Notiziario   [BSPN XXIII [1929] fasc. I - pp. 143-150]

La raccolta etnografica Ferrandi al Museo Civico.
Riassumiamo da un articolo pubblicato in L'Italia Giovane del 6 febbraio 1929 alcuni passi che si riferiscono più particolarmente al prezioso legato del Ferrandi e alla storia retrospettiva della raccolta che ora si trova al Museo Civico.

Il 22 ottobre 1889, l'avv. R. Tarella, Direttore della Biblioteca Civica, scriveva al Sindaco Conelli che «il signor Ugo Ferrandi, sulle mosse per un nuovo viaggio in Africa» gli aveva consegnato gli oggetti etnografici da lui offerti al Municipio e che «visto il gradimento del dono, fece intendere che lo accrescerà con nuovi acquisti e nuove spedizioni».

La suppellettile, accolta allora in una sala della Biblioteca Civica, rimase poi lungo tempo segregata e sconosciuta per le vicende poco liete del Museo, finché questo, sistemato e ordinato dal Morandi, venne riaperto al pubblico nel 1910. Allora la piccola raccolta di armi e di oggetti d'uso comune di alcune popolazioni dell'Abissinia e della Somalia, trovò la sua sede in una sala del Museo; ivi, arricchita più tardi da alcuni altri doni (sopravveste di un Ras abissino, bardatura del cavallo di Menelik, dipinti indigeni) del concittadino Generale Orero, rappresentò sempre una sezione visitata dal pubblico con viva curiosità e con speciale attenzione.

Dal 1889 son trascorsi quarant'anni; il viaggiatore avventuroso si era intanto trasformato in esploratore, diplomatico, governatore, e aveva dato prove di valore in ogni sua attività politica, morale e intellettuale.
Dall'Africa eritrea egli aveva portato in Italia, nei suoi primi viaggi, armi e oggetti varii donati appunto alla sua città nel 1889; ma, in seguito, la sua attività fu rivolta alla Somalia: ed è questa, sopratutto, la raccolta più organica e ricca, oggetto della sua attenzione particolare.

Certamente tutta questa suppellettile, per figurare degnamente avrebbe avuto bisogno di vetrine costruite appositnmente e della viva assistenza del Ferrandi stesso. In mancanza dell'una e dell'altra, ho tentato di dare a tutto il materiale, pervenuto al Museo un poco alla rinfusa, un primo ordinamento che potesse servire al pubblico per orientarsi nella sua visita e, nello stesso tempo, una disposizione che riducesse al minimo la confusione che nasce spesso dal vedere una gran quantità di oggetti radunati nello stesso luogo.
Il Comune non ha lesinato le spese necessario, prima nella persona del Commissario Sechi e ora in quella del Podestà Marchese Tornielli; sicché fu possibile destinare alla raccolta Ferrandi due sale appartale e luminose, nelle quali, si può ben dire, rivive tutta una esistenza spesa a conoscere, a conquistare, a incivilire un paese lontano, e si squaderna dinanzi agli occhi nostri, sotto i suoi molteplici, esotici, semibarbari aspetti, il paese stesso che l'Italia trasformerà in una colonia redditizia e civile. Quelle due sale costituiscono un piccolo museo nel museo: e non sfigurano accanto alle altre sale in cui si avvicendano le mostre, interessanti la storia e l'arte. Novara ha così anche un piccolo museo coloniale dotato di collezioni che erano ambite da società scientifiche, e che il Cittadino fedele ha voluto che restassero alla sua terra natale a cui era tenacemente affezionato. L'opera sua l'attiva, che contribuì potentemente ad assicurale all'Italia la colonia remota, donò alla Patria; i ricordi delle sue fatiche africane e i libri, i molti e preziosi libri ch'erano in sua delizia nel riposo della pacata vecchiaia, alla sua città, per i suoi concittadini.

Domenica prossima le due sale verranno aperte al pubblico; i Novaresi vedranno la suppellettile ordinata in una prima sistemazione che sarà più tardi perfezionata e completata; ma a ciò occorre un lavoro paziente e lento di revisione e di classificazione, che ora non poteva esser fatto per molte ragioni. Insieme agli oggetti africani, sono messi in mostra alcuni cimelii personali dell'Esploratore o donati o concessi in deposito dalla condiscendente bontà dei due fratelli dottori Agnelli, dilettissimi al Ferrandi.

Oggetti d'ornamento, e d'uso domestico, prodotti della povera ma non del tutto inelegante manifattura indigena, armi da offesa e da difesa, saggi di prodotti vegetali della Somalia, una raccolta litologica e mineralogica, uno splendido campione di naya velenosissima della Somalia, una grande testa d'ippopotamo di Lugli, pelli e stuoie: e poi, tra l'altro, il corno da caccia del Principe Ruspoli, suo compagno di fede e d'azione; una coppa d'onore offerta dagli ufficiali della guarnigione di Uddua all'audace esploratore della Somalia; frammenti d'un grande bolide caduto ai pozzi di Gossia e i fucili da caccia dell'Esploratore, le sue spade e le sue rivoltelle e tre grandi e due piccoli albums che raccolgono un ricco materiale fotografico dei viaggi del Ferrandi in diverse parti del mondo e specialmente della Somalia, e altro e altro.
In questa raccolta v'è dunque un po' dell'uomo e un po' della sua vita: v'è quanto basta per renderla preziosa ai suoi concittadini e agli Italiani.

Chi abbia letto quel volume tutto sostanza di fatti e bagliori di energia che è la sintesi della vita e dell'opera coloniale del Ferrandi, «Lugh - Emporio commerciale sul Giuba», trova in questa raccolta il materiale iconografico e la preparazione scientifica del libro.
Concludendo, il museo che fece compagnia agli ultimi anni del vecchio glorioso, è ora proprietà di tutti. L'inaugurazione avviene senza solennità, con questo semplice annunzio, che, forse, sarebbe giudicato dal silenzioso di via del Mercato anche più diffuso dello stretto necessario.

A[lessandro] V[iglio].

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Lo stemma della Città di Novara.
Per la storia retrospettiva dello stemma di Novara rimandiamo a quanto fu scritto in q. Bollettino (A. XX, Fasc. 2°, pag. 241).
Qui basti dire che per non esservi mai stato un Decreto che fissasse in modo perentorio e definitivo gli elementi accessorii di fregio allo scudo, lo stemma di Novara fu rappresentato di volta in volta nelle forme più bizzarre, pur conservando il rosso alla croce d'argento.
Con Decreto 24 ottobre 1928, A. VI, firmato B. Mussolini, la Città ha avuto ora il suo stemma (trascritto anche nei Registri della Consulta Araldica del Regno) di rosso alla croce d'argento contornato di due rami, di quercia a destra, d'alloro a sinistra, intrecciantisi e annodati con nastro di rosso sotto la punta. In capo, la corona turrita della città di provincia.

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Per la difesa delle aree intorno alle cerchia degli antichi bastioni.
L'Italia Giovane del 9 marzo corr. pubblicava questo comunicato:

Le voci corse della concessione da parte del Comune degli spazi ancora liberi lungo la cerchia degli antichi bastioni della città per la costruzione di nuovi edifici non hanno fondamento.
Sappiamo anzi che il Direttorio del Fascio di Novara ha espresso alla Podesteria il suo compiacimento per essersi dichiarata contraria alla fabbricazione di nuovi stabili nel prato della Fiera e adiacenze dell'allea, terreni questi che devono essere conservati a giardino e che saranno, al più presto possibile, sistemati in tale modo.
La notizia della concordanza di vedute del Direttorio del Fascio e dell'Amministrazione comunale rassicurerà quanti temono nuove strozzature attorno alle vecchie mura con grave ed irrimediabile danno per l'igiene e dissuaderà Enti e privati dal richiedere in concessione tal località per costruirvi abitazioni, ad evitare un sicuro diniego.

Il comunicato è, per i Novaresi intelligenti, di grande importanza e di qualche conforto. Noi ne prendiamo atto con vivissimo compiacimento e… senza false modestie. La decisione risponde a un progresso di idee che si è venuto affermando in questi ultimi anni e concretando in disposizioni di legge perentorie riguardanti la conservazione e il rispetto delle bellezze naturali e del paesaggio italiani. Viene un po' tardi, quando cioè della superba vista panoramica sulle Alpi che si godeva (e ora si gode soltanto a scacchi) dai bastioni della città si e fatto de populo barbaro.

Le muraglie-grattacielo sciabolanti l'aria per dritto e per traverso, in un caos veramente americano, si sono, da decenni, affannate a salire sempre più alte tra la città e la catena alpina per toglierci la soddisfazione di poter dire a noi stessi e agli stranieri che Novara possedeva una sua bellezza unica - forse - al mondo. Da una parte il Comune costruiva una specie di Osservatorio delle Alpi con relativo cannocchiale e gli artisti disegnavano le mille vette ergentisi all'orizzonte, dall'altra costruttori da strapazzo barricavano il cielo e imprigionavano la città, mormorante discreta e senza capacità e volontà di reagire.

Ora basta! Ma basta davvero, perché il tristo esempio ultimo non va più in là di poche settimane.
Ma perché basti davvero è necessario, a nostro modo di vedere, che siano prese serie garanzie. Anche nei passati tempi Sopraintendenti e Commissioni d'arte avevano consigliato, vietato, protestato. Ma che vale la parola davanti alle montagne di pietre accumulate? Verba volant. Bisogna che l'Ufficio Tecnico della città abbia una norma con valore di legge inviolabile per oggi e per domani e per sempre.

La Natura, e un poco gli uomini, ci hanno dato per nostra residenza un colle che s'alza in mezzo alla gran piana e domina e guarda lontano e respira l'aria che alita da ogni parte dell'orizzonte.
Che cosa v'è di più idiota che toglierci noi con le nostro mani questo dono divino di orizzonti e di panorami e rinserrarci, come prigionieri di antiche città medioevali, nell'ombra umida e aduggiante delle baracche che mollificano il nostro occhio assetato di luce e di bellezza.

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Anfore romane.
Negli scavi per le fondazioni del padiglione che l'Ospedale Maggiore sta costruendo sulla sua area in margine alla Piazza Bellini venne in luce un cumulo di frammenti di anfore romane gettati alla rinfusa in una buca le cui dimensioni non poterono essere stabilite. Una sola anfora fu estratta in discrete condizioni ma senza le anse e il peduncolo e una parte del fondo.

A[lessandro] V[iglio].

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Esplorazione della tomba dell'Abate Barbavara a Sannazzaro Sesia.
Antonio Barbavara, che resse l'Abbazia di Sannazzaro Sesia tra il 1429 e il 1468, lasciò particolare ricordo di sè colla costruzione della chiesa attuale, dei chiostri, delle torri e mura del castello.

Una lapide tombale, ora murata dalla parie del vangelo, lo indicava sepolto ai piedi dei gradini dell'altare maggiore, donde fu rimossa (come consta dalla tradizione di viventi) solo nel 1882 rompendo l'antico pavimento per sostituirvi l'attuale allo stesso piano.
Sebbene già si presumesse che, colla rimozione della lapide, il sepolcro fosse stato manomesso, tuttavia rimaneva la speranza che tale insigne mecenate dell'Arte e dell'agricoltura fosse stato composto in un sepolcro ben costrutto per forma e non privo di qualche documento che lo riguardasse.

Per questo, a cura del sig. Podestà del luogo, geom. Magro, il 6 marzo scorso, alla presenza del comm. Bertea, Sopraintendente ai Monumenti, del Prevosto di Biandrate delegato Arcivescovile, dell'Architetto Giovanni Lazanio, del prof. Lampugnani, Ispettore onorario per il circondario, dell'ing. Mario Rosina, membro del Comitato dei restauri dell'Abbazia, dei proff. Alessandro Viglio ed Oreste Scarzello per la Società Storica di Novara e del clero locale si sono fatte ricerche ai piedi dei gradini dell'altare maggiore.

Alla profondità di circa un metro si è rinvenuto infatti uno scheletro scomposto e frammisto a rottami di mattoni, calcinacci e terra con qualche tavellone in cotto. Immediatamente sotto si rinvennero lastroni di marmo bianco circondati di pezzi di marmo nero. Ciò che ha tratto alcuni a pensare che essi fossero un residuo del pavimento antico ed escludesse quindi la possibilità che lo scheletro fosse del Barbavara, tanto più in considerazione dell'assenza di tomba in buona costruzione.
Ma se la mancanza di documenti espliciti può lasciar adito al dubbio, è invece convinzione della maggior parte dei presenti che lo scheletro non potesse essere che quello del Barbavara.
Conforta infatti la loro convinzione l'aver trovato uno scheletro unico là dove fino al 1882 si trovava la lapide che doveva servire di sigillo sepolcrale. Uno scheletro poi in luogo sì privilegiato, quale è nel presbiterio avanti l'aitar maggiore, mentre consta che nella chiesa stessa esiste il sepolcro dei sacerdoti, dice chiaro che tal privilegio fu riservato al Fondatore della chiesa stessa.

L'assenza di un sepolcreto in buona costruzione la spiegano coloro che videro le tombe dei religiosi rinvenute negli scavi fatti nella galleria del chiostro. Tali tombe consistevano semplicemente in un muricciuolo dello spessore di dieci o dodici oentimetri ai fianchi del cadavere, elevato da terra trenta centimetri e coperto con tavelloni in cotto, collocati a schiena d'asino. Per ragione degli statuti della regola religiosa non avrà forse avuta anche il Barbavara una simile tomba? In questo caso è spiegabile che nel rimuovere la lapide tombale di peso non indifferente, sia stata rovinata la fragile costruzione.
Le lastre di marmo che si rinvennero sotto lo scheletro anziché un avanzo del pavimento antico (che certo non così ingenuamente avrebbero sotterrato) non poteva essere invece la piattaforma della tomba stessa? È quello che si accerterà quando si potrà procedere ad altri assaggi sotto il pavimento della chiesa come è nell'intenzione di questo Podestà.

Sannazzaro S., 28-11-29.
Don G. Perinotti.

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Museo Civico - Archivio Storico: 1928, acquisti e doni   [BSPN XXIII [1929] fasc. I - pp. 150-152]

Acquisti nel 1928.
1. — Collezione di circa 380 lastre-negative di opere d'arte del Novarese (dipinti, scolture, edifici monumentali) acquistate dal fotografo C. Anadone.
2. — Grande vetrina in noce scolpito (id. id.).
3. — Gugliermina G. F. e G. B., Lampugnani G.: Vette, pagg. 362, con 58 fotoincis. calcografìche f. t., Viassone ed., Ivrea, L. 135.
4. — (A) Bescapé: Novaria seu de Ecclesia Novariensi, Novariae, Sesalli, 1612;
        (B) Scritti pubblicati da Mons. Don Carlo Vescovo di Novara nel governo del suo Vescovato dall'anno 1593 fino al 1609, Sesalli, Novara 1609;
           (C) Il fatto d'arme del Tarro etc. insieme con l'assedio di Novara, di M. Alessandro Benedetti, tradotto per Messer Lodovico Domenichi, Gabriel Giolito De Ferrari, Venezia MDXLIX;
            (D) De Novariensi S. Gaudenlii Ecclesia etc. dissertata Joannis Mariae Francia, Casali MDCCXCIII;
      (E) Bianchetti E.: I Sepolcreti di Ornavasso. Testo e tavole, 2 voll., Torino, 1893.


Doni nel 1928.
1. — L. 300 della Banca Popolare Cooperativa, impiegate nell'acquisto di libri d'arte e di storia per la Biblioteca del Museo.
2. — Ascia di giadeite del neolitico trovata nella campagna intorno a Suno, presso l'Agogna; due vasetti unguentari romani; un pestello di granito per sale.
Dono deìl'avv. Gaspare Voli di Suno.
3. — Ritratto ad olio di O. F. Mossotti.
[Opera e dono del Pittore Dario Piazza di Carpignano Sesia.
4. — (A) Due scatole contenenti i pesi di saggio dell'oro e bilancella.
          (B) Bagliotti: Vita di S. Gaudenzio, Venezia, 1074.
          (C) Sigillo della Municipalità di Novara - Regno d'Italia;
Sigillo del Vice Consolato di Ragusa in Golfo di Spezia.
Dono del Notaio D. Colombo.
5. — Lettere 21 e Cartoline 21 di Padre Stefano Grosso all'avv. Bazzano di Novara. Ritratti 7 dello stesso. Lettere di diversi e appunti relativi alle onoranze a Padre Grosso e al suo busto al Liceo di Novara.
Dono del sig. Conte avv. Vittorio Tornielli di Vergano.
6. — Museo etnografico Ferrandi. Si tratta di una ricca suppellettile etnografica dello Scioa e più della Somalia italiana donata per testamento dall'esploratore novarese Ugo Ferrandi al Museo Civico della sua città. Tale suppellettile, riunita a quella altra volta donata dal F. al Museo, è stata ordinata in vetrine apposite in due sale del Museo Civico.
[Vedi notizie in altra parte del pres. fascicolo.
7. — (A) Borello e Tallone, Le carie dell'Archivio Comunale di Biella fino al 1379. Voghera, 1927-1928, 2 voll., pagg. 495-586;
        (B) Trucco, Antiche famiglie novesi. Vol. 1: La famiglia Cavanna, Novi Ligure 1927;
       (C) Bollea, Storia di Bricherasio. Cartario di Bricherasio, Tip. Cattaneo, Novara 1928, 2 voll., pag. 760+612;
         (D) Gribaudi, Il Piemonte nell'antichità classica. Saggio di corografia storica, Silvestrelli e Cappelletto, Torino 1928, pagg. 316.
Dono della Società Storica Subalpina.
8. — Fermi-Ottolenghi, Giuseppe Manfredi patriota e Magistrato piacentino,. Del Maino Ed., Piacenza 1927, pagg. 248 + CCXXVI.
Dono del signor Conte Salvator Giuseppe Manfredi.
9. — Vetrina con 11 grandi albums di firme di visitatoli della ex Cantina Porazzi.
Dono della Biblioteca Negroni, Civica.
10. — Frammenti di vasi romani già contenuti nel Museo lapidario di Suno.
Dono del Comune di Suno)..
11. — Riviste storieche e pubblicazioni periodiche di Società Scientifiche italiane.
Dono della Società Novarese e della Direzione del Bollettino Storico Novarese).


Museo Civico - Visite del 1928.
Il Museo fu aperto 40 domeniche; il numero totale dei visitatori, compresi quelli straordinarii (scolaresche, comitive, etc. dei giorni feriali) fu di 6834.

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Necrologi   [BSPN XXIII [1929] fasc. I - pp. 153-155]

Prof. C. E. Patrucco.
Grave lutto ha colpito fin dallo scorcio del novembre (1928) la Società Storica Subalpina. Il 28 di quel mese, ad Alessandria, dove insegnava Storia e Filosofìa da un ventennio circa, nel R. Liceo Plana, moriva vittima di un seri nido e più forte attacco apoplettico il dott. prof. Carlo Evasio Patrucco, vice presidente della Società Storica Subalpina.
Chi lo ha conosciuto studente fin dai banchi del Liceo e proprio del Liceo Gioberti di Torino nel triennio 1889-92 può dire meglio di altri delle sue prime inclinazioni allo studio della Storia. Fu di animo aperto, franco, audace, battagliero, anzichenò, e pronto a tutte le novità, sopratutto nel campo politico sociale. Noi. suoi condiscepoli, preconizzavamo di lui un professore di storielle discipline.
Studente di Università nel quadriennio 1892-96 fu del Gabotto, che allora era libero docente di letteratura italiana e di storia, alunno fedele, costante, tanto che la fondazione del Bollettino Storico Bibliografico Subalp. avvenuta nel 1896 accolse attorno al dotto e sapiente Maestro, il Patrucco insieme con il Tallone, il Barelli, il Colombo (A-lessandro), che non defezionarono mai; e del Maestro furono seguaci attivi, fedeli, discepoli e, più che alunni, amici devoti. Con questi sopratutto si fondò la Società Storica Subalpina, accolta di studiosi che collaborarono allo stesso Bollettino. Nella Biblioteca di questa Società, ricca ora di più che 100 volumi, il P. ebbe spesso a collaborare. Non intendo qui di stendere una compiuta ed esatta bibliografia dei suoi scritti: troppo lungo lavoro sarebbe, poi mi manca lo spazio; d'altro lato c'è già chi vi s'è accinto e presto sarà pubblicata. Cito solamente: Studi Pìnerolesi di quella Pinerolo a Lui assai cara, e dove iniziò nella Scuola Tecnica d'allora il suo insegnamento; poi Studi Eporediesi, pubblicati nell'occasione del Congresso Storico di Ivrea (1900) per la celebrazione del bimillenio di Eporedia, dedotta colonia Romana. Ricordo Studi Saluzzesi, Studi Valdostani: Le Carte dell'Abazia di Caramagna; I Saraceni in Piemonte e nelle Alpi Occidentali.
E recentemente s'era dato d'attorno alla preparazione - riuscitissima, poi, e superbamente compiuta - di una collana di scritti, tre volumi, per la celebrazione del IV Centenario della nascita del principe Sabaudo Emanuele Filiberto, ch'ebbe l'onore di presentare nelle mani di S. A. il Duca d'Aosta, duce della III Armata, Emanuele Filiberto, nella seduta inaugurale del Congresso storico Subalpino di Torino, il 3 settembre scorso.

Nel Bollettino Storico ebbe anche a colloborare, più d'una volta. E, se non erro, egli vi pubblicò la sua tesi di laurea in storia moderna: Il Principe Tommaso nelle Fiandre dando saggio di acume di mente, di fine sagacia nel risolvere certe questioni, benché non sempre accettabili ne siano state le conclusioni.
Seppe anche trovar tempo, pur tra le cure dell'insegnamento - cure non certo né lievi né brevi - di preparare quei Congressi Storici, di cui la morte del profess. Gabotto (1918) aveva interrotto l'annuo ritmo abituale. Fu cosìche sorsero per opera del P. i Congressi di Vercelli 11924); Pinerolo (1925); Alessandria (1926); Biella (1927) e Torino (1928). E già l'indefessità instancabile del compianto e rimpianto sempre collega stava preparanldo quello di Cuneo per il settembre di quest'anno… ah! Egli purtroppo non l'avrebbe veduto!…

All'antico condiscepolo, al valoroso collega, che l'arguzia pronta aveva sul labbro, non disgiunta talora da una lieve punta di satira mordace - la quale, tuttavia, non offendeva -; all'amico, e non delle ventura, che di lealtà, franchezza, talvolta rude, ma bonaria sempre era viva espressione, vada da queste colonne e da parte della Dilezione del Bollettino un sincero rimpianto, un accoralo vale!. Egli pure può esclamare col Venosino: Non omnis moriar, multaque pars mei vitabit Libitina.

P[ietro] Massia.

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Sac. F. Andenna.
È morto il nostro Socio, Sacerdote Federico Andenna, P.irroco di Pisnengo, quasi improvvisamente.
Rimpiangiamo da queste pagine che gli furono care, poiché anch'egli amò i nostri studii, la scomparsa immatura del buono e affezionato Amico.

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Notiziario   [BSPN XXIII [1929] fasc. III-IV - pp. 406-417]

L'assemblea della Società Storica Novarese
che doveva aver luogo in ottobre è stata rimandata per ragioni che saranno dette più tardi. Avrà però luogo senza dubbio nella prossima primavera, in un ambiente diverso dal solito e certo assai più suggestivo, con un ordine del giorno molto importante.

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Per Ugo Ferrandi.
La Società Storica Novarese, scomparso Ugo Ferrandi, aveva deliberato nel giugno 1929 di onorare degnamente l'illustre concittadino che aveva segnato un'orma nella storia coloniale d'Italia, facendosi propugnatrice di una proposta fatta da un suo socio il dott. Giuseppe Lampugnani, in una commossa e sostanziosa biografia del Ferrandi. Pubblichiamo la relazione contenuta nel verbale dell'adunanza del Consiglio Direttivo della Società Storica Novarese 16 giugno 1929 - A. VII.

Proposta di nuova denominazione geografica ufficiale: Lugh-Ferrandi. Ricordo della Patria a Ugo Ferrandi.
La Società Storica Novarese nell'intento di onorare il suo illustre Socio Ugo Ferrandi, scomparso ai vivi l'ottobre scorso, delibera di interessare l'illustre Podestà di Novara e le Autorità politiche e amministrative locali perché sia appoggiata la proposta presso il Governo del Regno di intitolare all'emporio commerciale di Lugh il nome di Ferrandi, accoppiando al nome indigeno quello del pioniere della colonizzazione italiana nell'Africa orientale; Lugh-Ferrandi.

Il nome del Ferrandi, benché l'uomo sia scomparso da poco e possa valere in contrario la disposizione di legge che fa osservare un'attesa decennale per denominazioni siffatte, è altamente degno di una eccezione poiché appartiene alla storia delle prime scoperte e dei primi eroismi come quello che è legato ai chiarissimi e santi di Bottego, Cecchi, Quirighetti, Ruspoli, Antinori, Giulietti, Piaggi, ecc. molti dei quali figurano sulle carte di Affrica per l'onore d'Italia.

Il nome del Ferrandi appartiene alla Storia. La pagina che egli scrisse a Lugh per esaltare il valore italiano fu nella vita di lui premiata con una medaglia d'argento al valor militare che, se accontentò la modestia dell'eroe schivo sempre di riconoscimenti, deve essere considerata dall'Italia d'oggi premio sproporzionato all'altezza ed alla immensa importanza del dono che Egli, solo bianco tra neri, diede alla Patria salvando uno dei caposaldi della nostra conquista dalle orde vittoriose degli Scioani, ebbri imbaldanziti dalle vittorie di Abba Carima e di altri siti il cui nome non pronunciamo, dolorosi troppi al nostro cuore d'Italiani.

L'epica resistenza di Ferrandi a Lugh nella vigilia di Natale del 1896 appartiene alla storia del valore, ma l'opera precedente e la successiva di lui è nelle pagine della storia della civilizzazione e della colonizzazione. Accanto all'episodio militare che ebbe tanti consimili nella vita del Ferrandi, che fu una guerriglia quotidiana, splende l'opera indefessa di osservatore studioso, di governatore giusto ed accorto, di esploratore audace e rotto a tutti gli accorgimenti.

Egli dopo avere imposto la nostra bandiera la seppe far prima temere poi venerare quindi amare. All'anarchia sostituisce l'impero della giustizia, alla precarissima sicurezza in vasto territorio fa seguire tranquillità, tra gli indigeni sostituisce la pace agli odi tradizionali e feroci. Fu dunque esploratore, conquistatore, governatore. È accanto a Bottego in gloria perché l'opera di questi sul fiume Orno fu integrata dal Ferrandi nell'emporio di Lugh. L'Orno apartiene alla geografìa, Lugh alla vera azione coloniale.

Il Ferrandi, uomo di alto intelletto e di azione valorosissima, ha diritto ad un monumento e l'Italia coloniale glie ne è debitrice. Monumento non di bronzo o di marmi, ma quotidianamente proclamato, lanciato nell'aria dalla voce e dal cuore degli uomini ogni attimo, dappertutto, da noi, dagli stranieri, dagli indigeni. L'Italia ponga i nomi santi ai luoghi di tappa delle nostre ascensioni italiche: questo sarà auspicio di gloria e di fortuna.

Accanto a Omo-Bottego sia sulle carte Lugh-Ferrandi; così si completi anche nella gloria quanto fu completato nella storia. Il fiume e la città, l'esplorazione e l'opera di civiltà abbiano l'epiteto dei due nomi fratelli.

La Società Storica Novarese ardisce di avanzare questa proposta che interpreta il sentimento ed il desiderio unanime dei novaresi alteri del loro grande concittadino.

Per il Consiglio Direttivo della Società Storica Novarese
Il Presidente: A[ntonio] Tadini.
Il Relatore: G[iuseppe] Lampugnani
Il Segretario: O[reste] Scarzello.


Dagli Atti della Società Storica Novarese: Verbale dell'adunanza del Consiglio Direttivo 16 giugno 1929 -VII E. F..

Per il tramite dell'Ill.mo Signor Podestà e di S. E. il Prefetto di Novara e col loro autorevole appoggio fu inoltrata la domanda a S. E. il Ministro delle Colonie. Intanto l'on. E. M. Gray fiancheggiava l'azione del Comune. S. E. il Prefetto in data 15 agosto 1929, comunicava la seguente lettera al Presidente della Società Storica Novarese:

lll.mo Signor Presidente Società Storica Novarese
Novara.
Mi è gradito comunicare a V. S. quanto il Ministero delle Colonie mi scrive nei riguardi della proposta Lugh-Ferrandi avanzata da codesta Società Storica Novarese.

«Ho ricevuto il pregiato foglio N. 1334 del 2 corr. m. con l'allegato voto di codesta Società Storica Novarese inteso ad onorare la memoria di Ugo Ferrandi, associando il suo nome a quello di Lugh. Sono favorevole all'accoglimento di siffatta proposta che ho sottoposta, per il parere, al Governatore della Colonia. Mi riservo ulteriore comunicazione in proposito. P. Ministro F. De Bono».

Il Prefetto: Baratono.

L'on. E. M. Gray, nella attuale tornata dei lavori parlamentari, ha rinnovato il voto che «al nome di Lugh, che vide il Ferrandi dalla giovinezza alla vecchiaia esploratore arditissimo e difensore eroico della Somalia» sia associato quello del nostro Concittadino.
Siamo certi che presto verrà il riconoscimento ufficiale.


Intanto il Comitato novarese per le onoranze al Ferrandi sta raccogliendo i fondi necessarii per condurre a compimento un'altra iniziativa: quella di donare al Palazzo del Governo della Somalia e al Museo Civico di Novara una copia in bronzo del bel medaglione che lo scultore Tandardini ha modellato per invito del Convegno Amici dell'Arte e della Società Storica Novarese. Confidiamo di condurre a termine il doveroso tributo di ricordo e di omaggio al nostro Ferrandi dentro l'anno 1930.

A[lessandro] V[iglio].

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Importante scoperta archeologica a Porta Milano.
Verso la metà del mese di settembre u. s. mentre si procedeva agli scavi per gettare le fondamenta dei pilastri destinati a sostenere il passaggio sovrastante la ferrovia di Porta Milano - nel terreno sottostante la cunetta, quasi nel tratto dove questa viene ad incrociarsi col Viale Alessandro Manzoni - gli operai addetti ai lavori di sterro incontrarono un ostacolo imprevisto. Era un'arca sepolcrale romana, che venne subito estratta e sommariamente ripulita: in seguito per disposizione di mons. cav. don Lino Cassani, ispettore onorario per i monumenti antichi, venne portata al Museo lapidario della Canonica, ove resterà conservata insieme alle altre colà già esistenti.

L'arca è in granito grigio, a grana irregolare, di qualità molto comune, il qual materiale si trova frequentemente impiegato negli antichi monumenti della nostra regione. La forma è prismatica rettangolare, internamente ed esternamente, la lavorazione molto semplice. Le dimensioni piuttosto piccole indicano che si tratta non propriamente di un sarcofago, destinato a contenere il cadavere intero, ma piuttosto di una cassa cineraria, nella quale si deponevano le ossa dopo la cremazione.

Le misure massime (altezza, larghezza, profondità antero-posteriore) sono le seguenti:
0.55 x 1.18 x 0.70 per l'esterno, 0.42 x 0.92 x 0.44 per l'interno; lo spessore medio delle pareti è di 15 centimetri circa.
Il coperchio naturalmente manca: inoltre l'arca è alquanto guasta da un foro e da due slabbrature semicircolari, fatte in tempi posteriori, per accomodarla ad uso di abbeveratoio per bestiame.
Nella facciata anteriore - entro la solita cornice rettangolare compresa tra due anse a triangoli verticalmente opposti - in bei caratteri, accuratamente incisi, ma molto corrosi e guasti anche per la qualità scadente del sasso, si legge la seguente iscrizione:

D M
C METTICI M F
LAMPES FILI PATRI
BENE MERENTI

Se la lettura non è molto facile, l'interpretazione è ovvia: Di(is) M(anibus) C(aii) Mettici M(arci) f(ilii) Lampes. Fili patri bene merenti.
È da notare che tanto il nome gentilizio Metticius quanto il cognomen Lampes non hanno raffronti in epigrafia.

Il secondo, evidentemente d'origine greca (i nomi greci erano molto comuni nelle nostre regioni e sono frequenti nelle epigrafi) ha conservato la desinenza del genitivo della lingua d'origine: oppure è considerato indeclinabile, appunto per la sua provenienza straniera.
La forma elegante e regolare delle lettere, che hanno quasi la stessa misura in altezza e in larghezza e la cura nell'inciderle dimostrano che l'età di questo monumento risale almeno al primo secolo dell'Impero. Si può quindi classificare tra i monumenti romani più antichi del Museo. La sua antichità relativa è ancora confermata dalle piccole dimensioni, perché le casse cinerarie piccole sono più antiche dei grandi sarcofaghi, di cui abbiamo parecchi esemplari nel Museo stesso.

Il guasto del sasso ha quasi totalmente asportato la M della prima riga e le M F finali della seconda: restano nondimeno tracce sufficienti a togliere ogni incertezza nella lettura.

Il rinvenimento di quest'arca ci suggerisce una considerazione piuttosto melanconica: mentre la regione novarese è notevolmente ricca di avanzi romani, nell'ultimo mezzo secolo il nostro Museo lapidario si è arricchito soltanto di due pezzi (quelli di Suno, portativi l'anno scorso, erano già scoperti e conosciuti). L'uno è un cippo votivo in granito ritrovato a Ghemme nella primavera del 1888, nel giardino dell'avv. Borsetti: l'altro una graziosa erma marmorea con iscrizione molto importante, scoperta nel 1905, nell'abbattimento dei resti delle fortificazioni spagnuole ad est della città, forse non lontano dal luogo dell'attuale ritrovamento. Ora è possibile che in cinquant'anni di vita così laboriosa ed intensa, con tante demolizioni e scavi e spostamenti di terreno, non sia venuto alla luce nessun altro monumento scritto, neppure frammentario? Ma chi se ne sarà curato? Dove saranno andati a finire? È bello esaltarsi nel ricordo della grandezza di Roma: ma sarebbe pur bello che la nostra generazione, che si vanta di sentire il rinato senso di romanità, avesse un po' di cura dei resti gloriosi di quella grandezza, che la fortuna ci ha conservato e la nostra negligenza o ignora affatto o lascia rovinare irreparabilmente!

O[reste] Scarzello.

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Il restauro del Broletto.
L'opera procede alacremente e senza soste. Al momento in cui scriviamo sono restaurate le facciate del palazzetto del Podestà e del palazzetto vicino di ponente: la facciata dell'Arengo, verso mezzodì, è a buon punto. La scala dell'Arengheria è compiuta. Si lavora al compimento del vasto tetto e del soffitto del magnifico salone. Le previsioni sono eccellenti. L'Arengo sarà certo sistemato e inaugurato per l'ottobre dell'anno prossimo: gli altri edifici del Broletto saranno finiti molto prima e saranno già diventati Galleria Giannoni.

È notevole l'interesse grande, assiduo, appassionato della maggior parte della cittadinanza per questo lavoro nuovo e grandioso per Novara. Il cantiere è sempre affollato, al di qua dagli steccati, di visitatori quotidiani d'ogni classe sociale. Ne parlano volontieri i giornali: si sollecitano conferenze da Istituti. Il nostro Direttore è stato invitato a parlarne al Rolary Club di Novara il 7 novembre scorso e il 14 dello stesso mese al Convegno Amici dell'Arte. Da S. E. il Prefetto al Segretario Federale cav. Calori, da S. E. il Senatore Rossini all'on. E. M. Gray, dai Direttori dei giornali locali, a ogni ordine di cittadini Novara ha dimostrato il suo vivo interesse all'argomento trattato: Il Palazzo dell'Arengo e i suoi costruttori.
L'Italia Giovane del 16 novembre ha riprodotti con molta ampiezza i punti principali della conferenza.
È notevole, nello stesso giornale, a cui va data lode di svolgere un'opera intelligente a vantaggio d'una maggior diffusione della coltura novarese, l'articolo pubblicato il 9 ottobre corr.: Una visita ai lavori del Broletto, di cui riportiamo qui alcuni passi notevoli. A proposito del pittore Bonomi, chiamato dal Sopra Intendente Bertea e dalla Podesteria a dirigere i lavori di restauro pittorico degli edifici il giornale scrive:

Il comm. Bertea ha subito, con calde parole di approvazione, elogiata l'idea inspiratrice del Bonomi e l'opera da lui compiuta. Il Bonomi è un artista istintivo, ricco, multiforme. Pittore e scultore, ha conseguito trionfi in grandi mostre e ha visto opere sue salire agli onori di gallerie e di palazzi italiani e stranieri. Qui ha avuto modo di dimostrare come sente il restauro. Lo sente come oggi è sentito dai migliori intenditori di così delicato genere di arte. Rigoroso rispetto di ciò che fu fatto dagli antichi; nessuna intrusione di elementi nuovi: fusione di tinta là dove si produssero guasti, in modo da non creare stridori e disarmonie; patinare le aree deserte in modo che non lascino vedere la loro nudità desolata, e s'accostino, nelle nuances, ai colori antichi dell'affresco primitivo. In questi criterii ha avuto il pienissimo, entusiastico consenso del comm. Bertea e di tutti i membri della Commissione. E su questo non c'è più nulla a dire, poiché si è sulla strada maestra. Il Bonomi, che ha al suo attivo altre opere consimili, completerà così il restauro in perfetta armonia e collaborazione con l'architetto e con la Sopra Intendenza.

Nella gran sala dell'Arengo, guardando e ammirando le poderose opere, il cronista-poeta si sente inspirato a un volo lirico:

Ed eccoci nella vasta sala dei Credenziarii. Le gigantesche travi di più che 12 metri di lunghezza si ergono l'una contro l'altra, in incavallature veramente formidabili: quell'altissimo soffitto che si vedrà in tutta la sua semplicità grandiosa sopra le alte nude pareti di cotto incute veramente un senso di profondo rispetto per le lontane generazioni che seppero dare alla loro libertà e alla loro giovanile potenza tanto respiro e tanta saldezza. Chiudendo gli occhi, proviamo a immaginarci, fra un anno, in questo solenne palazzo restaurato. E così, per passatempo, richiamiamo alla memoria certe frasi spiritose di simpatici oziosi ben pasciuti, che agli inviti della bellezza e della poesia oppongono la dura cuticagna dell'ippopotamo e sentiamo tutta la loro miserabile stupidità: e ci paiono, lo loro parole, lo squittio dei topolini nella maestà di questo tempio.

La sistemazione della Galleria Giannoni sarà fatta quasi certamente fra due o tre mesi al più tardi. L'impianto dei termosifoni è compiuto: restano i pavimenti e le tappezzerie già scelte. Sarà un ambiente suggestivo veramente per ciò che fu e per ciò che sarà nel prossimo avvenire.

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S. Nazaro della Costa.
Il nostro numero speciale dedicato al bel Convento novarese ci procurò molte recensioni critiche favorevoli nei giornali cittadini.
I lavori di restauro procedono ora con la meditata consapevolezza dell'importanza del restauro: la facciata è pressoché compiuta: in primavera il pittore Bonomi, chiamato dalla Sopra Intendenza e dal Padre Guardiano del Convento a collaborare con l'architetto Lazanio, provvederà al restauro degli affreschi superstiti e a una sistemazione decorativa severa e intonata al luogo.
I Padri Cappuccini, che già abitano il Convento, lavorano alacremente e con schietto entusiasmo a trovare i mezzi sufficienti perché il restauro riesca in tutto degno di quello che fu il passato del monumento.
Resta la sistemazione del Sagrato, delle strade di accesso, del Parco della Rimembranza nobilmente pensato e voluto dal Senatore Rossini e dalla Podesteria. Speriamo di veder tutto in ordine per la primavera prossima.
Se la nostra parola potesse avere qualche efficacia vorremmo raccomandare ai nostri Amici, dotati di beni di fortuna, di aiutare la nobilissima impresa, da cui trarranno argomento di giusto orgoglio per aver restituito alla città un bell'edificio storico e artistico, per aver dato ai Caduti una prova provata di vera profonda riconoscenza, e alla Religione dei nostri padri una delle chiese più spiritualmente suggestive di Novara.

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Denominazioni di vie.
La via fiancheggiante a nord l'Istituto dei Salesiani intitolata ora al pittore G. B. Crespi, detto il Cerano, in omaggio alla recente beatificazione del grande apostolo dei Salesiani, verrà intitolata al BEATO GIOVANNI BOSCO.
La ricorrenza della beatificazione di Don Bosco assume così grande importanza nella storia della vita religiosa e civile del nostro Paese, che merita bene che venga consacrata anche a Novara in un modo tangibile, anche perché a Novara l'Opera Salesiana ha dato e darà pure cospicui frutti di bene sociale; d'altra parte il nome del pittore G. B. Crespi, in considerazione di una più razionale distribuzione e denominazione delle vie, può intitolare una delle vie nuovamente aperte nel quartiere assegnato al nome degli artisti.

La via Maretta (nome privato) vena denominata VIA G. GIBELLINI TORNIELLI BONIPERTI Scrittore - Amministratore (1828-1874).
Del Gibellini-Tornielli-Boniperti parla il Finazzi nelle sue Biografie Novaresi (pag. 66) lodandone l'ingegno artistico, l'impulso dato alla fondazione dell'Istituto musicale cittadino, l'amore per gli studi economici, filosofici, storici; l'opera coraggiosa da lui esplicata come Sindaco durante l'occupazione austriaca del '59; le alte cariche occupate nel Comune, nella Provincia, nel Parlamento.

Alla via fiancheggiante da mezzodì l'attuale Prato della Fiera, continuazione di via Alcarotti, verrà dato anche il nome di VIA ALCAROTTI poiché non sembra opportuno spezzare in due parti, con due diversi nomi, una via diritta e di non lunghe proporzioni.

Alla via attualmente designata coi nomi privati Ferrante Bottacchi, sarà dato il nome di un concittadino che ha illustrato sulla cattedra universitaria e in pubblicazioni di alto valore le scienze fisiche e matematiche: Giacinto Morera. Numerose memorie gettano luce vivida sulla figura di questo novarese troppo dimenticato. VIA GIACINTO MORERA, fisico-matematico (1866-1900).

Due vie che si aprono in una zona che va acquistando una singolare importanza, sia per l'impulso che vi prenderanno le costruzioni edilizie, sia perché ivi sta risorgendo a nuova vita un antico monumento della religione e dell'arte, il Convento di S. Nazaro della Costa, e si sta creando il grande Parco della Rimembranza, ricorderanno due Santi il cui nome è legato al monumento francescano e cioè: S. Nazaro della Costa che é il Santo titolare della Chiesa, e S. Bernardino da Siena che é il restauratore di essa e il fondatore del Convento francescano a mezzo il sec. XV.
Al primo verrà intitolata la via fiancheggiante da sud l'Ospedale militare e scendente ai piedi del colle su cui sorge il monumento, al secondo quella che, fiancheggiando da est l'Ospedale, porta all'antica ascesa dei frati. I cartelli indicatori recheranno la seguente indicazione: VIA S. NAZARO DELLA COSTA e VIA S. BERNARDINO DA SIENA (1380-1444).

Altre due vie della stessa zona verranno denominate VIA GEREMIA BONOMELLI, Vescovo-Patriota (1831-1914) e VIA S. ADALGISO (sec. IX d. Cr) 32° Vescovo di Novara e restauratore e potenziatore della Chiesa Novarese, propagatore dell'istruzione nel nostro territorio nel secolo nono, il cui corpo fu recentemente (1927), con grande solennità, trasferito nell'altare magnifico che gli avi nostri da gran tempo gli hanno preparato.

Alla via parallela a Via C. Albucio Silone, può essere imposto il nome di un antico cittadino novarese, che ebbe importanti cariche militari e municipali, di cui ci resta nel Museo Lapidario una bellissima lapide che ne consacra le cariche e l'opera a beneficio di Novara, con la costruzione di un grande bagno fatto a sue spese, e venire quindi denominata VIA C. VALERIO PANSA, Benefattore (sec. II d. Cr.).

Una nuova via aperta nella zona dedicata al ricordo delle battaglie della grande guerra, verrà denominata VIA MONTE S. MICHELE, mentre la trasversale che collega l'arteria per Turbigo a quella per Trecate verrà denominata VIA ANDRiEA FALCONE, Benefattore (1854-1012), per ricordare un novarese che nominò sua erede universale la Congregazione di Carità di Novara per la costruzione di un Ricovero per la vecchiaia in Vignale.

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Restauro di un quadro del Procaccini.

Salussola

La fastosa Madonna del Rosario di Giulio Cesare Procaccini con San Pietro Martire e S. Caterina da Siena, della chiesa del Rosario, è stata recentemente restaurata per iniziativa del Parroco e a spese di benemeriti devoti. Il restauro fu compiuto a Venezia nello studio del prof. Bardelli e sotto la sorveglianza della R. Sopra Intendenza alle Gallerie del Piemonte. Pubblichiamo, per gentile concessione del Parroco don L. Ferrari, la riproduzione della nobile opera d'arte, uno dei gioielli troppo ignorati delle nostre Chiese.

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A Mons. Angiolo Gambaro.
nostro conterraneo, nostro socio e ottimo amico, i più vivi rallegramenti per la bella vittoria conseguita recentemente dalla sua opera in due volumi: Riforma religiosa nel Carteggio inedito di Raffaello Lambruschini (vol. I, Introduzione, pagg. 423, Torino, Paravia, 1924; vol. II, Carteggio religioso e appendice, pagg. 403, Torino, Paravia, 1926) cui fu assegnato dalla Reale Accademia delle Scienze di Torino il premio di Fondazione Gautieri per la filosofia.
Crediamo che valga più di tutti i nostri elogi il brano della relazione della Commissione giudicatrice (costituita da G. De Sanctis, L. Einaudi, A. Faggi, G. Solmi, G. Vidari) che riguarda il giudizio conclusivo sull'opera del Gambaro: L'importanza scientifica della pubblicazione del Gambaro, che è anche frutto di lunghe, difficili, pazienti indagini compiute in varii archivi privati e pubblici, è stata unanimemente riconosciuta dalla critica, anche quando su taluni particolari di accertamento e di apprezzamento della figura, del pensiero e dei rapporti spirituali del L. ci potevano essere fra gli autorevoli recensenti dissensi e riserve.

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Al Dott. Mario Morengo
nostro socio promotore e carissimo amico i più vivi rallegramenti in occasione della sua nomina a Preside del R. Ginnasio di Mortara.

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Necrologie   [BSPN XXIII [1929] fasc. III-IV - pp. 418-424]


Con l'animo profondamente commosso annunciamo il recente gravissimo lutto della Società Storica Novarese. Il 19 dicembre 1929 è morto l'avvocato
ANTONIO TADINI
il nostro amato Presidente: l'uomo eccezionale per doti di mente e di cuore, per virtù cittadine, per modestia rarissima, che aveva diretto la nostra Società fin dal giorno di sua fondazione. È morto come un combattente: ai nostri studi attese fino agli ultimi giorni della sua laboriosa esistenza: questo numero stesso del Bollettino storico pubblica una parte della sua interessante monografia su Pietro Custodi, che purtroppo non vedremo compiuta. Il suo ricordo resterà in noi incancellabile, la sua memoria sarà un esempio e un incitamento. Alla desolatissima Consorte, ai Figli di Lui, in quest'ora angosciosa, insieme al compianto cordiale di tutti i buoni giungano le condoglianze speciali, vivissime della Società Storica.

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Gr. Uff. Avv. AMOS BRUGHERA
È morto il 31 maggio 1929 con largo compianto della cittadinanza. Egli aveva dato molta parte della sua attività alla direzione di associazioni patriottiche e ad iniziative pratiche di carattere cittadino.
All'avv. A. Brughera, che fu uno dei primi soci della Rivista il reverente nostro atto di omaggio e di compianto.

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Sac. GIOVANNI BAGNATI
Il rev. Canonico don Giovanni Bagnati, morto il 29 giugno, era una delle più caratteristiche, e simpatiche figure del clero novarese. Nato a Bellinzago nel 1849, fu da prima parroco zelante di S. Pietro Mosezzo, poi missionario apostolico e portò in tutta la diocesi la sua feconda attività come predicatore; eletto alla dignità canonicale nella nostra insigne basilica di S. Gaudenzio, si dedicò con fervore all'assistenza religiosa.
Nato dal popolo, del popolo aveva conservato le migliori qualità: la semplicità, la schiettezza, la dignitosa modestia. Della sua non comune coltura non faceva ostentazione: si applicava in particolar modo a quanto riguarda la basilica Gnudenziana nella sua storia, nelle sue tradizioni, e ne era l'archivista diligentissimo, sempre pronto alle richieste degli studiosi. Riordinò e fece il regesto della sezione musicale (interessantissima documentazione delle vicende storiche della Cappella Gaudenziana), contenente rare edizioni de' secoli XVI, XVII e XVIII, non che manoscritti e autografi d'illustri musicisti tra cui il novarese Giacomo Battistini al quale venne intitolata, recentemente, una via (presso il viale Roma).
Per merito delle sue ricerche storiche nell'archivio della basilica - corroborate da altre ricerche del prof. Viglio nell'archivio storico del Comune - fu possibile ideare e attuare felicemente il ripristino di un'antica tradizione molto cara a' novaresi: l'intervento de' rappresentanti del Comune alla festa patronale. Per la prima volta nella unificata Italia, si videro nel nostro S. Gaudenzio le autorità civili e militari, riunite in rappresentanza ufficiale, presenziare le sacre funzioni e ossequiare il vescovo; e i soldati della Patria prestar servizio d'onore nell'interno del tempio.
Era un sintomo significativo de' tempi nuovi, della benefica influenza che il Fascismo già cominciava a esercitare a favore del sentimento religioso: prodromo indiretto ma notevole dell'odierna conciliazione.
Arguto e piacevole nella conversazione tra amici intimi, il compianto canonico Bagnati seguì sempre - fin dall'inizio - con viva simpatia il rinnovamento fascista: in ogni occasione manifestava apertamente la sua grande ammirazione per il Duce. Ebbe, prima di morire, la consolazione di veder realizzato il sogno prediletto d'ogni buon cattolico e patriotta italiano.
Alla memoria del prissimo e virtuoso sacerdote vennero rese solenni onoranze dal Capitolo Gaudenziano, con numeroso intervento di amici ed ammiratori.

V[ito] Fedeli.

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CARLO MÜLLER.
II 14 luglio 1939, nel suo borgo predilettissimo, Intra, si spegneva, a 73 anni di età, il nostro Socio vitalizio, Carlo Müller, compianto dai suoi dieci figliuoli viventi e dalla numerosissima parentela. La sua lunga vita fu tutta dedita alla famiglia e agli studi storici. La famiglia educò, con quel sentimento della bontà e della disciplina patriarcale che va ormai scomparendo dalle consuetudini della moderna vita sociale, al culto della religione e della patria. E n'ebbe in compenso consolazioni numerose. I dolori inevitabili affrontò con animo virile. Quando la Compagna della sua vita lo lasciò troppo presto, nel momento stesso in cui sarebbe stato per lui soave conforto l'averla al fianco nella educazione della numerosa figliuolanza; quando uno dei figli cadde in combattimento nella guerra di redenzione, Egli, fortemente e serenamente rassegnato alla volontà di Dio, sostenne la dura prova e non smarrì la fiducia nella vita. Anima nutrita d'ideale, cercò e trovò conforto anche nei nostri studi prediletti e diede alla regione del Lago Maggiore, e più particolarmente all'Intrese, un numero considerevole di pubblicazioni interessanti la storia di tutti i secoli. Stile chiaro e pacato, ricerca paziente e coscienziosa, intuito sicuro, sono le doti particolari dello studioso. Mi piace ripetere qui le parole che scrissi di lui in questo Bollettino (1924, fasc. III), recensendo «Le mie memorie di collegio» da lui in quell'anno pubblicate:

il dotto editore di Statuti, lo storico diligente e acuto, con agile stile, con frase vivace e spiritosa fa qui la sua prova come narratore della sua vita di collegio. Nel suo racconto passano figure note della vita operosa e intensa dei nostri collegi rosminiani (Domodossola e Stresa), risplendono riflessi di altri tempi, d'altri metodi di studio, rivivono aspetti di insegnanti e di studenti e tutto invita a fare dei raffronti

.

Perché la memoria di Carlo Mùller resti, onorata e consacrata nelle pagine di questa Rivista che Egli amò e ornò di suoi scritti, diamo la Bibliografia della sua opera che speriamo completa. Al dotto gentiluomo scomparso il nostro reverente saluto.

A[lessandro] Viglio.

1) «Pratiche degli Intresi, nel sec. XIV, all'intento di riscattarsi dalla Signoria feudale dei Conti Borromei». Nel giornale intrese La voce del Lago Maggiore, anno 1884, numeri 3, 4, 5, 6.
2) «Gli edifici religiosi intresi: alcune notizie intorno alle loro origini e vicende». - Nel giornale intrese La Vedetta, num. 3, 6, 10.
3) «Se il Lago d'Orla fosse in altri tempi congiunto col nostro Verbano in un sol lago». - Nel giornale inlrese La voce del Lago Maggiore, anno 1896 n. 71.
4) «I moti patriottici intorno al Lago Maggiore e nell'Ossola, l'anno 1793». - Nel giornale intrese La voce del Lago Maggiore, anno 1898, n. 18, 19.
5) «Una gloria intrese» (Mastro Giorgio da Gubbio). - Nel giornale intrese La Vedetta 1901, due numeri dell'agosto.
6) «Contese fra Intra e Pallanza dal 1472 al 1508». - Nel giornale intrese La Vedetta 1902, n. 31, 32, 33, 34, 38, 36, 37.
7) «Possedimenti del Monastero vecchio di Santa Maria di Pavia in Valle Intrasca (anni 1173-1180)», Milano, Archivio Storico Lombardo, 1903, fasc. XXXVIII.
8) «Fondazione del Borgo di S. Ambrogio, per opera dei Novaresi, nel luogo d'Intra, l'anno 1270». - Archivio Storico Lombardo, 1903, fasc. XXXIX.
9) L'antico Ospedale intrese di S. Antonio (anni 1298-1595), Intra, tipografia intrese, 1904.
10) La Collegiata vecchia intrese. - Intra, tipografia intrese, 1904.
11) «Tumulti contro le Sbianche nel 1758». - Estratto dal giornale intrese La Vedetta, 1905.
12) «Il Pallanzotto?» in: Archivio Storico Lombardo 1908.
13) «Festeggiamenti a Intra nel 1717 per la venuta di sua Eminenza Borromea». - Nel numero unico di Intra Serena, Intra, 5, 6, 7, 8 settembre 1909.
14) «A proposito di una sepoltura ultimamente rinvenuta nel recinto dell'ex monastero». - Estratto dal giornate intrese La voce del Lago Maggiore, 8 marzo 1910.
15) «Felice Cavallotti a Ghevio». - Nella Rivista Verbania, marzo 1910.
16) «La Villa che fu del Prina». - Nella Rivista Verbania, luglio 1910.
17) «A te, nostro bel Verbano». - Nella Rivista Verbania, aprile 1911.
18) «Lo Starolo». - Nel giornale intrese La Voce, n. 98, anno 1911.
19) «Vittore Müller» - nella Rivista Verbania, ottobre 1912.
20) «A proposito di un medaglione». - Nel giornale intrese La Gazzetta, 15 ottobre 1912.
21) «Gli Statuti della Comunità d'Intra, Pallanza e Vallintrasca». - Archivio Storico Lombardo, 1913.
22) Scoperte archeologiche nel distretto intrese. - Intra Tipo-litografia Almasio, 1913.
23) Il Palazzo delle Macellerie in Intra. - Intra, tipolitografia Almasio, 1914.
24) «I natali della nostra Intra». - Nel giornale intrese La Voce, n. 4, 6 - 1914.
25)«A proposito di Giurisdizione parrocchiale intrese». - Nel giornale intrese La Voce, n. 33, aprile 1915.
26) Giov. Antonio Baiettini e il suo testamento. - Intra, tipolitografia Almasio, 1915.
27) Pestilenze a Intra in passato. - Tipolitogr. Almasio, 1915.
28) Dove stava, in antico, il palazzo del Comune a Intra? - Tipografia intrese Bertolotti, 1917.
29) «Un periodo agitato e tribolato di Storia intrese 1796-1801». - Nel giornale intrese La Voce d'intra, n. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 1920.
30) In Memoriam (Natale 1918). Tipolitogr. Almasio.
31) Un volontario Intrese (Giulio Müller) caduto nella prima guerra per l'Indipendenza italiana. Tipolitografia Almasio, 1922.
32) Le mie memorie di collegio (Cerutti, 1924).
33) «Le antiche prigioni nel Pretorio Intrese»; in: Bollettino Storico per la Provincia di Novara, A. XXI (1927), fasc. II, pag. 200 e segg.
34) «I mulini posseduti in passato dalla Comunità intrese»; in: Bollett. Storico p. la Prov. di Novara, A. XXI (1927), fasc. IV, pag. 424 e segg.

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Prof. ALESSANDRO ROCCAVILLA.
Due uomini, non Biellesi, ma stabilitisi in Biella, la dilessero e fecero per essa quanto avrebbe potuto il più autentico discendente dei Credenzieri del 1200.

Domenico Vallino, di Bra, una generazione fa, molto operò per la nostra città alla Scuola Professionale, nel Club Alpino, in Municipio, e nell'Amministrazione di Oropa, dove la Sala del Tesoro è dovuta alla sua iniziativa, mentre in Biella lo ricorda il magnifico volume di cui fu l'anima, «Il Biellese», 1898, che rimane una delle opere capitali della nostra regione.

Alessandro Roccavilla, spentosi il 16 novembre 1929, professore per 41 anni nella nostra città, fu uomo di molteplice e instancabile attività.
A Lui dobbiamo, nel campo degli studii, la Biblioteca Civica, il riordinamento dell'Archivio, e la sovvenzione comunale per la pubblicazinoe delle Carte di esso, l'organizzazione di numerose conferenze sociali e musicali, e la non ingloriosa vita di 8 anni della Rivista Biellese.
Nel campo della vita cittadina, egli organizzò l'Esposizione di Biella, e presiedette al Consorzio della Pubblica Alimentazione; ma sopra tutto, pronto sempre ad assumere qualunque onere pubblico di fronte a cui molti avrebbero nicchiato, assunse e condusse a buon fine quello, pietoso sì ma altrettanto ingrato, dei profughi di guerra.
Era di maniere sempre garbate, di condotta dignitosa, di opinioni moderate: quantunque pronipote d'uno dei Novatori del 1797 fucilato a Saluzzo, egli era un esempio tipico della enorme massa di opinione pubblica che segue il precetto in medio tutissimus ibis.
Come scrive un amico, egli era a Biella una fiaccola di vivo sapere: chiunque aveva un quesito da far risolvere, un libro da farsi suggerire, una moneta da far decifrare, un quadro da far giudicare, si rivolgeva al prof. Roccavilla. Ed egli, senza forse essere veramente profondo in alcun ramo, aveva cognizioni così eclettiche che dava soddisfazione a tutti.
La stima dell'intera cittadinanza fu visibile negli imponenti funerali che la sua salma ebbe.
Il suo monumento durevole è L'Arte nel Biellese.
Come le Memorie del Mullatera, 1778, sono ancora la fonte più completa della storia di Biella, così il magnifico volume del Roccavilla per un secolo e oltre sarà consultato sull'Arte.
Ma ora che si progetta un Palazzo della Coltura destinato a ricevere Biblioteca, Archivii e Museo, se verrà permesso agli amici di collocarvi una lapide al prof. Roccavilla, la cittadinanza certo approverà che gli si faccia onore tra i libri, le pergamene e i quadri di cui fu una specie di Oracolo locale.

Bugellensis.

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