombe sui campi stessi dell'Ariotta senza che una mano grata gli abbia elevato un ricordo, come giustamente fanno rimprovero gli scrittori della Svizzera.

Questa è proprio ingiustificabile dimenticanza alla quale dobbiamo rimediare; poiché, se il culto al valore è dovere per tutti, lo è ancor più pei Novaresi che ne trassero vantaggio e rinomanza.

Ai giorni nostri, almeno il folclore cittadino s'è impreziosito di una suggestiva ricostruzione scenica, di gestualità di uomini d'arme e di fragorose salve d'archibugi, seppure sia impensabile dimensionarla su quanto davvero accadde in quei primi giorni del giugno 1513.
Ed è quanto si potrà accertare dallo scritto del Rusconi (1).

La battaglia dell'Ariotta viene definita L'ultima battaglia del Medioevo (2); tale il titolo del volume dell'ing. Mario Troso (ed. Laguna, Mariano del Friuli, 2002): l'Autore, mediante accurati dettagli di dislocazione, di tecniche e fasi di combattimenti, di reparti e formazioni militari con relativo armamento chiarisce come un esercito (quello svizzero), costituito ancora esclusivamente di fanteria con armi in asta, sia stato in grado di sorprendere e battere l'avverso schieramento francese, strutturato in base a tutte le innovazioni belliche (reparti di fanteria pesante o lanzichenecchi, artiglieria, cavalleria pesante e leggera).

Rimasero sul terreno quasi diecimila morti, dei quali circa milletrecento svizzeri. Come ebbe "orrendamente" a poetare Trebellio Nicanore: ...squallent ex ossibus arva barbaricis... o quot membra virum Ticinus, quot corpora torquet vorticibus....

(1) Antonio Rusconi, Massimiliano Sforza e la battaglia dell'Ariotta : documenti inediti, Milano, F. Manini, 1885. Pubblicato in BSPN XCVII (2006), pagg. 477-541.
(2) Indichiamo qui il rimando al testo della conferenza tenuta dall'ing. Mario Troso in occasione dell'assemblea sociale del 28 novembre 2013.